Chiesa Cattolica – Italiana

Il Papa: Dio soffre per le guerre di chi si dice cristiano, il bene è una scelta

Nell’omelia dei Vespri della Conversione di San Paolo, celebrazione che chiude la Settimana di preghiera per l’unità dei Cristiani, Francesco ricorda che il Signore soffre per “il fraintendimento indifferente” e la “violenza sacrilega” dei cristiani, e ci invita a cambiare e a crescere “nel lavorare insieme verso quella piena unità che Cristo desidera”

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Dio, con la voce di Isaia, “ci ammonisce” e soffre per “il nostro fraintendimento indifferente”, quando noi cristiani “anteponiamo la nostra visione alla sua”, per la “violenza sacrilega” di guerre “intraprese da chi si professa cristiano”. E ci invita ad un “cambiamento di prospettiva”, a guardare gli altri non più solo “con i miei occhi”, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo”. Solo così “per sua grazia cambiamo e cresciamo nel pregare, nel servire, nel dialogare e nel lavorare insieme verso quella piena unità che Cristo desidera”. E’ il cuore dell’omelia di Papa Francesco nella celebrazione dei Secondi Vespri della Conversione di San Paolo, che chiude, come da tradizione, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.

Parole forti di Isaia su ciò “che fa soffrire Dio”

Nella Basilica di San Paolo Fuori le Mura, che custodisce le spoglie mortali dell’Apostolo delle genti, accanto al metropolita ortodosso d’Italia e Malta Polykarpos e al direttore del Centro anglicano di Roma, il vescovo Ian Ernest, il Papa rilegge le “parole forti” del profeta Isaia, dalle quali è stato scelto il tema di questa settimana “Imparate a fare il bene, cercate la giustizia”. Tanto forti, ammette, da sembrare inopportune, visto che “già non mancano oggi notizie tristi e preoccupanti”. Ma è proprio l’attenzione “alle inquietudini del tempo che viviamo” spiega, che deve farci interessare a “ciò che fa soffrire il Signore per cui viviamo”.

Ammonimento e cambiamento

La sua Parola profetica, per bocca di Isaia, “ci ammonisce e ci invita al cambiamento”. Cosa suscita, si chiede Francesco, l’indignazione del Signore verso “il popolo che tanto ama?”. Leggendo il testo, sottolinea che Dio “biasima il fatto che nel suo tempio, nel suo nome, non si compie ciò che Lui vuole: non incenso e offerte, ma che venga soccorso l’oppresso, che sia resa giustizia all’orfano, che sia difesa la causa della vedova”. E ricorda come ai tempi del profeta, si consideravano spesso “benedetti da Dio i ricchi e coloro che facevano molte offerte”, e venivano disprezzati i poveri. Tendenza, commenta, “purtroppo sempre attuale”.

Il “fraintendimento indifferente” che addolora Dio

Ma questo, chiarisce il Pontefice “è fraintendere completamente il Signore. Gesù proclama beati i poveri e nella parabola del giudizio finale si identifica con gli affamati, gli assetati, i forestieri, i bisognosi, i malati, i carcerati”. Questo è “il primo motivo di sdegno”:

Dio soffre quando noi, che ci diciamo suoi fedeli, anteponiamo la nostra visione alla sua, seguiamo i giudizi della terra anziché quelli del Cielo, accontentandoci di ritualità esteriori e rimanendo indifferenti nei riguardi di coloro ai quali Egli tiene maggiormente. Dio dunque si addolora, potremmo dire, per il nostro fraintendimento indifferente.

La “violenza sacrilega” contro il tempio di Dio che è l’uomo

Il secondo e più grave” motivo che offende il Signore è “la violenza sacrilega”. Isaia parla di “delitto e solennità”, di mani che “grondano sangue”. Dio è “irritato”, spiega Papa Francesco “per la violenza commessa verso il tempio di Dio che è l’uomo, mentre viene onorato nei templi costruiti dall’uomo!”

Possiamo immaginare con quanta sofferenza debba assistere a guerre e azioni violente intraprese da chi si professa cristiano.

La fede non autorizza “nazionalismo violento” e xenofobia

E qui il Papa ricorda quel santo che “protestò contro l’efferatezza del re andando da lui in Quaresima a offrirgli della carne; quando il sovrano, in nome della sua religiosità, rifiutò sdegnato, l’uomo di Dio gli chiese perché avesse scrupoli a mangiare carne animale mentre non esitava a mettere a morte dei figli di Dio”. Francesco utilizza le parole dell’Enciclica Fratelli tutti per ammonire coloro che, nonostante “lo sviluppo della spiritualità e della teologia”, “ritengono di sentirsi incoraggiati o almeno autorizzati dalla loro fede a sostenere varie forme di nazionalismo chiuso e violento, atteggiamenti xenofobi, disprezzo e persino maltrattamenti verso coloro che sono diversi”.

Se vogliamo, sull’esempio dell’Apostolo Paolo, che la grazia di Dio in noi non sia vana, dobbiamo opporci alla guerra, alla violenza, all’ingiustizia ovunque s’insinuano.

Non solo denunciare, ma passare dal male al bene

Quindi il Pontefice sottolinea che a scegliere il tema delle Preghiere ecumeniche di quest’anno sia stato “un gruppo di fedeli del Minnesota, consapevoli delle ingiustizie perpetrate nel passato nei riguardi delle popolazioni indigene e contro gli afroamericani ai nostri giorni”. Di fronte a disprezzo e razzismo, di fronte “al fraintendimento indifferente e alla violenza sacrilega”, la Parola di Dio ci ammonisce: “Imparate a fare il bene, cercate la giustizia” (Is 1,17).

