La detenzione amministrativa permette di arrestare presunti colpevoli che, pur in assenza di prove, siano fortemente sospettati di un crimine. L’applicazione della misura rimarrà in vigore ora per i soli palestinesi. Solleva polemiche la decisione presa dal neo-ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, di sospenderla per i coloni ebraici
Sta destando preoccupazioni e sollevando non poche polemiche la decisione del nuovo ministro della Difesa israeliano, Israel Katz, di annunciare lo stop alla detenzione amministrativa nei confronti dei coloni israeliani che abitano negli insediamenti nelle aree cisgiordane della Palestina. A riportarlo sono The Times of Israel e Haaretz. “In una realtà in cui l’insediamento ebraico in Giudea e Samaria è soggetto a gravi minacce terroristiche palestinesi e vengono adottate sanzioni internazionali ingiustificate contro i coloni, non è appropriato che lo Stato di Israele adotti una misura così severa contro la popolazione degli insediamenti”, ha spiegato il ministro, che ha chiesto allo Shin Bet di mettere in atto eventualmente “strumenti amministrativi alternativi”.
Come funziona la detenzione amministrativa
La misura è controversa: si tratta di un retaggio del mandato britannico (1920-1948) e viene solitamente utilizzata quando le autorità dispongono di informazioni che collegano un sospetto a un crimine, ma non hanno prove sufficienti per sostenere le accuse in un tribunale. Si applica per un massimo di 6 mesi alla volta ma può essere rinnovata indefinitamente. In genere comminata contro i palestinesi, negli ultimi mesi era stata adottata anche per sedare l’impennata di violenze di cui alcuni coloni estremisti si sono resi protagonisti dal 7 ottobre 2023 in Palestina. Attualmente, secondo l’Israel Prison Service, si calcola che più di 3.400 persone, la maggior parte delle quali palestinesi, siano detenute secondo questo tipo di regime.
Favorevole alla decisione la destra religiosa
Soddisfatti di quanto deciso soprattutto i rappresentanti politici della destra religiosa. Itamar Ben-Gvir, ministro per la Sicurezza nazionale, ha dichiarato che “questa è una correzione rispetto a molti anni di maltrattamenti e giustizia per coloro che amano la terra”, mentre per il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich, viene così eliminata addirittura una forma di “discriminazione”, ponendo fine “all’ingiustizia in cui i coloni erano cittadini di seconda classe e contro di loro venivano applicate misure draconiane e antidemocratiche cui non è soggetta nessun’altra popolazione in Israele, tranne terroristi e nemici pericolosi”. Il deputato del Likud, Avichai Boaron, ha dato una lettura del provvedimento che mette in luce i timori espressi negli ultimi tempi da diversi analisti, ovvero che la possibilità di uno Stato palestinese stia rapidamente perdendo quota per la volontà di Israele di riprendere il controllo totale delle aree cisgiordane della Palestina. “Non c’è dubbio – ha spiegato – che questo sia il segnale di un nuovo atteggiamento, il cui risultato finale sarà la piena sovranità su Giudea e Samaria”.
I dubbi all’interno della politica israeliana
Oltre alle prevedibili contestazioni da parte dell’Autorità nazionale palestinese – “quanto deciso incoraggerà gli estremisti a commettere atti di terrorismo contro i palestinesi fornendo loro un ulteriore senso di impunità” – anche nella politica israeliana si registrano prese di posizione contrarie. Il deputato arabo-israeliano Ahmad Tibi, esponente del partito Ta’al, ha definito la misura “un’ulteriore prova del regime di supremazia ebraica”, mentre l’ex capo di Stato maggiore, Gadi Eisenkot, ha dichiarato che si tratta di “un errore grave e pericoloso”, che segna un altro passo verso “un’escalation in Cisgiordania per il quale pagheremo tutti”. Questo, ha aggiunto ripreso dai media locali, fa parte “dell’obiettivo di non avere una popolazione ebraica rispettosa della legge, ma elementi terroristici radicali che mettono in pericolo la nostra società” e “si danneggiano deliberatamente le capacità delle forze armate”.