In un anno, quasi due milioni di morti sul lavoro

Vatican News

Isabella Piro – Città del Vaticano

Tra i tanti rischi mortali che si possono correre sul posto di lavoro, ce n’è uno sempre in agguato: quello di abituarsi. Abituarsi alle morti sul lavoro, alla “ennesima tragedia sul posto di lavoro”, come talvolta titolano gli stessi organi di informazione. Abituarsi al fatto che è possibile, quasi normale, perdere la vita mentre ci si guadagna da vivere. E invece no. Papa Francesco lo ha detto chiaramente, nell’omelia della Santa Messa della notte di Natale, pronunciata il 24 dicembre nella Basilica vaticana: “Dio stanotte viene a colmare di dignità la durezza del lavoro. Ci ricorda quanto è importante dare dignità all’uomo con il lavoro, ma anche dare dignità al lavoro dell’uomo, perché l’uomo è signore e non schiavo del lavoro – ha sottolineato – Nel giorno della Vita ripetiamo: basta morti sul lavoro! E impegniamoci per questo”.

Salute e lavoro nell’Agenda 2030

Il suo appello è arrivato a pochi giorni di distanza dal tragico incidente avvenuto a Torino, dove il 18 dicembre il crollo di una gru ha ucciso tre operai. Le parole del Pontefice hanno rimesso al centro dell’attenzione un aspetto fondamentale che spesso passa in secondo piano: quello della dignità del lavoro, affinché l’uomo non ne sia schiavo o vittima. Ma purtroppo di vittime se ne contano tante nel mondo: basti guardare al primo rapporto congiunto pubblicato lo scorso settembre dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) e dall’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo). Si tratta di stime sulle malattie e gli infortuni sul lavoro riscontrati in 183 Paesi del mondo. E solo per il 2016, si contano quasi 2 milioni di morti premature (1,9 milioni per la precisione) che si sarebbero potute prevenire. Statistiche drammatiche che stridono con i diciassette Obiettivi per lo sviluppo sostenibile del 2030, tra i quali ci sono anche la salute e il benessere (Sdg 3) e il lavoro dignitoso (Sdg 8).

Nel mondo, 750mila morti per orari di lavoro eccessivi

Il rapporto, che analizza un arco temporale che va dal 2000 al 2016, evidenzia che la maggior parte dei decessi legati al lavoro è dovuta a malattie respiratorie e cardiovascolari. Nel complesso, le malattie non trasmissibili rappresentano l’81 per cento dei decessi, con la broncopneumopatia cronica ostruttiva (450mila decessi), l’ictus (400mila) e la cardiopatia ischemica (350mila) come cause principali. Gli infortuni sul lavoro, invece, rappresentano il 19 per cento dei decessi (360mila). Tra i fattori di rischio professionale esaminati dallo studio, ci sono l’esposizione a lunghe ore di lavoro (circa 750mila morti), all’inquinamento atmosferico (450mila decessi), nonché al rumore e agli agenti cancerogeni. Le malattie e gli infortuni legati al lavoro – evidenzia ancora il rapporto – non hanno ricadute solo sulla vita delle singole persone, bensì anche sull’intero sistema sociale, perché “affaticano i sistemi sanitari, frenano la produttività e possono avere un impatto devastante sui redditi familiari”.

In aumento malattie cardiache e ictus

Certo, qualche buona notizia c’è: dallo studio si evince che, tra il 2000 e il 2016, a livello globale, il numero di morti sul lavoro è diminuito del 14 per cento. Un miglioramento dovuto ad una maggiore attenzione alla salute e alla sicurezza sul posto di lavoro. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: i decessi per malattie cardiache e ictus associati all’esposizione a lunghe ore di lavoro sono aumentati rispettivamente del 41 e del 19 per cento. E si tratta di “un fattore di rischio psicosociale relativamente nuovo” che tende ad aumentare sempre più.

Le ricadute dalla pandemia

Ci sono poi altre specifiche da tenere ben presente, tra cui il dato geografico: secondo il rapporto, infatti, “un numero sproporzionato di decessi legati al lavoro si verifica tra i lavoratori del sud-est asiatico e del Pacifico occidentale”. L’India, ad esempio, è uno dei Paesi più toccati dal problema degli orari lavorativi troppo lunghi con 12 morti su 100mila persone. L’Italia, invece, ha il tasso di mortalità per cancro alla laringe associato all’esposizione all’amianto tra i più alti nel mondo, pari a 0,6 casi ogni 100mila abitanti. Segue la Francia con 0,4 casi ogni 100mila abitanti. In generale, le statistiche rilevano che la morte sul lavoro colpisce di più gli uomini e le persone di età superiore ai 54 anni. Senza dimenticare che la pandemia da Covid-19 aggiungerà “una nuova dimensione” al carico di oneri delle malattie legate all’occupazione. E tale dimensione dovrà essere presa in considerazione nelle stime future.

Luoghi di lavoro siano sani, sicuri e socialmente equi

In totale, sono diciannove i fattori di rischio esaminati dal rapporto ed ognuno di essi è associato ad una serie di azioni preventive che si possono mettere in atto. Ad esempio: per prevenire l’esposizione a lunghi orari di lavoro, si può stilare un accordo sui limiti orari massimi consentiti; oppure per ridurre l’esposizione all’inquinamento atmosferico sul posto di lavoro, si raccomandano il controllo delle polveri, la ventilazione e l’uso dei dispositivi di protezione personale. In sostanza, lo studio sottolinea la necessità di “luoghi di lavoro più sani, più sicuri, più resilienti e socialmente equi”: tutti obiettivi raggiungibili attraverso “il ruolo centrale della promozione della salute e dei servizi alla salute sul lavoro”.

Servono nuovi modelli e sistemi occupazionali

“È scioccante che così tante persone vengano letteralmente uccise dal loro lavoro – ha detto Tedros Adhanom Ghebreyesus, direttore generale dell’Oms – Il nostro rapporto è un campanello d’allarme per i Paesi e le aziende, affinché migliorino e proteggano la salute e la sicurezza dei lavoratori, onorando i loro impegni a fornire una copertura universale dei servizi di sicurezza e salute sul lavoro”. Gli fa ha fatto eco Maria Neira, direttrice del dipartimento Ambiente, cambiamento climatico e salute dell’Oms: “Queste quasi 2 milioni di morti premature si sarebbero potute prevenire”. “La salute e il lavoro devono procedere insieme, mano nella mano – ha aggiunto –. È una responsabilità condivisa affinché nessun lavoratore sia lasciato indietro”. “I governi, i datori di lavoro e i lavoratori – ha concluso Guy Ryder, direttore generale dell’Ilo – possono tutti intraprendere azioni per ridurre l’esposizione ai fattori di rischio sul posto di lavoro, anche introducendo cambiamenti nei modelli e nei sistemi occupazionali”.