Israele, gli immigrati cattolici e la grande fede di chi soffre l’invisibilità

Vatican News

Gudrun Sailer e Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Un anno fa padre Nikodemus Schnabel, monaco benedettino dell’Abbazia della Dormizione, sul Monte Sion, veniva nominato Vicario per i migranti e i richiedenti asilo del Patriarcato latino di Gerusalemme, alla guida quindi di una struttura creata nel 2018 dal Patriarca di Gerusalemme dei Latini, Pierbattista Pizzaballa, per prendersi cura dei migranti e dei richiedenti asilo, oltre centomila cattolici, sotto tutti gli aspetti: dalla pastorale, all’educazione, ai sacramenti. Un sesto vicariato, accanto a quelli per Cipro, Israele, Giordania, Palestina e per i cristiani di lingua ebraica. “È un vicariato enorme con i suoi circa 100mila cattolici – spiega a Vatican News padre Schnabel – una cifra che può essere solo desunta, poiché molti dei lavoratori migranti, il 90% dei quali sono donne, sono entrati illegalmente, o hanno i visti scaduti, o sono entrati come turisti e poi scivolati nel lavoro nero”. La sfida vera, per padre Schnabel, è dunque rendere visibile l’invisibile.

Ascolta l’intervista in lingua originale con padre Nikodemus Schnabel

Clandestinità e sfruttamento

La comunità di padre Schnabel abbraccia tutte le nazionalità, si va dai filippini, agli srilankesi, agli indiani, ai cinesi, e poi ucraini, polacchi, rumeni, africani anglofoni e francofoni. Comunità diverse, usanze e riti diversi. Per quanto riguarda i richiedenti asilo vengono soprattutto da Eritrea ed Etiopia, “sono coloro che sono fuggiti dal terrore e dalla guerra e che vivono in un limbo, nel vuoto – spiega ancora – non sono rifugiati, sono richiedenti asilo. Sperano cioè di poter andare avanti. In questo momento il paradiso è il Canada. Questo gruppo si sta riducendo”. A crescere è l’altro gruppo, quello dei lavoratori migranti, chi cerca un futuro sicuro, per sé e per i propri figli. “Molto spesso capita che una madre lasci figli e marito a casa, quando anche quest’ultimo si trova in un altro Paese, a crescere i figli sono i nonni. I genitori quindi finiscono col vedere i figli, per anni, solo via Skype e via Zoom”. Questi lavoratori migranti sono impiegati in tre settori, osserva ancora padre Nikodemus: le donne sono impegnate nelle famiglie o nell’agricoltura e gli uomini nell’edilizia. “Molti – aggiunge il benedettino – iniziano il loro soggiorno legalmente, esistono contratti tra Israele e Sri Lanka, Israele e India, Israele e Filippine, ma le condizioni di lavoro sono precarie. Questo significa che se non funziona con il datore di lavoro, e in molti casi di parla di violenza domestica, di sfruttamento sessuale e di tanti altri abissi che in Europa non si vogliono conoscere, allora queste persone entrano nella clandestinità e continuano a lavorare, spesso vivendo con 20 o 25 persone in una stanza, lavorando nelle pulizie, che è il classico campo di lavoro dei clandestini, oppure presso famiglie che poi li impiegano in nero.”

Assistenza e protezione per mamme e bimbi

La situazione di queste persone è resa ancora più precaria dal fatto che non possono sposarsi. Avere un marito, una moglie o dei figli è di fatto negato loro: il diritto umano alla famiglia, è l’amara considerazione, “è sospeso, perché chi si sposa diventa automaticamente illegale. E le donne non possono avere figli. Il parto vuol dire anche illegalità. Questo significa che i drammi legati a gravidanze indesiderate sono il mio pane quotidiano nella pastorale, così come lo sono i pensieri suicidi di queste donne sole. E si può facilmente intuire che queste donne, spesso, non rimangono incinta per loro volontà, in una relazione d’amore. Ci sono destini che sono un concentrato di tragedia”. Quando i cristiani, poi, dicono alla vita senza compromessi, questo ha conseguenze pratiche per la carità. Le madri in attesa hanno bisogno di ogni assistenza, di ogni protezione. Per questo motivo Nikodemus Schnabel, insieme ad alcune religiose, ha fondato decine di asili nido per le donne migranti in Terra Santa, alcune di queste mamme sono addirittura impiegate lì, sottratte al brutale mercato del lavoro, come dice il benedettino, per potersi così occupare dei propri figli e di quelli di altre donne in situazioni simili. Il cappellano dei migranti gestisce anche una casa per bambini, la Casa dell’Angelo Custode. “Il padre non esiste – racconta ancora – e la madre è talmente sopraffatta dalla sua stessa vita, dalla lotta per la sopravvivenza, che noi accogliamo i bambini e anche loro. Li accudiamo, siamo lì per loro 24 ore su 24. Si tratta di bambini che hanno bisogno anche di assistenza psicologica e sociale. Questo è un aspetto molto importante del nostro lavoro. Semplicemente per coerenza: se incoraggio la vita, devo anche occuparmi delle conseguenze”.

Pregare online

Queste sono le periferie esistenziali di cui Papa Francesco non si stanca di parlare. Ciò che, allo stesso tempo, è forte e grande tra i migranti in Terra Santa è la loro vita di fede. “È questo lato positivo che mi scuote profondamente – è la rivelazione di Schnabel – sono fratelli e sorelle nella fede, perché non c’è un battesimo tedesco, uno indiano, o uno dello Sri Lanka, c’è solo un unico battesimo, e questi sono davvero le mie sorelle e i miei fratelli. Ciò significa che quando parlo di loro, oltre a parlare della fraternità tra tutti gli uomini, parlo dei miei compagni di battesimo che appartengono interamente alla mia stessa Chiesa. E quando vedo le condizioni in cui vivono e resistono e poi vedo con quale intensità vivono la loro fede, davvero, questo mi tocca profondamente”. Padre Nikodemus riferisce di decine di gruppi di preghiera digitali alle undici di sera o alla mezzanotte, digitali non per convenienza, ma per puro desiderio. “È anche tutto in streaming. È abbastanza normale che un servizio di culto vada immediatamente in diretta su YouTube, Facebook o Instagram. La digitalizzazione è una benedizione per loro, perché risponde al loro desiderio di volersi recare all’Eucaristia tutti i giorni, ma non possono e, peggio ancora, neanche la domenica. C’è un incredibile desiderio di vivere la fede, ad esempio tra gli indiani: hanno molti programmi biblici per conoscere meglio la Bibbia. E quando predico, mi sorprende sempre che quando cito la Bibbia, mi richiamano il passo!”. Schnabel si occupa anche di una comunità di migranti molto particolare: i lavoratori edili cinesi. “Questa comunità, sebbene non abbiano paura dell’espulsione, perché sono tutti in Israele legalmente, come lavoratori edili, però praticano la loro fede in clandestinità. In realtà è uno dei gruppi in cui ho regolarmente battesimi di adulti”.

La fede e l’adorazione

L’intensità della fede dei fratelli e sorelle immigrati in Terra Santa tocca profondamente il religioso. “Quando sono lì sull’altare – conclude – e li guardo, questi schiavi moderni, emarginati e discriminati, quando vedo con quale gioia e intensità si uniscono all’adorazione, io combatto con le lacrime, a ogni funzione, pensando di essere privilegiato come sacerdote, come monaco, come dottore in teologia, ma queste persone sono più vicine a Dio di me”.