Intervista di Francesco con l’Associated Press: dalla morte di Benedetto XVI (“ho perso un padre”) all’invito a non discriminare nessuno, a cominciare dalle persone omosessuali. Poi i rapporti con la Cina (“bisogna proseguire il dialogo”), i dubbi sul rischio ideologia nel percorso sinodale tedesco e la vicenda Rupnik
Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano
La morte di Benedetto XVI, le critiche emerse in alcuni recenti libri, l’omosessualità che “non è un crimine”, la salute personale “buona” nonostante l’età, i rapporti con la Cina, il percorso sinodale tedesco, la vicenda degli abusi del gesuita Marko Rupnik. Sono tanti e di stretta attualità i temi che Papa Francesco affronta in una nuova intervista diffusa oggi con l’agenzia di informazione statunitense Associated Press (AP). È il primo colloquio del Pontefice dopo la morte, il 31 dicembre 2022, del suo predecessore Joseph Ratzinger, del quale Francesco tratteggia la figura nel colloquio con la corrispondente Nicole Winfield avvenuto ieri a Santa Marta.
Di fronte a un dubbio, andavo da Benedetto XVI
Il Papa definisce “un gentiluomo” Benedetto XVI e assicura che con la sua morte “ho perso un padre”: “Per me era una sicurezza. Di fronte a un dubbio, chiedevo la macchina, andavo al monastero e chiedevo”. Jorge Mario Bergoglio, ancora una volta interrogato sulle sue eventuali dimissioni, dice che, se mai rinunciasse al ministero petrino, sarebbe il “vescovo emerito di Roma” e andrebbe “a vivere nella Casa del Clero a Roma”. “L’esperienza di Benedetto – aggiunge – fa già nascere i nuovi papi che si dimettono per inserirsi in modo più libero”. Francesco spiega che il predecessore era ancora legato a una concezione del papato: “In questo non era del tutto libero, perché forse avrebbe voluto tornare nella sua Germania e continuare a studiare teologia da lì. Ma ha fatto tutto il possibile per essere il più vicino possibile. E questo è stato un buon compromesso, una buona soluzione”.
La critica aiuta a crescere
Dal Pontefice anche una riflessione sul suo pontificato, che il prossimo 13 marzo compie dieci anni. All’inizio, spiega, la notizia di un Papa sudamericano è stata accolta con sorpresa da molti dentro e fuori la Chiesa, poi, dice, “hanno iniziato a vedere i miei difetti e non gli sono piaciuti”. A proposito delle critiche ricevute e coincise tutte nell’ultimo periodo, tramite libri o documenti fatti circolare tra i cardinali a firma di pseudonimi, Francesco dice che per lui come per tutti sarebbe sempre meglio non avere critiche “per la pace della mente”: “Sono come un’orticaria, sono un po’ fastidiose, ma li preferisco, perché significa che c’è libertà di parola”. L’importante è che vengano dette “in faccia perché è così che cresciamo tutti, giusto?”. È peggio, secondo il Papa, “se si tratta di un’azione subdola”. Con alcuni fautori di queste critiche Papa Bergoglio dice di aver discusso personalmente: “Alcuni di loro sono venuti qui e sì, ne ho discusso. Normalmente, come si parla tra persone mature. Non ho litigato con nessuno, ma ho espresso la mia opinione e loro l’hanno espressa. In caso contrario, si crea una dittatura della distanza, come la chiamo io, in cui l’imperatore è lì e nessuno può dirgli nulla. No, lasciateli dire perché la compagnia, la critica, aiuta a crescere e a far andare bene le cose”.
Distinguere tra peccato e crimine
Nell’intervista, Francesco viene poi interpellato sul tema della omosessualità che, afferma, “non è un crimine” ma una “condizione umana”, e dei diritti della comunità Lgbtq: “Siamo tutti figli di Dio e Dio ci vuole così come siamo e con la forza che ognuno di noi combatte per la propria dignità. Essere omosessuali non è un crimine”, afferma. Poi, come sempre nella sua predicazione o nelle interviste, mimando un colloquio tra due persone, dice che qualcuno afferma che “è un peccato”. “Prima distinguiamo tra peccato e crimine”, chiarisce Francesco. “È peccato anche mancare di carità gli uni verso gli altri”. È questo lo spunto per il Papa per rivolgere una critica a leggi che definisce “ingiuste” che criminalizzano l’omosessualità: “Credo che ci siano più di 50 Paesi che hanno una condanna legale e di questi credo che una decina, un po’ più o meno, abbiano la pena di morte. Non lo nominano direttamente, ma dicono ‘coloro che hanno atteggiamenti innaturali’”. Un invito ad un diverso approccio è indirizzato anche ai vescovi che discriminano le persone gay e le comunità Lgbtq. In tal senso il Pontefice richiama il Catechismo della Chiesa cattolica che afferma “che le persone con tendenze omosessuali devono essere accolte, non emarginate, accompagnate se viene dato loro un posto”. Nessuno deve essere discriminato, afferma il Vescovo di Roma. E questo non riguarda solo l’omosessualità: “Anche il più grande assassino, il più grande peccatore non dovrebbero essere discriminati. Ogni uomo e ogni donna deve avere una finestra nella propria vita dove poter rivolgere la propria speranza e dove poter vedere la dignità di Dio”.
