Il teologo Halìk a Dubrovnik: riconosciamo Cristo dalle ferite degli “ultimi”

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Dubrovnik (Croazia)

Questo è il tempo per un ecumenismo più ampio, “per una più audace ricerca di Dio ‘in tutte le cose’. Possiamo accettare la Quaresima di chiese vuote e silenziose durante la pandemia semplicemente come una breve misura temporanea che sarà presto dimenticata. Ma possiamo anche sfruttarla come kairós: un momento opportuno per ‘prendere il largo’ e cercare una nuova identità per il cristianesimo in un mondo che cambia radicalmente sotto i nostri occhi”. Il teologo e filosofo ceco Tomas Halìk, sacerdote dal 1978 (“il giorno prima l’inaugurazione del Pontificato di san Giovanni Paolo II” ricorda) nella Chiesa Cecoslovacca “del silenzio”, ha portato il suo pensiero anche a Dubrovnik, in Croazia, dove ha partecipato come docente alla Scuola estiva di teologia organizzata dalla diocesi della città della costa dalmata.

La Galilea dove cercare il Risorto “è oltre i confini delle Chiese”

Impariamo a cercare e a riconoscere nuovamente Cristo come i discepoli nel Cenacolo dopo la Resurrezione, ha detto il vincitore del Premio Templeton 2014 (per la ricerca religiosa e spirituale) agli studenti cattolici, ortodossi e protestanti arrivati da tutti i Paesi dell’Europa balcanica. Ma “non cerchiamo il Vivente fra i morti e non lasciamoci prendere alla sprovvista se ci appare come uno straniero. Lo riconosceremo dalle sue ferite”, nella gente ferita dalla vita “e dallo Spirito che porta la pace e bandisce la paura”. La Galilea dove cercare Cristo, ha sottolineato il teologo che è stato consulente del presidente ceco Valclav Havel, è oggi “oltre i confini visibili delle Chiese cristiane”. Passando dal cattolicesimo alla cattolicità, e ricordano con san Paolo che “nessuno è escluso dall’amore di Cristo”.

Halìk: bello l’incontro di giovani cristiani dalla mente aperta

E definisce la Scuola estiva di teologia di Dubrovnik “un’ottima idea: mettere insieme tanti giovani cristiani di mente aperta e dar loro alcuni stimoli di discussione e un posto per stare insieme, è eccezionale!”. Vatican News ha cercato di approfondire con monsignor Halìk alcuni spunti dalla sua lettura per gli studenti e gli altri docenti della Scuola.     

Professor Halik, vorrei iniziare dalle conclusioni della sua relazione di giovedì alla Scuola di Dubrovnik. Come possono i cristiani utilizzare le loro diversità e le loro differenze come una risorsa per creare una “Civitas ecumenica”, una cultura di comunicazione, condivisione e rispetto della diversità?

Penso che i cristiani siano una parte molto importante dell’umanità, e che quello che accade nella Chiesa può avere effetti sull’intero mondo. Nel medioevo, la riforma è stata una democratizzazione della Chiesa, ma è stata anche un tentativo di democratizzazione della società. E penso che adesso l’ecumenismo tra i cristiani, ma anche il dialogo interreligioso con quelli che sono fuori dalla Chiesa, i “cercatori spirituali”, sia un tentativo di dialogo con tutta l’umanità. Viviamo in un mondo interconnesso: siamo connessi attraverso l’ecumenismo, la tecnologia ma allo stesso tempo siamo divisi e le divisioni oggi non sono solo tra le Chiese, ma all’ interno delle Chiese stesse. Dobbiamo superare queste divisioni per sviluppare la cultura della fraternità. Penso che sia un grande messaggio del pontificato di Papa Francesco quello dell’enciclica Fratelli tutti, in particolare per il mondo di oggi.

Viviamo in un mondo tecnologico, ma Heidegger ha una felice intuizione, quando scrive che “la tecnologia attraversa le distanze, ma non ha creato la vicinanza”. Penso che sia una nostra missione, come cristiani, creare la cultura della vicinanza, accettare le nostre diversità, con rispetto, perché non dovremmo essere come un sistema totalitario, come un esercito, ma un’unità organica, come gli organi di un corpo, e abbiamo bisogno uni degli altri, nella diversità. Dovremmo sviluppare la cultura dell’accettazione, della complementarietà. Penso che anche nella Chiesa cattolica ci sono così tante spiritualità, la francescana, l’ignaziana, la domenicana, che sono molto diverse, ma sono tutte parte della stessa Chiesa. Penso che si dovrebbe irradiare questa complementarità anche fuori dalla Chiesa e sarà il nostro tentativo per arrivare alla fratellanza universale.

Nel nuovo ecumenismo che ha descritto nella sua lettura, lei ha spiegato che il “Cortile dei Gentili” non è più sufficiente e che i centri della fede dovrebbero diventare “Scuole di sapienza cristiana”, aperte non solo ai cristiani delle diverse Chiese, ma anche ai credenti delle altre religioni e ai “cercatori spirituali”. Può dirci come queste scuole potrebbero essere organizzate in futuro?

