Hollerich: come Chiesa non possiamo rassegnarci alla guerra, lavoriamo per la pace

Vatican News

Stefano Leszczynski – Città del Vaticano

Dall’impegno delle Chiese europee per favorire la pace e la riconciliazione in Ucraina, alle sfide poste dalla secolarizzazione nei paesi dell’Unione europea. Il presidente della Comece – la Commissione che riunisce gli episcopati dell’Ue – il cardinale Jean Claude Hollerich traccia un bilancio degli ultimi cinque anni di mandato. Un periodo storico che ha posto l’Europa di fronte a sfide un tempo inimmaginabili come quelle dovute alla pandemia da Covid o da eventi prettamente politici come la Brexit. Temi che il cardinale Hollerich ha discusso anche nell’incontro avuto nella mattinata di lunedì con Papa Francesco e che ha riassunto ai microfoni di Radio Vaticana – Vatican News. Ogni azione delle Chiese europee, è l’indicazione del porporato, deve tenere conto del benessere delle generazioni future. È ai giovani che bisogna poter lasciare un’Europa di pace, riconciliata e unita tanto al proprio interno quanto di fronte alle sfide internazionali.

Ascolta l’intervista al cardinale Jean-Claude Hollerich

Eminenza, come è stato l’incontro con il Papa?

L’incontro con il Papa è sempre una gioia perché il Santo Padre è molto cordiale, è un Papa che ama l’Europa, che apprezza l’integrazione europea, che vede nell’Europa un fattore di pace nel mondo e di moderazione, anche. Purtroppo, ora abbiamo la guerra in Europa e abbiamo parlato dell’Ucraina perché il cuore del Papa, e anche il nostro cuore, sta con il popolo ucraino che è stato attaccato e c’è ogni giorno gente che muore, gente che ha freddo, gente che non ha niente da mangiare. E questo fa male.

Cosa hanno cercato di fare le Chiese europee per arrestare questo dramma e soprattutto per aiutare coloro che più soffrono e che sono stati costretti a lasciare il proprio Paese?

Prima c’è stata un’azione delle Chiese in Europa ognuna nei propri Paesi per accogliere i profughi dell’Ucraina. Anche in casa mia ho una famiglia dell’Ucraina, una madre con due figli, e sarò contento di poter celebrare il Natale insieme con loro. Ma questo è soltanto un punto, noi come Chiesa non possiamo mai accontentarci di questa guerra, dovremmo sempre, sempre prendere iniziative per una tregua, per la pace.  È naturale anche che la Chiesa cattolica non possa agire da sola. Dunque, siamo in contatto stretto molto cordiale con la Kek, che è l’organizzazione delle altre Chiese in Europa, ortodosse, protestanti, anglicane. Siamo andati insieme in Polonia per vedere l’accoglienza dei profughi e lavoriamo per una tregua, per la pace. Naturalmente non siamo diplomatici e le nostre mani sono piccole, ma facciamo tutto quello che è possibile, penso che questo lo dobbiamo a Dio e all’umanità.

Una delle sfide probabilmente tra le più pressanti per il futuro della Chiesa e delle Chiese sarà proprio quella di pensare a come ricostruire il tessuto sociale dell’Ucraina dopo la guerra…

Sì, bisogna ricostruire il tessuto sociale e anche bisogna trovare una riconciliazione con la Russia, perché noi abbiamo l’esperienza a Lussemburgo della Seconda Guerra mondiale. È stata un’esperienza molto dolorosa, ho conosciuto tante persone che avevano odio verso la Germania, ma poi è cambiato! Ora la Germania è un Paese amico e i tedeschi sono sempre i benvenuti nel Paese, dobbiamo arrivare alla stessa cosa: a una riconciliazione, una pace dove i due partiti possono mantenere la loro faccia, non bisogna far perdere la faccia né alla Russia né all’Ucraina, altrimenti la pace non è possibile, ma questo sarà il frutto di un lungo lunghissimo dialogo e spero che potremo entrare in una tale fase.

