La “Ninna nanna” di Trilussa, preghiera laica contro l’ipocrisia della guerra

Vatican News

Alessandro De Carolis – Città del Vaticano

“Ninna nanna, pija sonno/ché se dormi nun vedrai/tante infamie e tanti guai/che succedeno ner monno/fra le spade e li fucili/de li popoli civili”. Centootto anni dopo è cambiata la tecnologia bellica, non certi istinti dell’animo umano. “Le spade e li fucili” di ieri sono i missili ipersonici e le bombe termobariche di oggi, ma chi li maneggia – o li fa maneggiare – produce il risultato noto di ogni guerra, “la gente che se scanna e che s’ammazza”, che “insanguina la terra”.

Versi che non passano

È l’ottobre 1914 quando il grande poeta romano Trilussa – al secolo Carlo Alberto Salustri – poco più che quarantenne e all’apice della fama, mette mano alla penna per concepire le sei strofe in versi ottonari di una delle sue poesie più conosciute e amate, la Ninna nanna della guerra. Quarantotto versi pervasi da un sarcasmo dolente e disilluso che arriva dritto al cuore con la schiettezza del dialetto. Arriva ora, al presente. Non più solo come arrivò e colpì all’epoca, facendo il giro dei giornali.

Cambiando i nomi resta il “macello”

Perché la Ninna nanna di Trilussa, e lo dimostrano le tante citazioni sui media italiani di questi giorni, colpisce oggi col maglio di un’attualità che lascia attoniti proprio perché non è il canto duro ma superato di un fatto da libro di storia, da godere come una vecchia malinconia. Quei versi di cento anni fa fotografano il sentimento del mondo di oggi e con una rapida operazione di aggiornamento terminologico ecco che diventa fin troppo facile sovrapporre alla silhouette del “sovrano macellaro” – ovvero quella di “Gujermone” e “Ceccopeppe”, cioè Guglielmo II di Prussia e Germania e Francesco Giuseppe d’Asburgo, i regnanti all’origine della catastrofe – il profilo attuale di chi ha ri-portato da quaranta giorni sulla terra d’Europa orrori che si pensavamo chiusi nel cassetto del secolo breve.

Gli occhi dei bimbi su un mondo di pace

Quando la Ninna nanna viene pubblicata in ottobre, le cronache dal fronte hanno già riferito dei primi massacri, un milione di morti in appena tre mesi. Trilussa vede e affonda la lama di una satira spietata nel ventre della guerra, che in fondo non è che “un gran giro de quatrini”, l’altare della retorica su cui certi leader riemergeranno a danno della gente “senza l’ombra di un rimorso”. E allora: “Fa la ninna cocco bello/finché dura ‘sto macello”. Nella preghiera laica di Trilussa resta l’eco di una speranza per i bambini ucraini e di tutte le guerre: quella di riaprire gli occhi su un mondo in pace, senza aver visto e non dover vedere mai “tante infamie e tanti guai”.