Chiesa Cattolica – Italiana

La maturità al tempo del coronavirus

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

Quasi due anni di pandemia condizionano molto la socialità, le relazioni e inevitabilmente la scuola. Tutti ricordano il passaggio dell’esame di maturità, la fine di un ciclo, il momento in cui si guarda con consapevolezza al futuro e lo ricorderanno anche i 540mila ragazzi impegnati in questi giorni in un colloquio in presenza di circa 60 minuti.

Un momento che resta intenso

L’emergenza sanitaria ha rimodulato le vite degli studenti alle prese con la didattica a distanza, dei docenti, delle famiglie. Un’occasione – come ripete spesso Papa Francesco – che “non deve essere sprecata”. Ne è convinto anche don Claudio Belfiore, direttore dell’Istituto Internazionale Salesiano Edoardo Agnelli. “Il confronto con il passato è molto forte – afferma – per cui viene da pensare che l’esame possa essere una farsa, una chiacchierata, però io vedo che i ragazzi la vivono con intensità, con quella ansia da prova perché comunque rimane un esame di maturità. Un’ansia che si vive sia nella fase di preparazione, che nella fase di questo lungo colloquio che devono affrontare. È bello che lo vivono con quell’intensità che il momento richiede pur consapevoli che ci siamo arrivati per con un cammino parecchio tortuoso, con saliscendi, con frenate brusche, con arresti improvvisi, però loro vanno a coronare un percorso e percepiscono l’importanza del momento”.

L’esame di maturità in pandemia

Una marcia in più

Un lungo anno segnato dalla dad, dall’impossibilità di un confronto quotidiano dal vivo e anche dalla difficoltà di vivere l’ultimo periodo della scuola con allegria “ma questa esperienza – sottolinea don Claudio Belfiore – non è frutto di un percorso facilitato ma molto faticoso, inaspettato. Hanno dovuto affrontare una situazione nuova, imprevista e anche portatrice di forte ansia e preoccupazione. Tutto questo li rende i maturandi e i maturati del Covid, nel senso che questa è stata un’esperienza che li ha fatti crescere come tutte le esperienze di sofferenza, dolore, malattia e prova feriscono e indeboliscono perché comunque sono forti esperienze di vita”. Il direttore dell’Istituto di Torino non nasconde che alcuni contenuti “si siano persi per strada” ma sottolinea che i ragazzi hanno vissuto la consapevolezza della realtà, l’importanza delle relazioni, comprendendo cosa sia essenziale nella vita. “È stata un’esperienza sicuramente maturante, per questo i giovani non sono da penalizzare, anzi io credo abbiano una risorsa in più soprattutto se hanno affrontato bene quanto stavano vivendo, resistendo e tirando fuori nuove energie e risorse. Una marcia in più – prosegue – perché non è stata una vita facile e quindi hanno raggiunto una competenza, un’abilità, una capacità di umanità che va valorizzata”.

L’attesa dei maturandi

La pandemia per scoprire la fragilità

La scuola in tempo di pandemia cosa può insegnare alla luce del patto educativo che Papa Francesco ha rilanciato? Per don Claudio Belfiore, “tutti ci siamo resi conto di quanto il ritmo fosse veloce e carico di tante cose ma anche di quanto fossero poche le cose di cui veramente abbiamo bisogno”. La percezione quindi che è possibile avere una vita più essenziale, più sobria. Un altro aspetto, sottolinea il direttore, riguarda il “sentirsi parte di un tutto” perché tutti siamo stati coinvolti, un tutto che è casa comune, un mondo che è più piccolo di quello che poteva sembrare e che ci rende ancora più responsabili rispetto agli altri. “Ecco questi sono due aspetti. Il terzo sicuramente riguarda il senso di fragilità, di precarietà e questo apre tutto il tema della ricerca di senso e della trascendenza perché ci mostra così come siamo, esseri umani. La nostra umanità bella ma anche fragile”.

Ascolta l’intervista a don Claudio Belfiore
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