Italia: varato il governo di Mario Draghi

Vatican News

Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

La politica italiana si rimette in moto. Con tempi ragionevolmente brevi è stato varato il governo Draghi. Lo stesso presidente del Consiglio ieri sera, dopo un ultimo colloquio con il capo dello Stato, Mattarella, ha comunicato l’elenco dei dicasteri e dei relativi responsabili. Del nuovo esecutivo fanno parte 23 ministri. 15 sono politici: 4 del Movimento 5 Stelle, 3 del Partito Democratico, così come per Forza Italia e Lega; 1 per ciascuno a Italia Viva e Liberi e Uguali. 8 sono i ministri tecnici. Oggi, dopo il giuramento al Quirinale, alle ore 12, Draghi si sposterà a Palazzo Chigi per il passaggio di consegne con Giuseppe Conte, presidente del Consiglio uscente e il tradizionale passaggio della campanella. Poi subito al lavoro con il primo consiglio dei ministri. Mercoledì il voto di fiducia alle Camere, che si preannuncia ampio e scontato, visto l’appoggio di tutti i partiti al governo Draghi ad eccezione di Fratelli d’Italia.

Priorità: dare vita a una nuova politica

Il piano sanitario in testa alle priorità del nuovo governo italiano, così come per tanti altri Paesi messi in crisi dalla pandemia. Secondo molti osservatori di fronte a questa emergenza c’è bisogno di uno scatto qualitativo della politica che anteponga, ai beni particolari, il bene comune. Questo quanto afferma anche Antonio Maria Baggio, docente di Filosofia Politica all’Università Sophìa di Loppiano.

R. – Molti stanno cercando di pensare a una prospettiva nuova. Quello che è stato sottolineato, e che è condiviso dalla maggior parte degli osservatori e che sperimentiamo ogni giorno nei fatti, è che la pandemia ha accentuato le fragilità, cioè ha messo sotto gli occhi di tutti la mancanza di risorse nella quale molti vivono. Quindi i poveri ed emarginati muoiono più degli altri. Questa è un’ingiustizia che c’era prima è che si ingrandisce ancora di più davanti alla malattia. Il problema è che sono tra noi, cioè non esiste più un quarto mondo un terzo mondo lontano. Gli indicatori di quelle forme di povertà sono presenti dentro le nostre città, quindi non si può più far finta che non ci siano. E’ diventato evidente che ci vuole un pensiero politico, una capacità di affrontare le crisi diversa da prima, perché dobbiamo appunto ragionare in termini di sistema, non più ‘di noi è di loro’ e questo ha riportato il bene comune al centro della riflessione. Però la politica è sprovvista di strumenti sotto questo punto di vista, perché il bene comune, che adesso ci è davanti come obiettivo, riguarda l’intera comunità umana, tutta quanta l’umanità, non gruppi parziali. La pandemia ci ha dimostrato che l’umanità è una realtà politica e c’è bisogno di fare scelte tali che ci si salvi tutti, perché non basta che si salvi una parte soltanto. Dobbiamo assumerci la responsabilità di tutti quanti noi e questo è sicuramente un elemento nuovo sul quale siamo ancora un po’ disarmati. Dobbiamo capire meglio e fare meglio.

Un interesse comune che prenda il posto degli interessi particolari, ma questo non è il principio deontologico generale che la politica dovrebbe sempre rispettare?

