Il nunzio in Sud Sudan: aspettiamo dal Papa il sostegno alla pace e alla giustizia

Vatican News

Monsignor Hubertus Matheus Maria van Megen racconta la speranza dei sud sudanesi che domani accoglieranno il Pontefice in arrivo dalla Repubblica Democratica del Congo, dopo averlo atteso a lungo. “Sperano che possa portare un po’ di calma in questo Paese, affinché possa finalmente svilupparsi e tutti possano raggiungere i loro sogni”

Francesca Sabatinelli – Juba (Sud Sudan)

Sono racchiusi nel logo della visita di Francesco i dolori e le speranze del Sud Sudan, il più giovane Paese del mondo, indipendente dal 2011, che accoglierà il Papa domani, 3 febbraio, in arrivo dalla Repubblica Democratica del Congo: i contorni della mappa della nazione africana, con i colori della bandiera; la croce, simbolo dell’eredità cristiana del Paese, ma anche della sua sofferenza, due mani che si stringono a indicare il desiderio di riconciliazione dei gruppi, affinché creino una sola nazione; una colomba con un ramoscello d’ulivo a testimonianza del desiderio di pace, e poi la frase del Vangelo di Giovanni “Prego perché tutti siano una cosa sola”.

La guerra e la distruzione

Questo piccolo e fragile Paese, a dispetto delle immense ricchezze su cui poggia, sin dalla sua nascita è tra i luoghi più poveri al mondo, devastato dalla violenza, dalla guerra civile, dagli scontri tra diversi gruppi etnici, da un bilancio di 400 mila morti in sei anni di conflitto, e adesso anche dai cambiamenti climatici che hanno portato miseria, distruzione, fame e milioni di sfollati interni. Il livello di malnutrizione è tale da far collocare il Sud Sudan tra i quattro Paesi con la più grande crisi in atto nel mondo. 

L’incontro in Vaticano 

A dare un forte impulso al processo di pacificazione fu proprio il Papa, nell’aprile del 2019, incontrando i massimi vertici istituzionali del Paese, che nel settembre precedente avevano firmato un accordo di pace: il presidente Salva Kiir e i vicepresidenti designati, tra loro il leader dell’opposizione Riek Machar. A loro Francesco chiese di rimanere nella pace, a loro Francesco lavò i piedi, un gesto mai dimenticato dai sud sudanesi che, dopo la delusione della mancata visita del luglio scorso, rimandata per consentire al Papa di effettuare terapie al ginocchio, oggi lo accolgono, assieme all’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby e al moderatore della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields. Il popolo si aspetta dal Papa un forte incoraggiamento, racconta il nunzio apostolico nel Paese, monsignor Hubertus Matheus Maria van Megen:

L’intervista con monsignor Hubertus Matheus Maria van Megen

Eccellenza, finalmente il Sud Sudan potrà accogliere Francesco, un momento tanto atteso dalla popolazione tutta…

Quando è arrivata la notizia che avevano cancellato la visita del Papa, all’inizio di luglio, c’è stata una grande delusione e molta gente ha detto: “Mah, chissà se il Papa ancora verrà”. Poi, quando all’inizio di dicembre è stato annunciato che questa visita ci sarebbe stata, è stata espressa incredulità, come a dire: “Vediamo se veramente il Santo Padre viene o meno”. Dall’inizio di gennaio, invece, si è manifestata la febbre dell’attesa del Santo Padre e ora, anche da parte del governo, sono tutti fortemente in attesa. Uno dei ministri mi ha detto: “Adesso tutti ci credono veramente, tutti stanno preparando, tutti sperano che tutto vada bene, perché per noi è molto importante che il Papa viene ad incoraggiarci”. Questo è veramente il sentimento generale della popolazione che sta spettando con grande gioia la visita del Santo Padre, dell’arcivescovo di Canterbury e del moderatore della Chiesa di Scozia (Justin Welby e Iain Greenshields, ndr).

È una visita che serve come sostegno e come incoraggiamento per un popolo che ripone molta speranza nella presenza del Papa…

Il popolo del Sud Sudan è un popolo che ha sofferto e non solo recentemente, ma da anni, si potrebbe dire che dall’indipendenza del Sudan dagli inglesi, o poco dopo, già si erano avuti i primi scontri con il Nord, con il governo di Khartum. Questi scontri, questa guerra civile, con tanti morti, massacri e crudeltà, ha continuato per tutti questi anni, con una pausa qui e là, ma c’è stato sempre questo filo di conflitto, di guerra. Poi è arrivata, nel 2011, la tanto attesa indipendenza del Sud Sudan (da Khartoum, ndr) e tutti credevano che finalmente arrivasse la pace. Invece no, dopo 2-3 anni, si è di nuovo cominciato, stavolta però con i conflitti tribali, in qualche modo più crudeli di quello col Nord. Questo conflitto si è calmato un po’, ci sono ancora scontri in alcuni punti del Paese, non più su tutto il territorio, però ancora con morti e feriti. Il popolo è veramente stanco, non ne può più, aspira alla pace, ogni persona vorrebbe vivere una vita in pace, in giustizia, in cui far crescere i figli, in cui c’è abbastanza da mangiare, in cui si possono mandare i figli a scuola, per molta gente in Sud Sudan, però, questa non è una realtà, è solo un sogno che non hanno mai potuto vivere. E allora si spera nell’arrivo del Papa, si spera che in qualche modo Francesco possa portare un po’ di pace e di calma in questo Paese, affinché possa finalmente svilupparsi e arrivare a una vera giustizia in cui tutti possano raggiungere i loro sogni.

