Il Papa: il Sud Sudan non si riduca a cimitero, torni a essere giardino

Vatican News

A Giuba, nel discorso alle autorità, Francesco sottolinea l’urgenza dell’unità, senza ‘se’ e senza ‘ma’: “Ci si intenda e si porti avanti l’Accordo di pace, come anche la Road Map”. Occorre cambiare passo, superando inerzia, doppiezze, opportunismi, clientelismi. “Va arginato l’arrivo di armi”, precisa il Pontefice che sprona, inoltre, la comunità internazionale affinché si coinvolga con pazienza e determinazione nel processo di sviluppo dei popoli

Antonella Palermo – Città del Vaticano

È la grande metafora del fiume a fare da sfondo all’ampio discorso pronunciato da Papa Francesco nel giardino della residenza presidenziale di fronte alle autorità del Sud Sudan. Nella Repubblica Democratica del Congo aveva usato quella del diamante; qui l’immagine a cui si ispira per lanciare un inequivocabile, franco e diretto messaggio di pace e stabilizzazione è quella del corso d’acqua che attraversa il Paese africano. L’auspicio del Pontefice è che il Sud Sudan “si riconcili e cambi rotta”: 

“Il suo corso vitale non sia più impedito dall’alluvione della violenza, ostacolato dalle paludi della corruzione e vanificato dallo straripamento della povertà.”

Il cammino di pace non è più rimandabile

È una terra che il Papa dice di portare nel cuore, quella del Sud Sudan, dove giunge in pellegrinaggio ecumenico. Sul libro d’onore firmato nella visita di cortesia nel palazzo presidenziale scrive: “Qui pellegrino, prego perché in questo caro Paese, dono del Nilo, scorrano fiumi di pace; gli abitanti del Sud Sudan, terra della grande abbondanza, vedano sbocciare la riconciliazione e germogliare la prosperità.”

Una pace il cui cammino è “tortuoso ma non più rimandabile”. La consapevolezza si deduce dal “grido di un intero popolo che, con grande dignità – precisa Francesco – piange per la violenza che soffre, per la perenne mancanza di sicurezza, per la povertà che lo colpisce e per i disastri naturali che infieriscono”.

Anni di guerre e conflitti non sembrano conoscere fine e pure recentemente, persino ieri, si sono verificati aspri scontri, mentre i processi di riconciliazione sembrano paralizzati e le promesse di pace restano incompiute. Questa estenuante sofferenza non sia vana; la pazienza e i sacrifici del popolo sud sudanese, di questa gente giovane, umile e coraggiosa, interpellino tutti e, come semi che nella terra danno vita alla pianta, vedano sbocciare germogli di pace che portino frutto.

Il Pontefice non trascura di fare riferimento al tragico agguato inferto da pastori armati che proprio ieri ha causato la morte di almeno 21 persone, uccise in un raid per il furto di bestiame. La rappresaglia contro una comunità rivale nella contea di Kajo-Keji dell’Equatoria centrale.

C’è bisogno di padri, non di padroni

Come ha ricordato per la Repubblica Democratica del Congo, anche il Sud Sudan – sottolinea il Papa – è una terra di grande abbondanza, non solo come vegetazione ma per le risorse del sottosuolo: un ‘dono del Nilo’. 

Distinte Autorità, siete voi queste sorgenti, le sorgenti che irrigano la convivenza comune, i padri e le madri di questo Paese fanciullo. Voi siete chiamati a rigenerare la vita sociale, come fonti limpide di prosperità e di pace, perché di questo hanno bisogno i figli del Sud Sudan: di padri, non di padroni; di passi stabili di sviluppo, non di continue cadute.

Le ferite lascino il posto a una crescita pacifica, insiste Francesco, guardando e invitando a guardare alle future generazioni che onoreranno questa terra nella misura in cui si saprà consegnarla nella concordia. “La violenza invece, fa regredire il corso della storia”. E implora:

Affinché questa terra non si riduca a un cimitero, ma torni a essere un giardino fiorente, vi prego, con tutto il cuore, di accogliere una parola semplice: non mia, ma di Cristo. Egli la pronunciò proprio in un giardino, nel Getsemani, quando, di fronte a un suo discepolo che aveva sfoderato la spada, disse: «Basta!» (Lc 22,51).

Basta distruzione, è l’ora della costruzione

Rivolte direttamente al presidente e ai vicepresidenti di questo Paese, le parole del Papa si levano con un tono di supplica struggente e fermissima:

È l’ora di dire basta, senza “se” e senza “ma”: basta sangue versato, basta conflitti, basta violenze e accuse reciproche su chi le commette, basta lasciare il popolo assetato di pace. Basta distruzione, è l’ora della costruzione! Si getti alle spalle il tempo della guerra e sorga un tempo di pace! E su questo, signor Presidente, mi viene al cuore quel colloquio notturno che abbiamo fatto, che abbiamo avuto in Uganda: la sua voglia di pace era lì. Andiamo avanti su questo.

