Il contributo di migranti e cittadini di nuova generazione alla lingua italiana

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Antonella Palermo – Città del Vaticano

Mentre a Roma si concludeva la cerimonia di insediamento al Quirinale del rieletto Presidente Sergio Mattarella – che nel suo discorso declinava il termine dignità anche come opposizione al razzismo, sottolineando il valore non accessorio della cultura – nella stessa città si rifletteva sul contributo di migranti e cittadini di nuova generazione alla lingua italiana. L’occasione è stata promossa dal Centro Astalli in collaborazione con la Biblioteca Europea con l’incontro “Lingua madre o figlia?”. Il linguista e filologo Luca Serianni ha dialogato con le due giovani scrittrici Djarah Kan e Asmae Dachan con la moderazione di Marino Sinibaldi, presidente del Centro per il libro e la lettura. 

La lingua è porosa

Ci sono fenomeni che dimostrano vitalità. E’ il caso di quegli scrittori comunemente presentati con l’appellativo che contiene il ‘trattino’ ad indicarne una origine mista con l’italiano. Proprio qua sta la ricchezza, la curiosità, il fascino, spesso facilmente derubricati a categoria di serie B. La questione centrale è se la contaminazione linguistica ci arricchisca. Domanda retorica? Forse sì, perché è chiaro che l’arricchimento c’è, posto sia frutto di ricerca onesta, di consapevolezza. Quali sono i progressi sul piano linguistico negli ultimi trent’anni a fronte delle migrazioni, in Italia? L’input lo pone Sinibaldi e Serianni evidenzia la porosità della lingua italiana, “una lingua senza impero”, che si è affermata non con la forza delle armi ma attraverso il prestigio della letteratura, delle arti e della musica e scelta da molti scrittori in maniera per così dire del tutto gratuita. Tra gli esempi, Mozart – che non solo conosceva l’italiano ma si divertiva a maneggiarlo anche scherzosamente con una grande capacità – e Amara Lakhous, scrittore algerino, nonché antropologo e giornalista, che scrive in italiano indugiando spesso nella mescolanza tra dialetti e anche registri bassi, con punte di esoticità. La lingua è un fattore che nel processo di integrazione non implica una cancellazione della cultura di appartenenza – dice Serianni – ne è un esempio l’esperienza che fa il bambino nato da genitori che parlano lingue diverse”, osserva. 

Djarah Kan: la scrittura è un potere gentile 

Djarah Kan è una scrittrice italo-ghanese, cresciuta a Castel Volturno, poi a Napoli e ora a Roma. Fin da piccola si è interessata alla scrittura come mezzo di espressione e resistenza, in una comunità difficile, profondamente segnata dalle tensioni razziali tra residenti italiani e comunità africane. “L’Africa dei bianchi è piena di conferme esistenziali”, esordisce. Spiega che, a dispetto di quanto si potrebbe pensare, lei ha un rapporto non problematico con la lingua italiana. Si legge una pagina del suo libro “Ladra di denti” (People): è una scrittura per immagini, la sua, ne è fiera. “Io voglio vedere quando leggo”, dice, sostenendo che “noi stiamo costruendo un’Italia molto interessante. Attraverso la nostra letteratura possiamo spezzare degli schemi. La bianchezza è il risultato di un costretto culturale, non è un fatto di epidermide”. Poi, con ironica amarezza, aggiunge: “Se vado in libreria e vedo che il mio libro è stato messo nello scaffale delle migrazioni, storco un po’ il naso. La mia storia, sebbene non lineare, è e resta italiana. Perché noi non possiamo fare compagnia a scrittori come la Ferrante, per esempio? Mi sottraggo alle definizioni calate dall’alto”. La sua determinazione emerge quando ricorda che, pur essendo sempre stata scoraggiata perché nera e donna, ha perseverato nell’amore per la scrittura: “una grande sfida, ma anche un dono”. La definisce “una forma di potere gentile che voglio usare in modo gentile non per distruggere”. 

Asmae Dachan: quel trattino, ponte tra culture

“Finire in categorie dove non ci si sarebbe mai aspettati di ritrovarsi è svilente”. Asmae Dachan, giornalista professionista, fotografa, poetessa e scrittrice italo-siriana, nata ad Ancona, è in piena sintonia con Djarah. Proprio lei, dal nome col dittongo troppe volte confuso con una malattia polmonare, avvolta nel suo velo e dallo sguardo profondo e acuto, che tre anni fa, proprio da Mattarella fu insignita dell’onorificenza al Merito della Repubblica per il suo costante impegno per la pace, l’integrazione tra i popoli e il dialogo interreligioso.  “Scrivere è una esigenza, fin da bambina avevo bisogno di prendere una penna e scrivere. All’inizio scrivevo sui muri di casa”, racconta. Guardando all’esteriorità si pensa a fingure come queste come a degli alieni che vengono da un altro mondo. Ma da quale mondo? Si è sempre cimentata con la lingua italiana, sebbene i suoi parenti le chiedano di scrivere anche in arabo. “Io penso che la lingua riesca ad essere entrambe le cose: madre e figlia”, dice, pur restando affascinata da parole arabe inserite nell’italiano. E racconta di come, ogni volta che va in Sicilia resta meravigliata da quanti fiori (parole) sono mutuate dall’arabo, parole legate al mare, ‘darsena’, per esempio. Si torna a quel trattino (italo-siriana), diventato, crescendo, “un elemento di consapevolezza che la mia anima è un ponte tra Siria e Italia. Mai come durante il conflitto in Siria, mi sono sentita in dovere di raccogliere le testimonianze di siriani e tradurle in italiano per costruire una vicinanza di cuori e di menti”, spiega. “I termini con cui i siriani si riferiscono agli attentati terrorististici, al concetto di casa sono mutati negli anni. Riconoscere questo è sentire che si ha un patrimonio molto importante”, che siamo depositari di una potenzialità che può essere problematica, sì, ma che è arricchente e fruttuosa.