Chiesa Cattolica – Italiana

Il Papa: i sacerdoti siano servitori, non preti superman con sogni di grandezza

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

Spogliarsi di sé stessi e delle “idee precostituite”, per guardare alla realtà contingente. Sostituire i “sogni di grandezza”, da “preti superman”, con i sogni di “una Chiesa tutta al servizio” e di “un mondo più fraterno e solidale”. Abbandonare ogni ambizione di “auto-affermazione” per mettere “Dio e le persone” al centro delle preoccupazioni quotidiane, senza scadere in critiche e chiacchiericci che rischiano di trasformare anche i sacerdoti in “zitelloni”. Papa Francesco affida un preciso mandato, che non è altro quello – già espresso in quella famosa omelia della messa crismale del 28 marzo 2013 – di essere “pastori con l’odore delle pecore”, nel discorso ai sacerdoti della comunità del Convitto San Luigi dei Francesi. Si tratta del collegio situato nel complesso della nota parrocchia al centro di Roma, punto di riferimento della comunità d’Oltralpe in Italia, che custodisce tre opere di Caravaggio.

La fraternità in una società segnata dall’individualismo

Proprio “la vostra casa, con la sua testimonianza di vita – dice il Papa nel suo discorso, intervallato da diversi passaggi a braccio, durante l’udienza nel Palazzo Apostolico – può comunicare alle persone che la frequentano i valori evangelici di una fraternità variegata – una bella macedonia, eh? – e solidale, specialmente quando qualcuno attraversa un momento difficile”.

In una società segnata dall’individualismo, dall’affermazione di sé, dall’indifferenza, voi fate l’esperienza di vivere insieme con le sue sfide quotidiane

La tentazione di isolarsi e criticare gli altri

Le sfide, quelle non sono poche nella vita comunitaria. Ad esempio, c’è “la tentazione di creare dei piccoli gruppi chiusi, di isolarsi, di criticare e di parlare male degli altri, di credersi superiori, più intelligenti. Il chiacchiericcio, è un’abitudine dei gruppi chiusi, un’abitudine anche dei preti che diventano zitelloni: vanno, parlano, sparlano … Non aiuta. Lascia perdere. Guardare e pensare alla misericordia di Dio. E questo ci insidia tutti, e non va bene”, avverte Papa Francesco. Il suo augurio, che ha la forma di una raccomandazione, è che “possiate sempre accogliervi gli uni gli altri come un dono”.

In una fraternità vissuta nella verità, nella sincerità delle relazioni e in una vita di preghiera possiamo formare una comunità in cui si respira l’aria della gioia e della tenerezza.

Guardare a San Giuseppe, modello di fedeltà

Ai sacerdoti della comunità francese, Francesco indica la figura di San Giuseppe, nell’anno a lui dedicato, “uomo di fede”, “padre tenero” e “modello di fedeltà e di abbandono fiducioso al progetto di Dio”. Come lui, bisogna mettere in pratica atti di accoglienza, tenerezza, dono di sé e anche avere la fede che Dio può operare nelle fragilità e nelle debolezze. 

Non lasciare da parte le fragilità: sono un luogo teologico. La mia fragilità, di ognuno di noi: luogo teologico di incontro con il Signore. I preti superman finiscono male, tutti. Tutti. Il prete fragile, che conosce le sue debolezze e ne parla con il Signore, questo andrà bene.

“Il prete – aggiunge ancora Papa Francesco – è un uomo che, alla luce del Vangelo, diffonde il gusto di Dio intorno a sé e trasmette speranza ai cuori inquieti”.  

Pastori con l’odore delle pecore 

“Gusto” e “speranza” da trasmettere anche nelle varie Università romane che i sacerdoti del Convitto frequentano: quei luoghi sono infatti, secondo il Papa, occasione di “apprezzare meglio la realtà in cui siete chiamati ad annunciare il Vangelo della gioia”. Tuttavia, ammonisce, “voi non andate sul campo per applicare le teorie senza prendere in considerazione l’ambiente in cui vi trovate, come pure le persone che vi sono affidate”.