Non basta infatti denunciare, occorre anche rinunciare al male, passare dal male al bene. Ecco che l’ammonimento è volto al nostro cambiamento.

Con Dio e insieme il cambiamento è possibile

Dopo l’ammonimento, “diagnosticati gli errori, il Signore chiede di rimediarvi”, lavandosi e purificandosi, ma “promette che sarà Lui a lavare i nostri peccati” cosicché “se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana”. Papa Francesco ribadisce che “dai nostri fraintendimenti su Dio e dalla violenza che cova dentro di noi, non siamo capaci di liberarci da soli”. E’ la grazia di Dio la “sorgente del nostro cambiamento”, come ci ricorda la vita dell’Apostolo Paolo. “Da soli non ce la facciamo – sottolinea – ma con Dio tutto è possibile; da soli non ce la facciamo, ma insieme è possibile. Insieme, infatti, il Signore chiede ai suoi di convertirsi”.

La conversione è chiesta al popolo, ha una dinamica comunitaria, ecclesiale. Crediamo dunque che anche la nostra conversione ecumenica progredisce nella misura in cui ci riconosciamo bisognosi di grazia, bisognosi della stessa misericordia: riconoscendoci tutti dipendenti in tutto da Dio, ci sentiremo e saremo davvero, col suo aiuto, “una sola cosa”, fratelli sul serio.

Grato ai cristiani che seguono il Sinodo della Chiesa cattolica

Ci è chiesto quindi, come cristiani, un “cambiamento di prospettiva”, riscoprendo che, e qui il Papa cita la costituzione conciliare Lumen Gentium, “tutti i fedeli sparsi per il mondo sono in comunione con gli altri nello Spirito Santo”.

In questo cammino di comunione, sono grato che tanti cristiani di varie comunità e tradizioni stiano accompagnando con partecipazione e interesse il percorso sinodale della Chiesa cattolica, che auspico sempre più ecumenico.

Non lavoriamo per il nostro gruppo ma per il Regno di Dio

Francesco però invita a non dimenticare che “camminare insieme” e riconoscerci “in comunione gli uni con gli altri nello Spirito Santo comporta un cambiamento, una crescita che può avvenire solo, scriveva Benedetto XVI nell’Enciclica Deus caritas est, “a partire dall’intimo incontro con Dio”, per imparare “a guardare quest’altra persona non più soltanto con i miei occhi e con i miei sentimenti, ma secondo la prospettiva di Gesù Cristo. Il suo amico è mio amico”. Il Pontefice invoca allora l’aiuto dell’apostolo Paolo, e del suo “coraggio indomito”, nella conversione

Perché, nel nostro cammino, è facile lavorare per il proprio gruppo anziché per il Regno di Dio, spazientirsi, smarrire la speranza di quel giorno in cui «tutti i cristiani, nell’unica celebrazione dell’Eucaristia, si troveranno riuniti in quella unità dell’unica Chiesa che Cristo fin dall’inizio donò alla sua Chiesa».

I saluti a tutti i fratelli presenti

In conclusione, Papa Francesco si augura che questi suoi pensieri suscitati dalla Parola aiutino tutti “perché, da Dio ammoniti, per sua grazia cambiamo e cresciamo nel pregare, nel servire, nel dialogare e nel lavorare insieme verso quella piena unità che Cristo desidera”. E ringrazia per la loro presenza il metropolita Polykarpos, rappresentante del Patriarcato Ecumenico, il vescovo Ian Ernest, rappresentante personale dell’Arcivescovo di Canterbury a Roma, e i rappresentanti delle altre Comunità cristiane presenti. Esprime poi “viva solidarietà” ai membri del Consiglio Panucraino delle Chiese e delle Organizzazioni Religiose, e saluto gli studenti ortodossi e ortodossi orientali, borsisti del Comitato di Collaborazione Culturale con le Chiese Ortodosse presso il Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, e quelli dell’Istituto Ecumenico di Bossey del Consiglio Ecumenico delle Chiese. Invia infine “un caro saluto molto fraterno” anche a Frère Alois e i fratelli di Taizé, “impegnati nella preparazione della Veglia ecumenica di preghiera che precederà l’apertura della prossima sessione del Sinodo dei Vescovi”.

Koch: apprezzare i doni di Dio alle altre Chiese

Al termine della celebrazione, il saluto del cardinale Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, che partecipa insieme al segretario del Dicastero, l’arcivescovo Brian Farrell. Koch ricorda che il senso profondo del tema della Settimana, “Imparate a fare il bene, cercate la giustizia”, è che “l’impegno ecumenico debba essere permeato dallo spirito di conversione e che tutti siamo chiamati alla conversione”. Che la pace sia il frutto della giustizia, chiarisce il cardinale svizzero, “vale anche per i nostri sforzi ecumenici. Noi cristiani troveremo la pace tra di noi se non guardiamo solo ai nostri diritti, ma se apprezziamo anche con gratitudine i doni e le ricchezze che lo Spirito Santo ha affidato ad altre Chiese e Comunità, che sono doni e ricchezze per tutti quanti noi”. Questo per il prefetto, è “il vero amore ecumenico. L’amore, infatti, concilia molteplicità e unità. L’amore non cancella le legittime differenze che esistono anche tra noi cristiani, ma le raccoglie armonicamente in un’unità più profonda che non è imposta dall’esterno ma fruttifica dall’interno”.

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