Non basta chiamarsi Repubblica, occorre esserlo

Papa Francesco offre un approfondimento sul senso della forma repubblicana di uno Stato e lo fa in quella che è la nazione più giovane del mondo, nata il 9 luglio 2011. La precisazione del potere politico come servizio torna opportuna ancora una volta. Perché “la tentazione sempre in agguato è invece di servirsene per i propri interessi”.

Non basta perciò chiamarsi Repubblica, occorre esserlo, a partire dai beni primari: le abbondanti risorse con cui Dio ha benedetto questa terra non siano riservate a pochi, ma appannaggio di tutti, e ai piani di ripresa economica corrispondano progetti per un’equa distribuzione delle ricchezze.

La garanzia della tenuta di una res-publica è lo sviluppo democratico, precisa il Papa, citando San Giovanni Paolo II e Papa Giovanni a proposito della necessità di assicurare la salvaguardia dei diritti umani di ciascuno. 

È tempo di voltare pagina, senza doppiezze e opportunismi

Tornando alla metafora del fiume Nilo, Bergoglio esprime ancora l’auspicio che il processo di pace non rimanga “impaludato nell’inerzia”. Che ci sia un “cambio di passo”, spera il Papa. L’invito è a sfruttare questa occasione per ricominciare a navigare in acque tranquille, “riprendendo il dialogo, senza doppiezze e opportunismi”. Vincere le “acque malsane dell’odio, del tribalismo, del regionalismo e delle differenze etniche”, dice.

Amici, è tempo di passare dalle parole ai fatti. È tempo di voltare pagina, è il tempo dell’impegno per una trasformazione urgente e necessaria. Il processo di pace e di riconciliazione domanda un nuovo sussulto. Ci si intenda e si porti avanti l’Accordo di pace, come anche la Road Map!

Oltre gli scontri etnici, più coinvolgimento di giovani e donne

Rispettarsi, conoscersi, dialogare. Sono i tre pilastri da tener presente. 

Perché, se dietro ogni violenza ci sono rabbia e rancore, e dietro a ogni rabbia e rancore c’è la memoria non risanata di ferite, umiliazioni e torti, la direzione per uscire da ciò è solo quella dell’incontro: accogliere gli altri come fratelli e dare loro spazio, anche sapendo fare dei passi indietro. Questo atteggiamento, essenziale per i processi di pace, è indispensabile anche per lo sviluppo coeso della società.

La civiltà si misura anche sul ruolo determinante affidato ai giovani, incalza ancora il Papa, che hanno bisogno di spazi liberi in cui ritrovarsi e dibattere “senza paura”, e del coinvolgimento delle donne nei processi politici e decisionali. Occorre rispetto per loro. Così come, dice il Pontefice, pensarsi come un unico popolo presuppone inevitabilmente andare oltre la contrapposizione in gruppi. Un pensiero poi il Papa lo rivolge ai missionari e agli operatori umanitari che agiscono spesso nell’insicurezza. Non li si dimentichi e li si sostenga, avverte. 

Lotta a corruzione e povertà, cure agli sfollati

Con un passaggio all’avidità di guadagno che non risparmia le violenze inferte all’ambiente, la deforestazione ne è un drammatico esempio anche a queste latitudini, Francesco torna a parlare del più ampio tema della corruzione, già affrontato in terra congolese.

Giri iniqui di denaro, trame nascoste per arricchirsi, affari clientelari, mancanza di trasparenza: ecco il fondale inquinato della società umana, che fa mancare le risorse necessarie a ciò che più serve. Anzitutto a contrastare la povertà, che costituisce il terreno fertile nel quale si radicano odi, divisioni e violenza.

Qui l’accenno alla condizione dei milioni di sfollati (previsto un discorso domani a loro dedicato) nel Paese, “relegati ai margini”.  

Il contributo della comunità internazionale

La convivenza umana, conclude il Papa, è possibile se c’è il disarmo. E se c’è una denuncia chiara dall’esterno, pazienza e determinazione nel condividere problemi così radicali e spinosi con altri Paesi, senza tuttavia imporre modelli estranei alla realtà locale. Così si potrà attivare e consolidare una rete di sostegno e di sviluppo che, di fatto, è la grande sfida rilanciata dal Papa da questi territori duramente provati. Il sogno è che i più piccoli potranno avere la libertà di giocare nella spensieratezza invece che avere tra le mani “strumenti da lavoro” o di morte. 

Anzitutto va arginato l’arrivo di armi che, nonostante i divieti, continuano a giungere in tanti Paesi della zona e anche in Sud Sudan: qui c’è bisogno di molte cose, ma non certo di ulteriori strumenti di morte. Altri argini sono imprescindibili per garantire il corso della vita sociale: mi riferisco allo sviluppo di adeguate politiche sanitarie, al bisogno di infrastrutture vitali e, in modo speciale, al ruolo primario dell’alfabetismo e dell’istruzione, unica via perché i figli di questa terra prendano in mano il loro futuro.