I simboli di Avvento: la terza settimana

Vatican News

Maria Milvia Morciano – Città del Vaticano

In questa terza domenica di Avvento,  siamo giunti a metà del cammino. L’antifona di ingresso si apre con queste parole:

Rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto:
rallegratevi. Il Signore è vicino
! (Cf. Fil 4,4.5)

La candela rosa 

In questo periodo l’attesa è caratterizzata da un crescendo di fiducia e di speranza e, riprendendo la forma di alcuni tipici calendari di Avvento, è come una scala che ci avvicina sempre più al cielo. La terza candela è detta infatti della gioia. In questa settimana il rosa è il colore sia dei paramenti liturgici sia della terza delle quattro candele d’Avvento che via via accendiamo e si fanno strada con la loro luce nel buio dell’inverno, brillano sugli altari delle chiese, nelle comunità o nelle dimore private. 

Il significato del colore rosaceo

Il rosa, o più propriamente il rosaceo, è un colore liturgico facoltativo del rito romano nella IV settimana di Quaresima (domenica laetare) e della terza di Avvento (domenica gaudete), a indicare che il periodo di penitenza e digiuno sta per finire e quindi c’è motivo di esultanza. Il rosaceo è un colore tenue che deriva dalla mescolanza del bianco con una punta di viola. Riunisce in sé il colore della penitenza e quello della festa. L’Avvento in origine durava quaranta giorni finché nel IX secolo fu abbreviato alle quattro settimane odierne, ed era molto simile, quindi, al periodo precedente la Pasqua, quando allo stesso modo  ci si preparava facendo penitenza e digiuno. I diversi colori liturgici, che contrassegnano ciascun periodo, nella forma adottata nei nostri tempi risalgono al 1962 con il Concilio Vaticano II e con PapaGiovanni XXIII. Il rosa, introdotto come nuovo colore al posto del viola che a sua volta aveva sostituito il nero, risale invece al Messale del 1570 di Pio V.  

I pastori

La terza candela è detta anche dei pastori. Ogni tappa del cammino di avvento inquadra un elemento chiave della nascita di Gesù. Dopo i profeti che hanno preannunciato la sua venuta e Betlemme che l’ha localizzata, ora parla dei primi testimoni. Furono loro, infatti, a ricevere dall’angelo la lieta novella:

“C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore ( Luca, 2, 8-11).”

Il sogno del pastorello Benino

Il presepe napoletano è caratterizzato da molti personaggi che affollano lo spazio ricreando i vicoli e le piazzette della città partenopea, il brulicare allegro della vita quotidiana. Non sono dei personaggi a caso, esiste invece una tradizione che assegna a ogni figura un ruolo e un simbolo ben precisi, addirittura in qualche caso ne conosciamo i nomi. È il caso del pastorello Benino che si trova il più distante possibile dalla capanna, in un luogo appartato, ma che scorrendo lo sguardo ci appare per primo, come se fosse all’inizio del percorso presepiale. Tutto questo come a voler creare una distanza spazio-temporale con la Nascita. Il pastorello è svegliato di soprassalto dal padre  interrompendo un sogno meraviglioso che vorrebbe continuare a fare e non sa ancora che quel sogno è realtà ed è proprio lì, poco distante, nello stesso presepe. Nella Cantata dei Pastori di Andrea Perrucci (1698), Benino racconta:  

“Mi sembrava che si aprisse il cielo e che, da lassù, piovesse un misto di argento e d’oro. Vedevo la terra diventare oro e i prati smeraldi; i fiori erano pietre preziose, le gocce di brina erano perle e le colline diamanti; le acque dei ruscelli erano d’argento e dalle viti pendevano grappoli di topazi e di rubini; gli alberi producevano gemme… il mondo era tutto un tesoro! E mentre, estasiato, ammiravo tante ricchezze, volgendo lo sguardo ad est, verso la buia grotta di Betlemme, mi pareva che sorgesse di là una luce immensa, grande come cento soli! E, mentre sorgeva quella luce, sento una voce… Vieni a me, figlio mio, ché io sono colui il quale, scendendo in terra, ricopre il cielo e la terra d’oro e di pietre preziose! Così, abituandomi a quello splendore, in mezzo vi vedevo un bellissimo Bambino sul cui viso era raffigurato il Paradiso!”