Nel 2019 il Papa incontrava in Vaticano le massime cariche istituzionali del Sud Sudan. Tutti ricordano quella forte immagine, dall’alto valore simbolico, di Francesco che si china per baciare i piedi dei leader e che chiede loro di lavorare per avviare percorsi di pace, che cosa ne è stato di quelle parole del Papa?

Il Papa ha fatto questo fortissimo gesto del bacio dei piedi dei governatori dei leader del Sud Sudan e loro stessi, il presidente Salva Kiir e il vicepresidente Riek Machar, me lo hanno confessato: sono rimasti molto commossi da questo gesto, tanto da voler fare il possibile per arrivare ad una pace. Si può dire, in fondo, che da quel giorno in poi, dall’11 aprile 2019, non c’è più stata una guerra aperta, è rimasta però su piccola scala, la guerra è continuata in diversi luoghi. Penso che quasi ci sia una incapacità politica di arrivare ad una vera intesa tra le diverse fazioni per arrivare una pace, e penso che il Papa, in qualche modo, potrebbe essere mediatore, forse non tanto con le parole, ma piuttosto con la sua persona, come Papa, come Pastore della Chiesa, considerando anche che i vertici sono cristiani, soprattutto per il presidente Salva Kiir, che è cattolico, per lui è molto importante che il Papa venga adesso e che lo incoraggi. Io credo che Salva Kiir veramente voglia ascoltare il Papa e Francesco può avere un forte impatto sui leader del Sud Sudan, può incoraggiarli e lo ascolteranno. Credo fermamente che possano arrivare a una certa intesa, perché sanno che è il Papa, Pastore della Chiesa, a desiderarlo, il Vicario di Cristo. Anche il popolo lo vuole, adesso c’è una pressione da tutte le parti affinché i leader arrivino ad una vera pace, che è stata avviata a Roma, in Vaticano, con quel famoso bacio.

E qui si inserisce anche l’importante e il forte valore ecumenico di questa visita. Il Paese è a stragrande maggioranza cristiano e il Papa andrà accompagnato dall’arcivescovo di Canterbury a dal moderatore della Chiesa di Scozia: questo è un valore in più che si inserisce in questo forte messaggio di pace…

Esattamente, e penso anche che questo carattere ecumenico sia anche una testimonianza da parte della Chiesa per poter dire: noi come Chiese cerchiamo di essere uno, cerchiamo di darci la mano, cerchiamo di parlare con una voce, lo chiediamo anche adesso a voi, leader, parlate con una voce, datevi la mano e lavoriamo insieme come leader del Paese, come leader delle Chiese, per un Paese più pacifico e più giusto. Veramente questa è una cosa che si sente molto in Sud Sudan. Le persone, così come i leader delle Chiese, che siano cattolici, anglicani o presbiteriani, loro in primo luogo sono sud sudanesi alla ricerca della pace, e le Chiese possono aiutare ad arrivare a questa pace, le Chiese che si danno la mano e insieme lavorano per questo importantissimo progetto di pace basato sulla giustizia.

L’agenda del Papa, come in ogni viaggio, è estremamente impegnata. Probabilmente il momento più toccante sarà l’incontro di Francesco con gli sfollati, quanto è pesante questa sofferenza nel Paese?

Gli sfollati in Sud Sudan sono milioni, direi quasi che ogni famiglia ha almeno qualche membro, se non tutta la famiglia, che è sfollato. Molti sud sudanesi hanno dovuto lasciare il loro villaggio, la loro città, per andare in un altro posto nel Paese a causa della guerra, del conflitto. Inoltre, ultimamente, ci sono state molte inondazioni, per cui non è solo più il conflitto la causa, ma anche i disastri naturali, ecologici, che pesano su questa nazione, e allora si è pensato che sia molto importante per il Papa di poter incontrare questa gente che vive nei campi sfollati attorno a Juba e alle altre grandi città del Sud Sudan, per poter avere un’impressione della loro sofferenza e anche della loro speranza, la grande forza, direi quasi, del continente africano. Nonostante tutta la miseria in cui una persona possa vivere, gli africani mantengono una certa speranza, mantengono, e lo dico con prudenza, una certa felicità, riescono a sorridere anche nella miseria più profonda, il che è quasi un incoraggiamento anche per noi occidentali, che spesso siamo scontenti e insoddisfatti della nostra situazione. Vivendo con gli sfollati si capisce quanto fortunati siamo noi, paragonati a queste persone che veramente hanno perso tutto e che devono, spesso due o tre volte nella loro vita, ricominciare da capo, perché hanno perso la casa, i campi, purtroppo spesso un loro caro, i bambini, la moglie, il marito, i genitori. In qualche modo devono continuare a vivere, e questo mi sembra forse l’incontro più importante per il Papa, quello con questa gente, per sentire le loro storie, le loro testimonianze, per capire, anche più in fondo, come Cristo sta con loro e soffre con loro. Ecco, mi sembra che questo sia molto importante.