Penso che l’idea di Papa Benedetto di creare il “Cortile dei Gentili”, un luogo all’interno della Chiesa per l’incontro con la gente che non si identifica con il nostro insegnamento e le nostre istituzioni, sia stata una grande idea. Ma penso che oggi non basta, perché la forma attuale del tempio della Chiesa è oggi scosso, anche durante questa “pandemia”, dallo scandalo degli abusi sessuali. La fiducia nella Chiesa è scossa in tutto il mondo e non possiamo più rimanere soltanto all’interno. C’è una bella frase del cardinal Bergoglio, il giorno prima della sua elezione. Ha citato Gesù, che sta vicino alla porta e bussa. Ma Bergoglio ha detto: oggi Gesù bussa dall’interno, perché vuole uscire, e noi dobbiamo seguirlo. Penso che non dobbiamo rimanere nello splendido isolamento del giardino spirituale all’interno della Chiesa, ma dobbiamo uscire verso la gente che è ai margini della società e anche ai margini della Chiesa, andare verso i feriti. È un’altra grande idea di Papa Francesco: la Chiesa è un ospedale da campo. E io cerco di sviluppare quest’idea: che un ospedale da campo ha bisogno anche di un buon ospedale che sviluppa la ricerca, la diagnosi. Così la mia teologia è una “kairologia”, cerca di sviluppare una sorta di diagnosi spirituale del tempo, poi la cura e infine la riabilitazione. Questa è una forma possibile per la Chiesa del futuro, essere ospedale da campo, un ospedale che può aiutare la gente ferita, i “cercatori”, coloro che sono soli, la gente ai margini. Questa è la missione della Chiesa. Ma dovremmo anche creare queste “Scuole di sapienza cristiana”, ispirate alle prime università. Le università erano comunità di maestri e studenti, comunità di apprendimento, comunità di preghiera, comunità di vita, e le nostre università sono piuttosto fabbriche di lauree. Ma dobbiamo trasformare le nostre comunità cristiane, le comunità monastiche, le parrocchie, i movimenti spirituali in scuole di sapienza cristiana. È molto importante “contemplata aliis tradere”, cioè contemplare e poi essere pronti a offrire queste idee agli altri. Questa parte della contemplazione era presente nelle università medievali. C’era la regola che dobbiamo cercare la verità attraverso la discussione libera. Di questo abbiamo bisogno oggi nella Chiesa: spazi di dibattito aperto e di contemplazione e condivisione della nostra vita, delle nostre esperienze. Queste scuole di sapienza cristiana potrebbero essere molto provvidenziali per la Chiesa del futuro.

In che modo la missione di accompagnamento spirituale che lei descrive e auspica per la Chiesa e i cristiani nel futuro, come cappellani per il mondo intero, si può conciliare con la necessità di arrivare ad un nuovo impegno dei cristiani nello spazio politico, che è il tema di questa Scuola?

In passato la Chiesa si è concentrata sulla cura pastorale classica nelle parrocchie e in luoghi simili. Questo è un bene: è la classica missione di cercare a invitare la gente all’interno delle nostre strutture per aumentare il numero dei credenti. Ma abbiamo bisogno di qualcosa di più: l’accompagnamento spirituale dei “cercatori”. Nel mondo di oggi, il numero delle persone che si identificano completamente con il magistero e la prassi della Chiesa sta diminuendo. Anche il numero degli atei militanti non è così alto. Ma c’è una percentuale molto alta di “cercatori spirituali”. Quando uno chiede: Sei credente? Ti identifichi con qualche religione? Dicono: no. Questi “nones” sono per noi interessanti. Non sono atei, molti di loro sono cercatori spirituali e noi dobbiamo dialogare con loro, non solo spingerli nelle nostre strutture esistenti, della nostra Chiesa, ma metterci in dialogo e rispettarli, offrire loro qualcosa del prezioso tesoro della nostra tradizione e anche imparare qualcosa da loro. E penso che l’avanguardia di questo servizio così importante della Chiesa per il futuro, di accompagnamento spirituale, sono i cappellani negli ospedali, nelle carceri, nell’esercito. Loro non sono lì solo per i cattolici. I cappellani nelle prigioni non sono lì solo per i pii criminali, sono lì per tutti. E noi dobbiamo essere, in future, gente al servizio di tutti. Ognuno di noi ha una propria dimensione spirituale della sua personalità, della sua vita. A volte è soppressa. Spirituale è ciò che è connesso con il senso della vita, il significato di una situazione particolare della vita. Alle volte, accade quando la gente è in una situazione particolare, in ospedale, in prigione, nell’esercito, ma il nostro mondo oggi è pericoloso, siamo tutti in una situazione particolare e la gente cerca la sua identità, vuole scoprire il senso della sua situazione esistenziale. E ha bisogno di qualcuno che la accompagni con rispetto. Penso che questa sarà una missione molto, molto importante per la Chiesa nel futuro. 

Quali pensieri e sentimenti porta con sé alla fine di questa esperienza? Pensa che questa Scuola di Dubrovnik sia un esempio della teologia del dialogo, dell’accoglienza e libera che Papa Francesco ha descritto a Napoli 2 anni fa?

Sono molto contento di aver deciso di accogliere l’invito che ho ricevuto invito, perché è una bellissima esperienza. È un ottimo esperimento, un’ispirazione. Io vorrei creare qualcosa di simile nel mio Paese, forse è una cosa buona anche per altri Paesi, mettere insieme giovani teologi da Chiese diverse, ma anche da nazioni e Stati diversi. È importante superare i pregiudizi per un mutuo arricchimento e ispirazione. Ma specialmente qui in Croazia c’è anche un altro aspetto: la gente proviene da nazioni e Stati che recentemente sono stati in guerra e ci sono sempre le ferite del passato nel subconscio collettivo. Incontri di questo tipo possono aiutare a guarire queste ferite del passato e la Chiesa dovrebbe essere esperta di riconciliazione, di guarigione dalle ferite del passato. Penso che mettere insieme questi giovani cristiani di mente aperta e dar loro alcuni stimoli di discussione e un posto per stare insieme, sia eccezionale! È un milieux eccezionale, un’ottima idea e sono molto grato di aver avuto la possibilità di essere qui.