Il Papa: la Quaresima non è una raccolta di fioretti ma un ritorno a Dio

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Debora Donnini – Città del Vaticano

La Quaresima è un viaggio di ritorno a Dio per verificare le strade che stiamo percorrendo e riscoprire il legame fondamentale con il Padre da cui tutto dipende. Non seguire la polvere di “cose che oggi ci sono e domani svaniscono”, ma orientare il navigatore della nostra vita verso di Lui.  È l’esortazione che il Papa rivolge in questo tempo forte di Quaresima che, ricorda, “non è una raccolta di fioretti, è discernere dove è orientato il cuore”. Il rischio è che questo cammino venga ostacolato “dai lacci seducenti dei vizi, dalle false sicurezze dei soldi e dell’apparire, dal lamento vittimista che paralizza”. Come fu per il popolo d’Israele quando lasciò l’Egitto. “È stato più difficile lasciare l’Egitto del cuore del popolo di Dio, che lasciare l’Egitto”, afferma Francesco. La Quaresima è dunque un “esodo dalla schiavitù alla libertà”. Ma “nessuno può riconciliarsi con Dio con le proprie forze”, è il Signore che ci precede venendoci incontro: l’inizio del ritorno è dunque riconoscersi “bisognosi di misericordia”.

Risuonano forti le sue parole, stamani, alla Messa con il Rito della benedizione e imposizione delle Ceneri, segnato anch’esso da una pandemia che continua a imperversare nel mondo. La Celebrazione eucaristica si tiene infatti non come da tradizione nella Basilica di Santa Sabina all’Aventino, ma presso l’Altare della Cattedra, nella Basilica di San Pietro e con una partecipazione dei fedeli molto ristretta in ottemperanza alle misure sanitarie di protezione. La Congregazione per il Culto Divino nei giorni scorsi aveva pubblicato una nota per precisare le modalità da seguire durante la celebrazione che apre la Quaresima: mascherina e formula recitata una volta sola. Quindi, terminato il rito di Benedizione delle ceneri, il Papa pronuncia, una sola volta per tutti, la formula: “Ricordati, uomo, che polvere tu sei e in polvere ritornerai” e impone le ceneri ai cardinali, dopo averle ricevute dal cardinale Comastri. Alcuni frati le impongono ai fedeli.

Bisogna interrogarsi se il nostro cuore sia “ballerino”, amando “un po’ il Signore e un po’ il mondo” oppure saldo in Dio. È quindi il segno stesso dell’abbassare il capo per ricevere le ceneri sul quale il Papa si sofferma per indicare il senso più profondo di questo ritorno. “Finita la Quaresima – dice – ci abbasseremo ancora di più per lavare i piedi dei fratelli”:

La Quaresima è una discesa umile dentro di noi e verso gli altri. È capire che la salvezza non è una scalata per la gloria, ma un abbassamento per amore. È farci piccoli. In questo cammino, per non perdere la rotta, mettiamoci davanti alla croce di Gesù: è la cattedra silenziosa di Dio. Guardiamo ogni giorno le sue piaghe le piaghe che Lui ha portato in Cielo e fa vedere il Padre, tutti i giorni, nella sua preghiera di intercessione. Guardiamo ogni giorno le sue piaghe. In quei fori riconosciamo il nostro vuoto, le nostre mancanze, le ferite del peccato, i colpi che ci hanno fatto male. Eppure proprio lì vediamo che Dio non ci punta il dito contro, ma ci spalanca le mani. 

Il Papa esorta quindi a baciare le piaghe di Gesù: “Nei buchi più dolorosi della vita – sottolinea – Dio ci aspetta con la sua misericordia infinita. Perché lì, dove siamo più vulnerabili, dove ci vergogniamo di più, Lui ci è venuto incontro. E ora ci invita a ritornare a Lui, per ritrovare la gioia di essere amati.

La riflessione di Francesco parte dalle parole del profeta Gioele: “Ritornate a me con tutto il cuore”. Per procedere in questo cammino, si ricordano i viaggi di ritorno che la Parola di Dio racconta: quello del figliol prodigo che indica come il primo passo di ritorno sia “il perdono del Padre” e a rimetterci in piedi con la Confessione. E il Papa in proposito raccomanda ai confessori di essere come il padre: “non con la frusta, con l’abbraccio”.

C’è bisogno, poi, di tornare a Gesù come ha fatto il lebbroso risanato che torna a ringraziarlo:

Tutti abbiamo delle malattie spirituali, da soli non possiamo guarirle; tutti abbiamo dei vizi radicati, da soli non possiamo estirparli; tutti abbiamo delle paure che ci paralizzano, da soli non possiamo sconfiggerle. Abbiamo bisogno di imitare quel lebbroso, che tornò da Gesù e si buttò ai suoi piedi. Ci serve la guarigione di Gesù.

Bisogna, quindi, mettersi davanti a Lui mettendogli davanti le nostre ferite e i peccati. La cenere sul capo ci ricorda che siamo polvere e in polvere torneremo, rileva ancora il Papa ricordando che proprio su “questa nostra polvere Dio ha soffiato il suo Spirito di vita”:

Allora non possiamo vivere inseguendo la polvere, andando dietro a cose che oggi ci sono e domani svaniscono. Torniamo allo Spirito, Datore di vita, torniamo al Fuoco che fa risorgere le nostre ceneri, a quel fuoco che ci insegna ad amare, saremo sempre polvere ma come dice l’inno liturgico: “polvere innamorato”. Ritorniamo a pregare lo Spirito Santo, riscopriamo il fuoco della lode, che brucia le ceneri del lamento e della rassegnazione.

Un viaggio di ritorno che però è possibile “solo perché c’è stato il suo viaggio di andata verso di noi”, perché il Signore è sceso dentro la nostra morte e il nostro peccato. Il Padre è infatti “Colui che esce di casa per venirci a cercare”; “il Signore che ci guarisce è Colui che si è lasciato ferire in croce; lo Spirito che ci fa cambiare vita è Colui che soffia con forza e dolcezza sulla nostra polvere”. Bisogna, quindi, lasciarsi riconciliare:

La conversione del cuore, con i gesti e le pratiche che la esprimono, è possibile solo se parte dal primato dell’azione di Dio. A farci ritornare a Lui non sono le nostre capacità e i nostri meriti da ostentare, ma la sua grazia da accogliere. Gesù ce l’ha detto chiaramente nel Vangelo: a renderci giusti non è la giustizia che pratichiamo davanti agli uomini, ma la relazione sincera con il Padre.

La via del ritorno è quindi “la via dell’umiltà”. A salvarci, infatti, è la grazia: “la salvezza è pura grazia”.