I leader religiosi: nessuno usi il nome di Dio per benedire il terrore

Vatican News

Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano

Le religioni possono fondare la pace ed educare ad essa. È l’alto richiamo dei leader delle principali fedi del mondo, l’uno seduto accanto all’altro, dopo aver firmato l’appello di pace, letto da Sabera Ahmadi, giovane afghana fuggita dal suo Paese, nella cornice del Colosseo, simbolo di “grandezza ma anche di sofferenza”, al termine dei due giorni di meeting, organizzato dalla comunità di Sant’Egidio, dal titolo “Popoli fratelli. Terra futura”, e che da 35 anni rinnova lo spirito dell’incontro di Assisi, voluto da Giovanni Paolo II. La pandemia di Covid, scrivono i religiosi, ha mostrato quanto gli esseri umani siano sulla stessa barca, che il futuro non appartiene all’uomo dello spreco e dello sfruttamento, ma a esseri umani solidali e popoli fratelli.

Non si usi Dio per benedire il terrore

Il nome di Dio è pace e nessuno deve usare il nome di Dio “per benedire il terrore e la violenza”, recita l’appello. Il mondo è afflitto da guerre, minacce terroristiche e violenze e “si sta riabilitando l’uso della forza come strumento di politica internazionale”. Il pericolo che i leader religiosi intravvedono è quello che si perda la memoria dell’orrore della guerra, perché sta scomparendo chi la seconda guerra mondiale l’ha vissuta.  Un punto importante, che viene indicato anche dal fondatore della comunità di sant’Egidio, Andrea Riccardi, nel suo intervento, quando spiega che oggi “la coscienza dell’orrore della guerra” si è affievolita, che “le relazioni dure tra Paesi, la rivalutazione della forza come strumento politico, sono espressione di una cultura della violenza di cui è parte una politica predatoria verso l’ambiente”. Il Covid ha fatto vedere “la fragilità di un mondo”, ne serve quindi uno nuovo, da costruire tutti assieme, sollecita ancora Riccardi “decisi a far tesoro della lezione sofferta della storia”.

Riprendere il disarmo al più presto

Oggi, prosegue l’appello di pace, la sofferenza è di chi fugge dalle guerre, dalle crisi ambientali, e poi di scartati, deboli e indifesi che, spesso, sono “donne offese e umiliate, bambini senza infanzia, anziani abbandonati”. Bisogna ascoltare i poveri, viene chiesto dalle religioni presenti a Roma, perché sono coloro che “invocano per primi la pace”, e perché è così’ che si comprende meglio “la follia di ogni conflitto e violenza”. “Occorre fare la pace”, è la potente sollecitazione, è urgente però riprendere al più presto il processo di disarmo ormai bloccato, fermare il commercio e l’uso delle armi, e la proliferazione delle armi nucleari, “un’incredibile minaccia”.

Merkel e Al-Tayyeb

Per costruire la pace, è l’indicazione della cancelliera tedesca Angela Merkel, unica personalità politica sul palco, “occorre il dialogo aperto e rispettoso tra i governi e tra le religioni” e non diventare  “spettatori passivi di fronte ai conflitti”. Mentre a ricordare i cinque milioni di vittime di Covid in meno di due anni è il Grande Imam di Al Ahzar, Ahmad Al-Tayyeb, che in modo diretto parla della “criticità grave nella distribuzione del vaccino”, tanto da privarne interi continenti, e poi di una “produzione di vaccino e di modus operandi della sua distribuzione” non all’altezza delle responsabilità. Di qui l’unica alternativa, “la preghiera e le invocazioni con un cuore puro e un comportamento retto”.

Il destino è dei fratelli

La richiesta delle religioni ai fedeli tutti, e non solo, è quella di avere quindi coraggio, perché il futuro del mondo dipende dal fatto che ci si riconosca come fratelli, perché “i popoli hanno un destino da fratelli sulla terra”.