La guerra in Ucraina e i timori di un disastro nucleare

Vatican News

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

È giorno di lutto in Giappone, che commemora, a 11 anni di distanza, il disastro dell’11 marzo del 2011, il terremoto di magnitudo 9.0 che provocò uno tsunami che portò al disastro di Fukushima. Nessuna cerimonia pubblica nel Paese, ma un minuto di silenzio per ricordare le circa 18.500 vittime, tra morti e dispersi, e poi un volo di aquiloni con messaggi di speranza, perché la memoria conduca l’uomo a prevenire futuri incidenti di tale portata e lo spettro del disastro nucleare. Che oggi torna violentemente a rivivere per ciò che sta accadendo in Ucraina, con la guerra che si sviluppa attorno alle centrali nucleari, con le notizie poche e frammentate che arrivano circa possibili interruzioni di elettricità a Chernobyl o di assenza di dati di monitoraggio da parte della centrale di Zaporizhzhia, con la denuncia di raid che in Ucraina avrebbero colpito l’Istituto di fisica e tecnologia di Kiev, sede di un reattore nucleare sperimentale. Quanto è possibile capire di ciò che sta accadendo? Come è possibile accertare l’imminenza o meno del pericolo nucleare, a 36 anni dal disastro di Chernobyl, il più grave incidente della storia del nucleare civile? 

I possibili rischi

È la prima volta che una battaglia militare viene ingaggiata attorno a centrali nucleari: è la riflessione che viene da Nicola Armaroli, chimico, dirigente di ricerca presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), direttore della rivista scientifica Sapere e membro dell’Accademia Nazionale delle Scienze. I rischi spiegati dall’esperto sono essenzialmente due: il primo fa riferimento proprio ad una situazione analoga a Chernobyl. “I reattori delle centrali – afferma – sono protetti da un nocciolo molto robusto di acciaio e cemento, ma non pensato per attacchi missilistici, meno protette ancora sono le piscine di raffreddamento che contengono il combustile esausto”. In caso di attacco ci sarebbe “una emissione di materiale radioattivo in atmosfera”, che verrebbe distribuito dai venti sicuramente in giro per l’Ucraina, per la Bielorussia e anche per la Russia. “Non sarebbe un livello di catastrofe tipo Chernobyl, perché quel reattore non aveva alcuna protezione. Comunque questo scenario estremo lo voglio escludere”, continua, confidando pur sempre nella razionalità umana. Il punto che Armaroli pone è in realtà un altro: è molto più rischioso che queste centrali non siano adeguatamente controllate, e spiega “che nelle centrali nucleari attuali in funzione, il combustile esausto nelle barre è dentro le piscine, deve essere lì a raffreddare, così come anche la centrale stessa ha bisogno di un continuo raffreddamento, quindi sono impianti che non solo producono elettricità, ma hanno anche bisogno di elettricità per poter svolgere questa funzione cruciale di raffreddamento, affinché si eviti il cosiddetto meltdown, cioè la fusione del nocciolo o l’eventuale surriscaldamento delle piscine che contengono il combustile esausto. Se ciò avvenisse si avrebbe lo scenario tipo Fukushima cioè, se si ha un meltdown, avviene un rilascio di sostanze radioattive nell’intorno della centrale e nel raggio di parecchi chilometri”. Non sarebbe uno scenario apocalittico, di distribuzione di materiale radioattivo su tutta l’Europa, “ma sarebbe uno scenario catastrofico sicuramente per l’Ucraina e, probabilmente, anche per alcuni Paesi limitrofi, soprattutto se parliamo di centrali vicino ai confini”.

Ascolta l’intervista con Nicola Armaroli

L’importanza della visita dell’Aiea

Il problema fondamentale è l’accesso del personale alle centrali, perché qualunque azione è supervisionata “da personale umano, quindi è necessario che ci sia la turnazione dei tecnici, degli ingegneri, che sovrintendono alle operazioni. Ed è necessario – prosegue Armaroli – che le persone abbiano la serenità di poter lavorare dentro questi impianti. È già un lavoro impegnativo, anche piuttosto stressante, tanto più farlo in condizioni di guerra, in cui uno esce di casa per il suo turno alla centrale nucleare e gli passano i proiettili e i missili sopra la testa. Dobbiamo renderci conto che è una situazione estremamente gravosa per quelle persone, e noi non sappiamo quali siano a questo momento le condizioni di gestione di quell’ impianto”. Fondamentale si rivelerebbe dunque la visita degli ispettori dell’Aeia, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, agli impianti, visita che fino a questo momento è stata impedita e che potrebbe invece rassicurare circa una situazione potenzialmente sotto controllo.

Riflettere sulla riapertura dei programmi nucleari 

Quanto sta accadendo in Ucraina fa capire, secondo Armaroli, l’importanza del dibattito in atto in vari Paesi se riprendere o meno il programma nucleare. “Ci pone un dilemma molto importante. La tecnologia nucleare ha bisogno di un investimento temporale molto elevato, perché i residui che una centrale nucleare lascia, cioè le scorie radioattive, restano attive alcune di queste, per decine, centinaia, migliaia di anni. Ora, la domanda è: anche se noi oggi costruissimo la centrale più sicura del mondo, nel luogo più tranquillo del mondo, in Paesi che oggi riteniamo perfettamente affidabili, chi può però garantire che tra decenni, secoli, millenni questi Paesi saranno ancora altrettanto affidabili? Saranno ancora Paesi liberi e non invasi? Questo – conclude – è il grande dilemma che ci pone il nucleare, nessuno può garantire stabilità politica, sociale, economica e militare per i prossimi decenni, secoli e millenni, non abbiamo idea di quello che accadrà, abbiamo quindi il dovere di riflettere, perché quando si parla di riaprire programmi nucleari, si fanno considerazioni troppo semplicistiche”.