Sorpreso e ferito dalla vicenda Rupnik
A lungo, nel colloquio ci si sofferma sulla problematica degli abusi del clero. Il rimando è subito alla vicenda del gesuita Marko Rupnik, noto mosaicista, oggi al centro di accuse di abusi sessuali, psicologici e di coscienza, che gli vengono rivolte da suore e che sarebbero avvenuti circa 30 anni fa in Slovenia e poi in Italia. Interpellato in merito, Francesco dice: “Per me è stata una sorpresa, davvero. Questo, una persona, un artista di questo livello, per me è stata una grande sorpresa e una ferita”. L’intera vicenda è stata gestita dalla Compagnia di Gesù, mentre l’istruzione del processo è stata affidata all’incaricato delle questioni legali dei domenicani. Assicura poi di non aver avuto un ruolo nella gestione del caso ma di essere intervenuto solo proceduralmente “in un piccolo processo che è arrivato alla Congregazione della Fede in passato”. Francesco spiega di aver dato indicazioni affinché le due serie di accuse fossero affrontate dallo stesso tribunale che aveva vagliato le prime: “Che continui con il tribunale normale… Altrimenti i percorsi procedurali si dividono e tutto si confonde”. Quanto al fatto che il Vaticano non abbia rinunciato in questo caso alla prescrizione, il Pontefice concorda che è giusto rinunciare “sempre” ai termini di prescrizione nei casi che coinvolgono minori e “adulti vulnerabili”, per mantenere invece le tradizionali garanzie legali con i casi che coinvolgono gli altri adulti, come è accaduto per Rupnik.
Cina, essenziale proseguire il dialogo
Il Papa amplia poi lo sguardo sul lavoro della Commissione per la tutela dei minori e non manca di menzionare l’opera diplomatica svolta dalla Santa Sede. A tal proposito, affronta il tema dei rapporti con la Cina e ribadisce: “Dobbiamo camminare pazientemente”. Riguardo a possibili aperture, “stiamo prendendo provvedimenti”: le autorità cinesi “a volte sono un po’ chiuse, a volte no”. “L’essenziale è che il dialogo non si interrompa”, afferma il Papa. Invece sul cammino sinodale tedesco che porta avanti richieste come l’abolizione del celibato sacerdotale, il sacerdozio femminile e altre possibili riforme di liberalizzazione, Francesco avverte che rischia di diventare dannosamente “ideologico”. Il dialogo è buono, ma “l’esperienza tedesca non aiuta”, afferma il Papa, sottolineando che il processo in Germania fino ad oggi è stato guidato dalla “élite” e non coinvolge “tutto il popolo di Dio”. “Il pericolo è che entri qualcosa di molto, molto ideologico. Quando l’ideologia viene coinvolta nei processi ecclesiali, lo Spirito Santo va a casa, perché l’ideologia vince lo Spirito Santo”. Del cardinale Zen, che ha ricevuto in Vaticano il 6 gennaio scorso, dice che è “affascinante”: ora – osserva – svolge la sua pastorale in carcere “ed è in prigione tutto il giorno. È amico delle guardie comuniste e dei prigionieri. Tutti lo accolgono bene. È un uomo di grande simpatia”. È coraggioso – afferma ancora – ma è anche “un’anima tenera” e ha pianto come un bambino di fronte alla statua della Madonna di Sheshan che ha visto nel suo appartamento a Santa Marta.
La salute e “la grazia dell’umorismo”
Non manca nell’intervista un cenno sulla sua salute. Salute che Jorge Mario Bergoglio definisce “buona”, considerati gli 86 anni e malgrado sia “tornata” la diverticolite per la quale era stato operato al colon lo scorso luglio: “Però è sotto controllo”. Il Pontefice rivela inoltre il dettaglio una piccola frattura al ginocchio dovuta a una caduta, guarita senza interventi chirurgici: “Il ginocchio, grazie a una buona terapia e alla magnetoterapia, al laser… l’osso si è saldato… Sto già camminando, mi aiuto con il carrello, ma sto camminando”. Per la sua età, è tutto “normale”: “Posso morire anche domani, ma dai, è tutto sotto controllo. La mia salute è buona. E chiedo sempre la grazia, che il Signore mi dia il senso dell’umorismo”.