Vi auguro di essere pastori con “l’odore delle pecore”, persone capaci di vivere, di ridere e di piangere con la vostra gente, in una parola di comunicare con essa.

Papa Francesco si dice preoccupato nel vedere “riflessioni, pensieri sul sacerdozio, come se fosse una cosa di laboratorio: questo sacerdote, quell’altro sacerdote…”. No, afferma a braccio, “non si può riflettere sul sacerdote fuori dal santo popolo di Dio. Il sacerdozio ministeriale è conseguenza del sacerdozio battesimale del santo popolo fedele di Dio. Questo, non dimenticarlo. Se voi pensate un sacerdozio isolato dal popolo di Dio, quello non è sacerdozio cattolico, no; e neppure cristiano”.

Spogliarsi di sogni di grandezza e auto-affermazione

Spogliatevi di voi stessi, delle vostre idee precostituite, dei vostri sogni di grandezza, della vostra auto-affermazione, per mettere Dio e le persone al centro delle vostre preoccupazioni quotidiane.

Per farlo, bisogna semplicemente “essere pastore”. “’No, io vorrei essere un intellettuale soltanto, non pastore’. Ma, chiedi la riduzione allo stato laicale, ti farà meglio, e fai l’intellettuale. Ma se sei sacerdote, sii pastore. Farai il pastore, in tanti modi di farlo, ma sempre in mezzo al popolo di Dio. Quello che Paolo ricordava al suo discepolo amato: ‘Ricorda tua mamma, tua nonna, dal popolo, che ti hanno insegnato’. Il Signore dice a Davide: ‘Io ti ho scelto dal dietro del gregge’, da lì”.

Avere orizzonti grandi

L’invito è quindi ad “avere sempre orizzonti grandi” e a “sognare”. Anche, non bisogna avere “paura di osare, di rischiare, di andare avanti perché tutto voi potete con Cristo che vi dà la forza”.

Con Lui potete essere apostoli della gioia, coltivando in voi la gratitudine di essere al servizio dei fratelli e della Chiesa

La riconoscenza, arma contro solitudine e scoraggiamento

Il Papa conclude il suo discorso con un ultimo invito: “Coltivare la riconoscenza”. Quella che san Giovanni Maria Vianney definiva “arma potente” per tenere accesa la speranza “nei momenti di scoraggiamento, di solitudine e di prova”. Una riconoscenza, dunque, a Dio “per quello che siete gli uni per gli altri”, ricordando che “con i vostri limiti, le fragilità, le tribolazioni, c’è sempre uno sguardo d’amore posato su di voi e che vi dà fiducia”.

Un forte grazie a monsignor Lourdusamy

A proposito di riconoscenza, Papa Francesco esprime la propria gratitudine a monsignor Lourdusamy, per tanto tempo suo traduttore francese. “Mi ha detto che alla fine di giugno lascerà questo ufficio qui, in Curia… Mi ha detto che lascerebbe, che è stato cacciato via: quello è importante, no?”, scherza il Papa, tra le risate dei presenti. “Io – aggiune – vorrei, di quello che ho detto, fare un riassunto nella persona di lui. Un esempio. Io ho trovato in lui la testimonianza di un sacerdote felice, di un sacerdote coerente, un sacerdote che è stato capace di vivere con martiri beatificati già – che li conosceva a uno a uno – e anche di convivere con una malattia di cui non si sapeva cosa fosse: con la stessa pace, con la stessa testimonianza. E approfitto di questo pubblicamente, anche davanti a L’Osservatore Romano, a tutti, per ringraziarla per la testimonianza, che tante volte mi ha fatto bene. A me ha fatto bene il modo di essere. Lui se ne andrà, ma va a fare il ministero a Marseille, e farà tanto bene con questa capacità che ha di accogliere tutti; ma lascia qui il buon odore di Cristo, il buon odore di un prete, di un bravo sacerdote”.

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