R. – Deontologia significa morale e non tutti accettano anche la politica possa occuparsi di morale. Naturalmente sbagliano, perché una politica che non abbia un bene comune come fine si riduce a mero strumento, quindi a lotta per il potere. Ma come recuperare una dimensione etica, idee, categorie di pensiero, per permettersi di guardare all’umanità come soggetto politico? Qui dobbiamo dire che dall’interno della cultura cristiana si è sviluppata negli ultimi 20 anni una riflessione sulla fraternità, intesa non più soltanto come relazione personale o come legame di sangue, ma nel suo aspetto e nella sua dimensione pubblica, politica; e il Papa, che recentemente ha pubblicato una enciclica dedicata alla fraternità, da quando è stato eletto ha continuato a sviluppare questa idea, cioè riportare la stessa politica al concetto di base: cioè devo accettare di avere un fratello, che significa accettare che esistono persone diverse, ma che hanno la mia stessa dignità. Questo è ciò che Caino ha fatto. Quindi se viviamo ancora nella prospettiva di Caino, che è la prospettiva del potere senza scopo, non risolviamo nulla. Bisogna invece percorrere la via della prospettiva fraterna e vorrei sottolineare che il Papa ha dedicato alla fraternità già il suo primo messaggio di gennaio 2014, per la Giornata della Pace, proponendo soluzioni concrete. Più recentemente, nel 2019, ha scritto la lettera sulla comunità umana: possiamo parlare di una comunità soltanto se riusciamo a prendere la fraternità e a trasformarla in una relazione globale. Perché la fraternità e non un’altra cosa? Perché il fratello è colui che è diverso da me, quindi devo accettare che ha abbia la mia stessa dignità, ma che anche la usi in modo diverso. Questa èla chiave per fare dell’umanità una comunità di comunità, non per rendere tutti uguali, no. La fraternità è capace di riconoscere il diverso. Infatti il Papa nell’enciclica recente, ‘Fratelli tutti’, parla di una fraternità aperta, certamente universale, che riguarda tutti, ma Francesco sottolinea che è aperta, cioè vuol dire che è un processo che continuamente deve includere qualcuno che non è come me. E questo si chiama realismo politico, non è un sentimento non è un volersi bene generico, è lo sviluppare categorie di pensiero che ancora non avevamo, ma che, sulla base della fraternità, riusciamo a trovare e avere sottoscritto, da parte di due grandi religioni (cattolica e islam), prospettive di fondamento dei diritti umani, questo è un atto politico concreto. Potremmo prendere il documento sulla fratellanza universale di Abu Dhabi, come base dei diritti per affrontare la pandemia e le altre sciagure, che probabilmente riusciremo a provocare negli anni a venire, avendo però la forza per capirle e per affrontarle.

Quindi evitare di arroccarsi introno a proprie posizioni, per arrivare ad una posizione del tutto nuova. Ma questo non vuol dire indebolire il messaggio conclusivo?

R. – No, certamente. Vuol dire solo abbandonare le prospettive particolari, perché non riusciremmo neppure più e difenderle. Abbiamo a che fare ormai con forze che si scatenano da una Natura maltrattata e che nessuno può affrontare da solo. È questo il punto: cioè questo è un momento politico al suo massimo grado. Per affrontano ci vuole una competenza politica inedita. Pensare il bene comune per ciascuno e per tutti a livello umano non è una cosa immediata e facile. Anche se l’idea è stata preparata a lungo, però ci confrontiamo con il momento di renderla operativa. E noi non troviamo nei libri già scritti soluzioni già pronte. Questo è un momento vocazionale, è un momento in cui bisogna porsi al servizio dei giovani, che hanno davanti una prospettiva di vita nella quale dovranno affrontare cose che noi neppure immaginiamo adesso. Quindi bisogna capire che è un momento vocazionale non soltanto dal punto di vista della generosità, ma anche per la ricerca di soluzioni che nessuno di noi ha in tasca in questo momento. Quindi quest’epoca è ad alto rischio: questa è la nostra nuova realtà.  Allora esiste un movimento ecologico globale, esiste un movimento per i diritti, vari movimenti sociali, cioè esiste un’umanità giovane, che cerca e che ha le risorse. Noi dobbiamo metterci al servizio di tutte queste persone, soprattutto i più giovani, perché sono quelli che hanno maggiormente la possibilità di sviluppare un processo di lunga durata. Quindi hanno bisogno di quello che noi anziani possiamo trasferire, ma dobbiamo avere la consapevolezza che non saremo noi i protagonisti. Questo è anche un cambio di gerarchie.

Tutto questo può essere riassunto nella definizione ‘buona politica’? A volte potrebbe apparire solo uno slogan, ma che cos’è la buona politica in fondo?

R. – Intanto si tratta di un’espressione antica, perché sin da Aristotele la politica deve assicurare la ‘vita buona’. Il fine del bene comune non è avere una quantità di beni materiali. Quelli, certo, sono necessari, ma il bene comune è la possibilità che ci è data nella città, nella ‘polis’, che ciascuno possa scegliere il proprio stile di vita dentro una vita buona comune. Quindi la buona politica è la politica che è capace di farsi strumento, non fine, per raggiungere gli scopi che sono delle persone e che sono della città. La politica buona è molto difficile. Le cose migliori le abbiamo fatte quando hanno preso le redini dei nostri Paesi dell’Europa generazioni che erano state provate dal fascismo, avevano conosciuto il carcere, la resistenza. Ecco, forse adesso noi stiamo vivendo un momento di prova, che è in grado di forgiare una generazione che deciderà consapevolmente di fare la buona politica.