Il Papa: serve una profezia della non-violenza, grande sfida per i giovani

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Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Non violenza, migranti, ambiente, rapporto con gli anziani e le nuove tecnologie. E una preghiera iniziale a Maria, Madre di Dio e Regina della Pace, perché protegga l’Ucraina, le famiglie, i giovani, le vittime degli attacchi partiti la scorsa notte. Papa Francesco dialoga virtualmente per oltre un’ora con gli universitari di tutta l’America per l’incontro sinodale “Costruire ponti Nord Sud” ideato e organizzato dal Dipartimento di Teologia della Loyola University, ateneo dei gesuiti a Chicago, in collaborazione con la Pontificia Commissione per l’America latina. “Buongiorno, buona sera, buona notte”, esordisce Francesco in riferimento ai vari fusi orari.

Dalle 19 alle 20.45, rimane collegato dal salone di Casa Santa Marta per il botta e risposta con Lorena, Leo, Paco, Alejandro, Priscilla, Jefferson e altri ragazzi e ragazze. Provengono da posti diversi – brasiliani, canadesi, statunitensi, argentini -, alcuni sono migranti, emigrati da un Paese all’altro o dalla periferia al centro delle proprie città in cerca di migliori opportunità di vita. Collegati da smartphone, tablet e computer, divisi in quattro blocchi, raccontano brevemente al Papa la propria storia, denunciano le emergenze dei loro Paesi o presentano progetti sviluppati in questi anni.

Costruire ponti, parte dell’identità cristiana 

Condividere idee e iniziative sviluppate in varie latitudini dell’America è il modo per costruire quei “ponti” che propone il titolo dell’incontro virtuale. E il Papa proprio di ponti parla nelle prime battute del suo intervento, preceduto dal saluto del cardinale di Chicago, Blaise Cupich, e dalla segretaria della CAL, Emilce Cuda. “Costruire ponti è parte integrante della identità cristiana. Cristo viene per costruire ponti tra il Padre e noi. Un cristiano che non sa costruire ponti, ha dimenticato il suo Battesimo”, dice il Pontefice.

Non-violenza attiva 

Per tutto il tempo delle domande dei giovani, prende appunti su fogli di carta. Fa parlare prima i ragazzi, poi interviene offrendo suggerimenti e indicazioni per il futuro. Dice che sarebbe bello che questo spazio sinodale potesse diventare costante tra i giovani studenti e i Pontefici. E poi risponde a una ragazza brasiliana che denuncia “la violenza dura e selvaggia” che ha vissuto e che vive il suo Paese. Alla violenza, afferma il Papa, bisogna rispondere con la “non-violenza attiva”: “Questa è la più grande sfida che si aspettano da voi, la denuncia della violenza”, dice ai giovani. “La violenza distrugge, la violenza non costruisce, e lo vediamo nelle dittature militari e non militari nel corso della storia. Abbiamo bisogno della profezia della non-violenza, è molto più facile dare uno schiaffo in faccia quando si riceve uno schiaffo, invece di porgere l’altra guancia”, afferma, ricordando l’esempio di Gandhi. “La gentilezza – aggiunge il Papa – è una delle cose umane più belle, nasce dalla tenerezza”.   Francesco mette in guardia anche dal “gioco dell’ipocrisia”: “Avvelena la tua vita. La sincerità costa e ti porta avanti nella conversione all’armonia con il mondo”.

La natura non perdona mai

Di armonia il Papa parla anche a riguardo della creazione, questione che più di uno studente propone nel suo intervento. Si citano dati drammatici: 20 milioni all’anno di persone in fuga dalla propria terra per i cambiamenti climatici; una previsione di 1,4 miliardi di rifugiati climatici entro il 2060. Francesco ribadisce quindi l’invito alla cura della Casa comune e ricorda un detto spagnolo: “Il Signore perdona sempre, noi perdoniamo a volte, la natura non perdona mai”.

Accogliere e integrare i migranti

Nel dialogo, ampio spazio viene dedicato al tema delle migrazioni. Toccante l’intervento di una ragazza sudamericana emigrata con la famiglia che denuncia il trattamento ricevuto: “Non siamo stupratori, assassini, tossicodipendenti… Siamo sognatori laboriosi che offrono a questo Paese il meglio di noi stessi”. Il Papa risponde ribadendo il teorema fatto di quattro verbi, utili ad affrontare quello che descrive come “uno dei drammi più gravi” del nostro secolo. “Stiamo vedendo persone che lasciano la loro terra per problemi politici, guerre, problematiche economiche, culturali. Il principio è molto chiaro: il migrante bisogna accoglierlo, bisogna accompagnarlo, bisogna promuoverlo, bisogna integrarlo”.

Come già in altre occasioni, il Papa ripete che i Paesi devono “onestamente” dire quante persone riescono ad accogliere, così che altri Paesi possano intervenire. In questo modo, si innesca quella “fraternità” necessario per questo mondo diviso. Il Pontefice dice che è bene insistere sul tema perché riguarda tutti, visto che tanti sono “figli di migranti”. “Io stesso – ricorda – sono figlio di migranti”, membro di una famiglia partita dal Piemonte quando “mio padre era un giovane contabile di 22 anni”. Gli Stati Uniti stessi sono “un Paese di migranti: irlandesi, italiani…” e “anche la mia terra, l’Argentina, è un cocktail di migranti”, dice il Papa. La questione, quindi, interpella ognuno di noi, in particolare gli universitari che, sottolinea, devono affrontare, studiare e farsi carico del problema attraverso i tre linguaggi “della testa, del cuore, delle mani”, non cadendo nel rischio di diventare “freddi, senza cuore”.

Prendersi cura delle radici 

Non manca nel colloquio un richiamo al dialogo tra le generazioni. “Radici” è la parola, pronunciata da un ragazzo, che ispira Jorge Mario Bergoglio: “Una delle cose suicide per una società è quando nega le sue radici. Ognuno deve prendersi cura delle proprie radici, per questo insisto sul dialogo tra anziani e giovani. Gli anziani sono le radici, tutti i frutti vengono dalle radici”. Anche i migranti devono, sì, integrarsi nei Paesi di accoglienza, ma non dimenticare le proprie radici, altrimenti “vivranno con la colpa di questo”. 

Una Chiesa “per strada”

Infine, riflettendo sul tema della sinodalità, il Papa non manca di fare un appello a tutta la Chiesa ad essere una Chiesa “per strada”, “in uscita”, non una “Chiesa da museo statico”, dove tutto è pulito e in ordine ma tutto non funziona. Una Chiesa, dunque, che si mette in discussione. A tal proposito, Francesco racconta un aneddoto personale di quando, anni fa, in un barrio di Buenos Aires vide un prete trasformare a Natale e Pasqua la parrocchia in una sala da pranzo aperta a immigrati e a coloro che non avevano nessuno con cui trascorrere le feste: “Mi ha scandalizzato. Ma quello è stato uno schiaffo in faccia per me che ha cambiato il mio cuore”.