Chiesa Cattolica – Italiana

Il Papa: le culture autoreferenziali si ammalano, serve una nuova bellezza

Antonella Palermo – Città del Vaticano

Alla presenza di Papa Francesco, alle 17 del pomeriggio si è aperta ufficialmente la nuova sala espositiva del Palazzo sistino, realizzata con il sostegno degli eredi dell’imprenditore e filantropo statunitense Kirk Kerkoriansi. Nella storica sede del Cortile del Belvedere, il Papa ha visitato anche la mostra “Tutti. Umanità in cammino” con le opere dell’artista Pietro Ruffo, un percorso che attraverso mappe fisiche e allegoriche restituisce la necessità di trovare nella complessità del presente punti di riferimento per riorientarsi.

Il bello e il buono

Il Papa prende la parola dopo il saluto del bibliotecario di Santa Romana Chiesa, il cardinale Tolentino de Mendonça. Il riscontro della comune radice dei termini “bello” e “buono” Papa Francesco lo esprime riprendendo il Vangelo di Giovanni, laddove l’aggettivo kalòs (bello) è usato esclusivamente con riferimento a Gesù e alla sua missione. E cita l’appellativo cristologico “Io sono il bel pastore” (10,11), che noi traduciamo abitualmente “Io sono il buon pastore”. In effetti, Gesù – ricorda il Papa – è il pastore buono, ma anche bello. Poi cita il Vangelo di Matteo dove, invece, Gesù così parla della bellezza dei suoi discepoli: li sfida a risplendere, a rendere visibile la bellezza delle loro opere come una forma di lode a Dio: «Risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere belle e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli» (5,16).

La bellezza non è illusione o puro ornamento

Francesco si augura che la luce della Biblioteca dei Papi “risplenda attraverso la scienza, ma anche attraverso la bellezza” e precisa che la bellezza “non è l’illusione fugace di un’apparenza o di un ornamento: nasce invece dalla radice di bontà, di verità e di giustizia che sono suoi sinonimi”. E aggiunge:

Ma non dobbiamo tralasciare di pensare e di parlare di bellezza, perché il cuore umano non ha bisogno solo di pane, non ha bisogno solo di quello che garantisce la sua immediata sopravvivenza: ha bisogno anche di cultura, di quello che tocca l’anima, che ravvicina l’essere umano alla sua dignità profonda. Per questo la Chiesa deve testimoniare l’importanza della bellezza e della cultura, dialogando con la particolare sete d’infinito che definisce l’essere umano.

Le culture devono integrare

Il Papa elogia il bel risultato del lavoro portato avanti dalla BAV e la finalità di bene con cui viene realizzato. Si sofferma sulla mostra di Ruffo che è un percorso di riflessione sull’Enciclica Fratelli tutti concepito come un dialogo tra antico e presente, tra un patrimonio inestimabile custodito in cinque secoli di storia e l’espressione artistica dell’oggi. Una “scommessa”, questa, che è piaciuta a Papa Francesco, che ricorda:

La vita è arte dell’incontro. Le culture si ammalano quando diventano autoreferenziali, quando perdono la curiosità e l’apertura all’altro. Quando escludono invece di integrare. Che vantaggio abbiamo a farci guardiani di frontiere, invece che custodi dei nostri fratelli? La domanda che Dio ci ripete è quella: “Dov’è il tuo fratello?” (cfr Gen 4,9).

La logica dei blocchi chiusi è sterile e piena di equivoci

Francesco condivide il senso di disorientamento dell’epoca che viviamo e che la pandemia ha accelerato: “L’umanità ha bisogno di nuove mappe per scoprire il senso della fraternità, dell’amicizia sociale e del bene comune – afferma – la logica dei blocchi chiusi è sterile e piena di equivoci”. Sottolinea l’urgenza di quella che definisce “una nuova bellezza” di cui pone in risalto le peculiarità:

Che non sia più il solito riflesso del potere di alcuni, ma il mosaico coraggioso della diversità di tutti. Che non sia lo specchio di un antropocentrismo dispotico, ma un nuovo cantico delle creature, dove trovi effettiva concretezza un’ecologia integrale. Fin dall’inizio del mio pontificato ho chiamato la Chiesa a farsi «Chiesa in uscita» (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 20-24) e protagonista della cultura dell’incontro. La stessa cosa vale per la Biblioteca. Tanto meglio essa serve la Chiesa se, oltre a custodire il passato, osa essere una frontiera del presente e del futuro.

Il Papa richiama alla responsabilità di “tenere vive le radici, la memoria, sempre protesi verso i fiori e i frutti” sognando insieme “nuove mappe”. E conclude accennando alla necessità di passare dall’analogico al digitale, di tradurre sempre più il nostro patrimonio nei nuovi linguaggi. Si tratta di affrontare una sfida storica “con saggezza e audacia” per “tradurre il deposito del cristianesimo e la ricchezza dell’umanesimo nei linguaggi dell’oggi e del domani”.

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