La cura del mondo e le religioni: l’impegno della Giornata del dialogo cristiano-islamico

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Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Fu la risposta di un gruppo di religiosi e intellettuali italiani alla visione del conflitto di civiltà che cominciò a farsi largo all’indomani degli attentati dell’11 settembre del 2001. La Giornata del dialogo cristiano-islamico, inserita nel solco di due importanti documenti, la dichiarazione conciliare “Nostra Aetate” e la “Charta oecumenica”, nasce dopo l’attacco alle Torri Gemelle, per ribadire l’impegno di cristiani e musulmani a non interrompere il faticoso cammino del dialogo, e si celebra ogni 27 ottobre, a memoria dell’incontro delle religioni per pace, voluto da San Giovanni Paolo II ad Assisi, nel 1986. A distanza di venti anni, il percorso fatto dalle due religioni premia chi questa giornata la volle. È un cammino condiviso e segnato dalla fraternità, spiega monsignor Piero Coda, teologo, docente di Teologia Sistematica presso l’Istituto Universitario “Sophia” a Loppiano, e segretario generale della Commissione Teologica Internazionale:

Ascolta l’intervista con monsignor Piero Coda

Monsignor Coda, il tema di quest’anno della Giornata è “La cura del mondo mi riguarda”. Un segno ulteriore della responsabilità delle religioni, in questo caso di cristianesimo e islam, nei confronti del Creato, quindi del loro dovere verso la natura… 

Penso che sia fondamentale questo riferimento delle grandi tradizioni religiose all’ambiente, alla creazione in cui viviamo, proprio perché le religioni, in particolare le religioni monoteiste, le regioni abramitiche, come il cristianesimo, l’ebraismo e l’Islam, vedono il mondo in cui viviamo come creazione di Dio e, quindi, come qualcosa donato alla nostra ministerialità. Nello stesso tempo, vedono questa creazione come qualcosa che è destinato a fiorire in cieli nuovi e terre nuove e, infine, che questo nostro mondo lo dobbiamo condividere nei suoi frutti, nelle sue promesse, nelle sue ricchezze, nella solidarietà e nella giustizia. Quindi, è un impegno di tutte le religioni, in particolare della tradizione in questo caso cristiana e islamica.

La Giornata odierna sono vent’anni che ricorre. Venne istituita all’indomani dell’attentato negli Stati Uniti dell’11 settembre 2021, l’attentato alle Torri Gemelle. Fu voluta fortemente da chi voleva opporsi a all’idea di uno scontro tra civiltà, narrazione che dilagò in quel periodo. Monsignor Coda, in questi 20 anni il percorso fatto da cristiani e musulmani, in qualche modo, ha premiato chi, allora, questa giornata la volle? 

Penso proprio di sì. Certamente non sono mancati episodi di conflitto tra le due grandi tradizioni, tra i Paesi occidentali e i Paesi a maggioranza islamica, ma la storia non è segnata da questo, piuttosto la storia è segnata dai grandi eventi che in questi anni hanno visto l’incontro tra la tradizione cristiana e la tradizione islamica. Voglio soltanto ricordare l’incontro tra Papa Francesco e l’imam di Al-Azhar ad Abu Dhabi, o anche la visita di Papa Francesco in Iraq, dove ha incontrato l’islam di tradizione sciita. È poi cresciuta fortemente, a livello di base, l’esperienza di ritrovarsi insieme, di collaborazione, di servizio, di fronte alle grandi sfide che l’umanità oggi si pone. Quindi, siamo su una strada lunga, difficile, ma segnata dalla pace e dalla fraternità, come la Fratelli Tutti di Papa Francesco ha insegnato e ha offerto alla riflessione di tutta l’umanità.

Lei ha citato Abu Dhabi, l’incontro tra Papa Francesco e il Grande Imam Al-Tayyeb, momenti che, tra loro, si ripetono, l’ultimo il 7 ottobre, a Roma, durante la preghiera per la pace tra le religioni organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio. A livello di base, lei ne ha già fatto cenno, i fedeli sentono in modo forte e consapevole questo dialogo, questa amicizia tra le due religioni?

Si stanno facendo enormi passi in avanti. Penso ad esempio qui in Italia che l’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso della Conferenza Episcopale italiana, sotto la guida lungimirante di don Giuliano Savina, ha messo in opera tavoli di dialogo con tutte le esperienze religiose presenti nel Paese. C’è poi un percorso molto intenso che viene fatto tra la comunità cristiana e la comunità islamica, c’è una sensibilizzazione a pioggia in tutte le diocesi italiane e, quindi, penso veramente che sia una pagina nuova che si sta scrivendo nella coscienza, nella formazione, nella catechesi, nella predicazione e, soprattutto, nelle esperienze vive, concrete. L’incontro porta a porta, di servizio, fianco a fianco tra cristiani e musulmani, è un qualcosa di molto promettente.

A suo giudizio, quali punti rimangono ancora scoperti? Quali sono i nodi da sciogliere?

Certamente la questione fondamentale è che dobbiamo conoscerci di più per stimarci di più e per poterci reciprocamente offrire gli uni gli altri i rispettivi doni di cui siamo portatori. Ecco, come ha detto Papa Francesco ad Abu Dhabi, la massima delfica antica conosci te stesso oggi deve compiersi insieme all’altra massima conosci l’altro, perché la nostra identità, l’identità di ciascuno di noi, è dono di Dio per l’altro, di fronte all’altro, insieme all’altro. Quindi, dobbiamo conoscerci, conoscendoci di più ci apriremo sempre più, anche alla conoscenza della volontà di Dio su di noi, che è volontà di pace, di giustizia, di apertura alla sua rivelazione e, insieme, man mano, potremo aprirci alla conoscenza del suo vero volto, del suo misterioso, ma affascinante, volto.