Tiziana Campisi – Città del Vaticano
“In questo tempo di Avvento, chiediamo al Signore, per l’intercessione paterna di San Giuseppe, di rimanere sempre come sentinelle nella notte, attenti a vedere la luce di Cristo nei nostri fratelli più poveri”. Così il Papa in un tweet alla vigilia della chiusura dell’Anno di San Giuseppe, indetto l’8 dicembre dello scorso anno con la pubblicazione della Lettera Apostolica Patris corde, voluta per far riscoprire la “straordinaria figura” del padre putativo di Gesù, “tanto vicina alla condizione umana di ciascuno di noi”, e perché ne ve vengano imitate le virtù. Nel documento Francesco condivide “alcune riflessioni personali” sul custode della famiglia di Nazaret, con l’obiettivo “di accrescere l’amore verso questo grande Santo, per essere spinti a implorare la sua intercessione e per imitare le sue virtù e il suo slancio”.
Giuseppe e la straordinaria normalità
Una figura, afferma don Luigi Epicoco, assistente ecclesiastico del Dicastero per la Comunicazione, che il Papa vuole additare come esempio che può aiutare, sostenere e incoraggiare nella quotidianità.
Nel corso di quest’anno il Papa ci ha fatto conoscere meglio la figura di San Giuseppe delineandone dettagliatamente i tratti, quale messaggio, in sintesi, vuole dare Francesco?
Il Papa non ha nascosto che la scelta di celebrare un anno a San Giuseppe non è una scelta casuale, perché San Giuseppe lo incontriamo nel Vangelo soprattutto in un momento difficile, un momento di prova. Quando Gesù viene nel mondo, viene in un contesto di buio e in questo momento difficile Dio mette accanto al proprio Figlio, Giuseppe, come quella figura che può aiutarlo ad attraversare il buio. Da molti mesi, ormai da due anni, tutta l’umanità è afflitta dalla pandemia del coronavirus; possiamo dire che stiamo vivendo un momento di buio, un momento di prova. È bello che il Papa ha voluto un po’ additare, indicare, la figura di San Giuseppe come quella figura che può aiutarci, sostenerci, incoraggiarci, ma soprattutto ispirarci. Perché c’è un modo sano di attraversare il buio e un modo che potremmo definire disperato, senza fede che può bloccarci in questo buio.
In che modo rendere fruttuoso questo anno speciale dedicato a San Giuseppe appena conclusosi?
Il Papa, tutte le volte che ci indica un evento che ha un inizio e una fine, ci dice anche che è troppo poco che le cose che noi facciamo come Chiesa – ad esempio stiamo vivendo anche il tempo del Sinodo – sia semplicemente qualcosa di racchiudibile dentro una parentesi di tempo, con un inizio e una fine. Cioè, queste sono esperienze che in realtà devono lasciare il segno. Ad esempio, la consapevolezza che noi abbiamo potuto approfondire attraverso la figura di San Giuseppe in questo anno è qualcosa che dobbiamo portare con noi, anche oltre le date, diciamo così. Si chiude l’anno di San Giuseppe, ma rimane un po’ come una sorta di spiritualità che abbiamo appreso da quest’uomo, un modo di vivere il Vangelo, alcune cose che sono assolutamente prioritarie, come ad esempio la vita spirituale, la capacità di saper ascoltare il Signore, la concretezza. Noi potremmo anche sprecare questo tempo se lo chiudessimo semplicemente con una data.
Quali sono, secondo lei, gli insegnamenti di San Giuseppe che ogni cristiano deve tenere a mente?
Il credo che San Giuseppe sia proprio il santo della normalità, e dell’elogio della normalità. La maggior parte della vita di Gesù è accaduta a Nazaret, in un contesto di disarmante normalità e quotidianità. La nostra vita è fatta di routine, è fatta di cose normali, e la grande sfida è farci santi proprio con questa normalità, perché in quella normalità è nascosta l’eccezionalità dell’amore, dell’affrontare le prove con fiducia, del sentirsi uniti. Giuseppe, non fa miracoli nel Vangelo, non viene riportato nessun segno straordinario, ma è un uomo, un uomo che si prende la responsabilità, è un uomo che si fa santo con le cose belle e le cose brutte che gli capitano nella vita. In questo senso, credo che sia un grande maestro per ciascuno di noi.