In Myanmar si prega per la pace

Vatican News

Elvira Ragosta – Città del Vaticano

Il Global Day of Prayer di oggi, celebrato online, è stato preceduto da un accorato appello del cardinale Charles Bo, arcivescovo di Yangon, che esorta a camminare sulla strada del dialogo, della giustizia e della pace. Intanto, media locali parlano di 69 persone uccise e 129 ferite nelle manifestazioni di ieri in due distretti della città di Yangon, dove i militari al potere hanno dichiarato la legge marziale. Se confermato, questo bilancio decreterebbe la giornata di ieri come la più sanguinosa dall’inizio delle proteste contro il golpe del primo febbraio. L’inviato speciale dell’Onu per la Birmania, Christine Schraner Burgener, denuncia il “bagno di sangue” in corso nel Paese e chiede alla “comunità internazionale, e soprattutto agli attori della regione, di unirsi in solidarietà della popolazione birmana e delle sue aspirazioni democratiche”.

La Chiesa prega per la pace

Su quanto sta accadendo nell’ex Birmania la Chiesa ha avuto un ruolo importante nel mobilitare le coscienze e continua a pregare e a chiedere la pace. Oltre all’appello del cardinale Bo per la preghiera di oggi, ricordiamo il forte impatto che ha avuto la foto, che ha fatto il giro del mondo sul web, di suor Ann Nu Thawng, la religiosa cattolica saveriana che si è inginocchiata nei giorni scorsi di fronte agli agenti durante le manifestazioni supplicandoli di non sparare sui giovani che protestavano pacificamente. Nell’intervista a Vatican News, Stefano Vecchia, esperto di Asia, parla proprio dell’importante ruolo della Chiesa, un ruolo a cui non ha mai rinunciato e che cerca di rinnovare in questa situazione: “Anche oggi il cardinale Bo in occasione della giornata di preghiera ha ricordato come sia il tempo di mettere fine alle violenze e ascoltare la popolazione”. “Quello della Chiesa – continua Vecchia – è un ruolo rilanciato in quest’occasione anche dalla partecipazione di religiosi alle manifestazioni proprio in questo spirito di pace e contro la violenza che ha sicuramente una forte presa sui birmani, che sono buddisti ma non hanno mai mancato di vedere nella Chiesa cattolica un elemento di equilibrio, di rivendicazione di principi morali essenziali che dovrebbero guidare anche il Paese”.

Ascolta l’intervista a Stefano Vecchia

I margini della diplomazia

Di fronte agli ultimi avvenimenti e dopo le dichiarazioni dell’inviato Onu, l’esperto di Asia ritiene che lo spazio per la diplomazia internazionale attualmente sia limitato e che, a livello regionale, a fare la differenza, premendo sulla giunta al potere, potrebbero essere i dieci Paesi dell’Asean, l’Associazione delle nazioni del Sud-est asiatico, di cui fa parte anche il Myanmar, che hanno interessi molto forti, soprattutto a livello economico. “L’Asean ha sempre mantenuto il principio di non ingerenza negli affari interni dei propri Stati membri – prosegue Vecchia – ma in questo caso ci sono già segnali di un possibile intervento. E sicuramente l’Asean non ha approvato il golpe”.

La situazione all’interno del Paese

All’interno del Paese, intanto, dopo la dichiarazione della legge marziale in alcune aree, si registra da stamattina l’interruzione della connessione internet via telefonia e sarebbero stati proprio i problemi di connessione a far rinviare di una settimana la terza udienza in teleconferenza del processo contro Aung San Suu Kyi, prevista per oggi. La leader, Premio Nobel per la pace e di fatto capo del governo civile defenestrato con il golpe, deve rispondere di almeno quattro capi d’imputazione: importazione illegale di walkie-talkie, mancato rispetto delle restrizioni legate al coronavirus, violazione di una legge sulle telecomunicazioni e incitazioni ai disordini. Per Vecchia la situazione interna attuale è difficile ma allo stesso tempo aperta a sviluppi positivi: “È difficile perché il regime ha mostrato di non voler lasciare la presa. Lo fa ritenendo falsate le elezioni dello scorso novembre che hanno dato alla Lega nazionale per la democrazia e ad Aung San Suu Kyi una vittoria schiacciante, e lo fa anche cercando di accusare i leader civili del Paese di reati in qualche modo comuni. Di fatto – conclude Vecchia – la reazione è molto forte ed estesa e per la prima volta vede unite quasi tutte le aree sociali, le religioni e le etnie”.