Chiesa Cattolica – Italiana

I catechisti martiri del Mozambico, quando i giganti sono i semplici

Bernardo Suate – Alessandro De Carolis – Città del Vaticano

Primi anni Novanta di un Mozambico che da vent’anni vive la brutalità di una guerra fratricida. Due fazioni, la Frelimo di ispirazione marxista-leninista e la Renamo di stampo conservatore si combattono con ferocia. Un giorno, il 22 marzo del 1992, campo di una battaglia impensabile diventa il più disarmato dei bastioni, il centro catechistico di Guiúa. Qui piombano i guerriglieri della Renamo in cerca di notizie sul fronte nemico. Nel centro ci sono una quindicina di famiglie, con bimbi piccoli. I grandi sono catechisti che partecipano a un corso di formazione gestito dai Missionari della Consolata. I miliziani pretendono dai catechisti informazioni che i catechisti non possono dare. E allora scatta la rappresaglia. Una ventina fra loro vengono portati in una radura poco distante, interrogati e freddati uno a uno. Alcuni, compreso ben presto che non avranno scampo, chiedono di pregare. Qualche minuto dopo gli spari spengono l’ultima preghiera. Una storia che la Chiesa del Mozambico non ha più dimenticato, soprattutto ora che per i 24 catechisti è in corso la causa di beatificazione, guidata dal postulatore Monsignor Diamantino Guapo Antunes, vescovo di Téte.

Che importanza riveste questo sacrificio a distanza di 30 anni?

Nella storia recente del Mozambico abbiamo delle belle testimonianze di catechisti che hanno sofferto per il loro servizio alla Chiesa e alcuni sono morti per questo. Attorno ai più conosciuti, i catechisti di Guiúa, è cresciuta presto la fama del martirio per come sono morti: chi li ha uccisi sapeva che il luogo apparteneva alla Chiesa e che si trovavano lì per questi motivi, per formarsi alla luce della Parola di Dio, per servire la Chiesa.

La causa di beatificazione che li riguarda è in corso. A che punto siamo dell’iter?

Siamo molto avanti. Noi abbiamo iniziato la causa nel 2017. Il vescovo mi ha nominato postulatore e ha nominato anche una commissione di inchiesta che ha interrogato diversi testimoni, persone che conoscevano questi catechisti – alcuni sono dei sopravvissuti al massacro – e queste testimonianze orali assieme ai documenti, cioè alle testimonianze scritte, alla documentazione archivistica, tutto questo è stato organizzato e inviato alla Congregazione delle Cause dei Santi. Adesso siamo alla fase romana, in cui la Santa Sede deve esprimere un giudizio sulla santità, il martirio di questi catechisti. La ragione per cui mi trovo a Roma in questi giorni è per preparare la positio – una tesi probatoria per così dire – e la Congregazione nominerà una commissione teologica, storica, che darà un giudizio sul martirio e penso che questo sia significativo perché l’anno scorso il Papa ha istituito il ministero dei catechisti e qui abbiamo dei modelli dei catechisti, che hanno saputo sacrificarsi in tempi difficili per il bene la Chiesa.

Qual è secondo lei l’importanza del ruolo del catechista e dei laici nella missione della Chiesa?

Il lavoro che svolgono i catechisti nelle Chiese locali è molto importante a tutti i livelli, in modo particolare nella Chiesa africana. Anche oggi i sacerdoti sono in numero insufficiente per la crescita della Chiesa e la sua crescita, il numero dei cattolici, è dovuta  soprattuttoai nostri catechisti che sono i primi evangelizzatori. Sono loro che trasmettono la fede nelle loro comunità, nei loro villaggi, e formano anche altri catechisti. Di qui l’importanza dei centri di formazione: per me la Chiesa senza i catechista manca di qualcosa di essenziale, non può andare avanti.

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