Il dolore del Papa per la morte del “caro fratello” Hummes

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Antonella Palermo – Città del Vaticano

“Porto sempre ben impresse nella mia memoria le parole che Dom Claudio mi disse il 13 marzo 2013, chiedendomi di non dimenticare i poveri”. Così Papa Francesco nel telegramma di cordoglio inviato al cardinale Odilo Pedro Scherer, arcivescovo di San Paolo in Brasile, per la morte del cardinale Claudio Hummes o.f.m., avvenuta ieri lunedì 4 luglio, al termine di una lunga malattia. 

Telegramma del Papa: il ricordo del servizio dedicato e zelante

Il Pontefice assicura le sue preghiere per il riposo eterno di “questo caro fratello”. Esprime gratitudine a Dio per i lunghi anni di un servizio che definisce “dedicato e zelante” e “sempre guidato dai valori evangelici, alla Santa Madre Chiesa nei diversi incarichi pastorali affidatigli sia in Brasile che nella Curia Romana, e per l’impegno negli ultimi anni per la Chiesa in Amazzonia”. Proprio quel “fratello”, Bergoglio volle accanto per l’intero percorso dalla Cappella Sistina alla Loggia delle Benedizioni, la sera dell’elezione al soglio di Pietro, il 13 marzo di nove anni fa. 

I cardinali Scherer e Tempesta: un uomo straordinario, profeta di fraternità

Il cardinale Odilo Pedro Scherer, arcivescovo di San Paolo, addolorato per la perdita di un uomo “straordinario”, ha dichiarato che Hummes è morto dopo una lunga malattia sopportata con pazienza e fede. Ricorda il suo ministero lungamente dedicato in particolare all’accompagnamento dei popoli indigeni, di cui si è fatto portavoce al Sinodo per la Regione Pan-Amazzonica nel 2019. Anche l’arcivescovo di Rio de Janeiro, cardinale Orani João Tempesta, piange la morte di Hummes sottolineando l’aderenza fino alla fine a quel motto “Omnes vos fratres”, inciso sul suo stemma episcopale, che ha ispirato anche l’ultima enciclica del Papa. Un altro chiaro segno di quell’unità di intenti che lo legava a Papa Francesco.

Spengler (Repam): “Ha aperto strade da cui non si può tornare indietro”

Monsignor Evaristo Spengler, presidente della Repam (Rete ecclesiale Panamazzonica) parla del porporato scomparso come di un profeta che lascia in eredità la difesa dei più poveri. Ricorda che, come vescovo di Santo André negli anni Settanta, prese le difese dei lavoratori che si organizzavano in sindacati di fronte alla dittatura militare. “Ha contribuito a organizzare le strutture e lo spirito di una Chiesa missionaria e di servizio in Amazzonia”, precisa ancora. “Nessuno può sostituire la sua grandezza. Lui ha aperto strade dalle quali non si può tornare indietro”. E aggiunge: “Insieme a Papa Francesco ha dato una nuova consapevolezza alla Chiesa in Amazzonia affinché sia una Chiesa profetica e incarnata. Continueremo a portare in Amazzonia il suo impegno”.

Attento ai processi, più che ai risultati immediati, innescati dal Sinodo

“Il suo amore incondizionato per gli altri lo ha sempre messo dalla parte dei poveri, anche nelle situazioni più avverse”, ha dichiarato da l’ex presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva. Chi lo conosceva da tempo lo chiamava Dom Claudio. Il suo era un cuore che batteva per i missionari del Sud del mondo, i lavoratori sottopagati o le vittime del cambiamento climatico. Hummes aveva sempre pregato per la Chiesa affinché fosse sempre salda e unita, “in uscita”. Da relatore generale al Sinodo per l’Amazzonia, aveva insistito sui temi dell’inculturazione, la carenza di sacerdoti, il ruolo dei diaconi e delle donne, la cura della Casa Comune nello spirito dell’ecologia integrale. E si era distinto per la sua capacità di guardare non solo ai risultati immediati dell’assise – giudicati diffusamente insoddisfacenti rispetto alle richieste di molti dei partecipanti – ma al processo che avrebbe aperto nella regione e nel mondo, tanto che negli ultimi tempi, dalla sua nomina a presidente della neonata Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia (2020), più volte aveva riportato l’attenzione proprio sull’applicazione delle indicazioni emerse dalla riunione dei vescovi.