Chiesa Cattolica – Italiana

Il Papa: non origliare né spiare, ma ascoltare. Questo rende buona la comunicazione

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Podcast, chat audio, social, reportage. Lo sguardo di Francesco nel Messaggio per la 56.ma Giornata delle Comunicazioni sociali è alle nuove forme dell’informazione attuale, ma l’invito a giornalisti e comunicatori è ad andare in profondità e cogliere l’essenza di ciò che si racconta, si pubblica, si registra. Azione possibile solo attraverso l’“ascolto”, che non significa “origliare o spiare” o tantomeno “parlarsi addosso” come spesso accade nel dibattito pubblico, ma “l’ascolto di sé, delle proprie esigenze più vere, quelle inscritte nell’intimo di ogni persona”. Un modo anche per superare ostacoli e pregiudizi, come quelli sui migranti che non sono “numeri” o “pericolosi invasori”, o per intercettare il “disagio sociale” alimentato dalla pandemia.

“Ascoltare”, quindi. Per una trentina di volte nel documento per la Giornata che si celebra il 29 maggio 2022, Francesco ripete questo verbo che idealmente fa seguito a quell’“andare e vedere” e “sporcarsi la suola delle scarpe” del Messaggio dello scorso anno. L’ascolto, scrive il Papa, “interpella chiunque sia chiamato ad essere educatore o formatore, o svolga comunque un ruolo di comunicatore”: dal genitore all’insegnante, dal comunicatore all’operatore pastorale o il politico.

Chiudere l’orecchio porta all’aggressività verso l’altro

Ascoltare “rimane essenziale per la comunicazione umana”, tuttavia la tendenza è quella di “voltare le spalle e chiudere le orecchie”. “Il rifiuto di ascoltare finisce spesso per diventare aggressività verso l’altro”, sottolinea Papa Francesco. Il rischio è grave:

Solo facendo attenzione a chi ascoltiamo, a cosa ascoltiamo, a come ascoltiamo, possiamo crescere nell’arte di comunicare, il cui centro non è una teoria o una tecnica, ma la capacità del cuore che rende possibile la prossimità.

Ascoltare le storie dei migranti 

“Tutti abbiamo le orecchie, ma tante volte anche chi ha un udito perfetto non riesce ad ascoltare l’altro. C’è infatti una sordità interiore, peggiore di quella fisica”, annota il Pontefice. In quest’ottica, sposta l’attenzione sulla realtà delle migrazioni forzate, problematica complessa che nessuno “ha la ricetta pronta” per risolverla.  

Per vincere i pregiudizi sui migranti e sciogliere la durezza dei nostri cuori, bisognerebbe provare ad ascoltare le loro storie. Dare un nome e una storia a ciascuno di loro. Molti bravi giornalisti lo fanno già. E molti altri vorrebbero farlo, se solo potessero. Incoraggiamoli! Ascoltiamo queste storie! Ognuno poi sarà libero di sostenere le politiche migratorie che riterrà più adeguate al proprio Paese. Ma avremo davanti agli occhi, in ogni caso, non dei numeri, non dei pericolosi invasori, ma volti e storie di persone concrete, sguardi, attese, sofferenze di uomini e donne da ascoltare.

L'”infodemia” generata dalla sfiducia

Con la stessa apprensione, il Papa incoraggia a sfrondare quel muro di disillusione e cinismo sorto tra la gente comune, alimentato sicuramente dalla pandemia.

Tanta sfiducia accumulata in precedenza verso l’“informazione ufficiale” ha causato anche una “infodemia”, dentro la quale si fatica sempre più a rendere credibile e trasparente il mondo dell’informazione.

Con i social cresce la tendenza a origliare e spiare

“Bisogna porgere l’orecchio e ascoltare in profondità, soprattutto il disagio sociale accresciuto dal rallentamento o dalla cessazione di molte attività economiche”, incoraggia il Papa. Attenzione, però, perché “c’è un uso dell’udito che non è un vero ascolto, ma il suo opposto: l’origliare”.

Una tentazione sempre presente e che oggi, nel tempo del social web, sembra essersi acuita è quella di origliare e spiare, strumentalizzando gli altri per un nostro interesse. Al contrario, ciò che rende la comunicazione buona e pienamente umana è proprio l’ascolto di chi abbiamo di fronte, faccia a faccia, l’ascolto dell’altro a cui ci accostiamo con apertura leale, fiduciosa e onesta.

Parlarsi addosso

Un’altra deriva dell’ascolto è quella che “appare purtroppo evidente anche nella vita pubblica, dove, invece di ascoltarsi, spesso ci si parla addosso”, aggiunge il Papa. È “sintomo del fatto che, più che la verità e il bene, si cerca il consenso; più che all’ascolto, si è attenti all’audience”. La buona comunicazione, invece, “non cerca di fare colpo sul pubblico con la battuta ad effetto, con lo scopo di ridicolizzare l’interlocutore, ma presta attenzione alle ragioni dell’altro e cerca di far cogliere la complessità della realtà”, sottolinea il Papa. E questo vale pure per i dibattiti nella Chiesa.

È triste quando, anche nella Chiesa, si formano schieramenti ideologici, l’ascolto scompare e lascia il posto a sterili contrapposizioni.

Sì al dialogo, no al “duologo”

Ancora un rischio evidenzia il Pontefice e cioè che “in molti dialoghi noi non comunichiamo affatto”, ma “stiamo semplicemente aspettando che l’altro finisca di parlare per imporre il nostro punto di vista”. Il dialogo diventa così “un duologo, un monologo a due voci”, scrive Francesco mutuando un’espressione del filosofo Abraham Kaplan.

Non si comunica se non si è prima ascoltato e non si fa buon giornalismo senza la capacità di ascoltare. Per offrire un’informazione solida, equilibrata e completa è necessario aver ascoltato a lungo. Per raccontare un evento o descrivere una realtà in un reportage è essenziale aver saputo ascoltare, disposti anche a cambiare idea, a modificare le proprie ipotesi di partenza.

“Solo se si esce dal monologo, si può giungere a quella concordanza di voci che è garanzia di una vera comunicazione”, rimarca il Papa. Che ricorda una delle regole base del giornalismo, quella di “ascoltare più fonti” e “non fermarsi alla prima osteria”, perché ciò “assicura affidabilità e serietà alle informazioni che trasmettiamo”.

La fatica dell’ascolto e il “martirio della pazienza”

Certo, l’ascolto è una “fatica”, ammette il Papa. Come affrontarla? Francesco richiama quel “martirio della pazienza”, cifra dell’opera diplomatica del cardinale Agostino Casaroli: questa virtù si rendeva necessaria “per ascoltare e farsi ascoltare nelle trattative con gli interlocutori più difficili, al fine di ottenere il maggior bene possibile in condizioni di limitazione della libertà”. Ma anche in situazioni meno difficili l’ascolto richiede pazienza, insieme alla capacità di “lasciarsi sorprendere dalla verità”, fosse pure solo “un frammento”.  

Un apostolato dell’orecchio

In sostanza è un “apostolato dell’orecchio” quello che domanda il Vescovo di Roma. Quello che, si spera, possa caratterizzare il processo sinodale.

Preghiamo perché sia una grande occasione di ascolto reciproco. La comunione, infatti, non è il risultato di strategie e programmi, ma si edifica nell’ascolto reciproco tra fratelli e sorelle. Come in un coro, l’unità non richiede l’uniformità, la monotonia, ma la pluralità e varietà delle voci, la polifonia.  

Exit mobile version
Vai alla barra degli strumenti