I Papi e la Quaresima: il valore dell’elemosina, gesto di amore gratuito

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Le domande sul significato di questo atto di condivisione trovano molteplici risposte nelle parole dei Pontefici. Ripercorriamo alcune riflessioni nel Magistero di Francesco, Benedetto XVI, Giovanni Paolo II, Paolo VI

Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

Gli elementi del cammino spirituale nel tempo di Quaresima sono la preghiera, il digiuno e l’elemosina. Il termine “elemosina”, in particolare, deriva dal greco e significa “misericordia”. Ed indica la gratuità. Nell’elemosina, come sottolineato da Papa Francesco durante la Santa Messa il 5 marzo del 2014, “si dà a qualcuno da cui non ci si aspetta di ricevere qualcosa in cambio”. “L’elemosina ci aiuta a vivere la gratuità del dono, che è libertà dall’ossessione del possesso, dalla paura di perdere quello che si ha, dalla tristezza di chi non vuole condividere con gli altri il proprio benessere”.

Perché l’elemosina deve essere nascosta?

Una caratteristica tipica dell’elemosina cristiana è legata al fatto che deve essere nascosta. Papa Francesco lo ricorda durante l’udienza giubilare del 9 aprile 2016 Gesù “ci chiede di non fare l’elemosina per essere lodati e ammirati dagli uomini per la nostra generosità: fa’ in modo che la tua mano destra non sappia quello che fa la sinistra (cfr Mt 6,3)”. “Non è l’apparenza che conta, ma la capacità di fermarsi per guardare in faccia la persona che chiede aiuto”. Non dobbiamo identificare, quindi, l’elemosina con la semplice moneta offerta in fretta, senza guardare la persona e senza fermarsi a parlare per capire di cosa abbia veramente bisogno”. L’elemosina è “un gesto di amore che si rivolge a quanti incontriamo”.

Cosa rappresenta l’elemosina?

L’elemosina, sottolinea Papa Benedetto XVI nel messaggio per la Quaresima del 2008, “rappresenta un modo concreto di venire in aiuto a chi è nel bisogno e, al tempo stesso, un esercizio ascetico per liberarsi dall’attaccamento ai beni terreni. Quanto sia forte la suggestione delle ricchezze materiali, e quanto netta debba essere la nostra decisione di non idolatrarle, lo afferma Gesù in maniera perentoria: Non potete servire a Dio e al denaro” (Lc 16,13). “L’elemosina – si legge ancora nel messaggio – ci aiuta a vincere questa costante tentazione, educandoci a venire incontro alle necessità del prossimo e a condividere con gli altri quanto per bontà divina possediamo. A questo mirano le collette speciali a favore dei poveri, che in Quaresima vengono promosse in molte parti del mondo”.

Quale legame hanno elemosina e digiuno?

“Cristo – e, dopo di lui, la Chiesa – ci propone pure, nel tempo della Quaresima, i mezzi che servono a questa conversione. Si tratta innanzitutto della preghiera; poi dell’elemosina e del digiuno”. Papa Giovanni Paolo II lo ricorda nel messaggio per la Quaresima del 1979. “L’elemosina e il digiuno come mezzi di conversione e di penitenza cristiana sono strettamente legati fra di loro. Il digiuno significa un dominio su se stessi; significa essere esigenti nei confronti di se stessi, essere pronti a rinunciare alle cose – e non soltanto ai cibi – ma anche ai godimenti e ai vari piaceri. E l’elemosina – nell’accezione più larga ed essenziale – significa la prontezza a condividere con gli altri gioie e tristezze, a donare al prossimo, al bisognoso in particolare; a dividere non soltanto i beni materiali, ma anche i doni dello spirito”. 

Cosa è la vera carità?

Papa Paolo VI l’8 febbraio del 1967, Mercoledì delle Ceneri, ricorda come sia difficile, nella carità materiale, “privarsi di qualche cosa di caro, di utile, forse di necessario: fare una elemosina che davvero incida nei nostri risparmi, nel nostro peculio. Si dà volentieri il superfluo, quel che non costa niente”. “La vera carità, invece, propone di dare qualche parte di ciò che costa, che sembra a noi indispensabile. Qui la sapiente norma che può dischiudere inesplorati orizzonti”.