Gli ultimi cinque anni sono stati anni ricchi di sfide e di imprevisti della storia. Abbiamo avuto drammi come la pandemia, che ha sconvolto la vita di tutti noi; abbiamo avuto episodi in Europa che nessuno si aspettava con Paesi membri che hanno lasciato l’Unione, un’Unione tanto faticosamente costruita e che molti vogliono ancora raggiungere e allargare. E poi tanti cambiamenti anche all’interno delle istituzioni europee che hanno cercato una sempre maggiore coesione. Come ha vissuto questi momenti storici, lei personalmente e la Comece?

Per me è stata un’esperienza molto bella avere quel dialogo con le istituzioni dell’Unione europea. È vero, la Brexit è stata un dramma, perché prima avevamo sempre Paesi che volevano raggiungere l’Unione, e poi c’è stato un Paese che voleva uscirne e che pensava di poter avere un futuro migliore al di fuori dell’Unione. Abbiamo visto che questo non è possibile. Il Regno Unito va male… Credo che questo è un buon segnale per tutti gli altri che potrebbero pensare all’uscita dall’Unione europea, è un segno di allarme, non si può fare così semplicemente. Le nostre economie sono intrecciate, non ci si può semplicemente staccare. Anche per noi alla Comece – perché noi abbiamo vescovi delegati di ogni Conferenza episcopale – c’era un vescovo delegato della Conferenza Inghilterra e di Wells e un altro delegato della Scozia, ma noi abbiamo votato in favore di questi due Paesi che possono sempre partecipare ai nostri incontri come invitati. Noi li consideriamo come europei e ora penso che sia molto importante che l’Unione europea e il Regno Unito trovino un modo di coesistere pacificamente e aiutarsi reciprocamente, dunque nessuna rivalità, ma veramente un aiuto mutuo, perché i popoli dell’Europa devono avere un progresso di pace e di benessere, dobbiamo pensare alla generazione futura.

In un certo senso è la conferma dell’appello sempre lanciato dalla Chiesa che “nessuno si salva da solo”…

Sì, questo è molto vero. La stessa cosa è stata per la pandemia, all’inizio è stato terribile, il nazionalismo che è tornato, ogni Paese voleva salvarsi da solo, ma non ha funzionato. Allora dopo un’assenza iniziale dell’unione, ognuno si è impegnato e ha fatto molto bene. Però sappiamo che gli spettri del passato ci sono ancora e che bisogna fare attenzione a non provocarli. Dobbiamo fare di tutto per un’integrazione pacifica nell’Unione Europea.

In questi cinque anni lei ha riscontrato delle criticità forse nel rapporto con l’Unione europea, insomma il dualismo tra vita spirituale dell’Europa e vita politica crea ancora o crea talvolta delle difficoltà che vanno superate?

No è chiaro, ci sono vescovi che non capiscono perché ci sia questa attività un po’ politica della Chiesa, ma la Chiesa deve essere dialogo con il mondo e noi abbiamo la Dottrina sociale della Chiesa che è un tesoro. Dobbiamo avere un’azione morale e politica e penso che gli uomini e le donne del mondo politico siano molto contenti di avere una voce qualche volta diretta alla loro coscienza che facilita le cose. Nel Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, l’articolo 17 stabilisce che l’Unione deve avere un dialogo strutturato e aperto con le religioni e questo lo facciamo nel nostro segretariato a Bruxelles, con specialisti in diversi campi della politica europea, fanno un grande lavoro.

La secolarizzazione continua a rimanere una sfida, secondo lei?

Sì, è una sfida. Anche l’Europa diventa secolarizzata. Dopo ogni elezione al Parlamento il numero di cristiani che vogliono veramente vivere la loro fede sta diminuendo. Ma noi possiamo entrare in dialogo anche con gli altri. Io penso che ogni persona sia capace di dialogo e noi siamo in contatto con tutti i partiti, con tutti i gruppi parlamentari, perché insieme vogliamo lavorare per il bene comune in Europa, per ogni cittadino per ogni persona in Europa, che ha un diritto di vivere felice. Se io non fossi stato vescovo, sarei stato nell’età della pensione, e allora penso spesso ai giovani: dobbiamo lasciare a loro un mondo nel quale si può vivere. Sono molto contento anche che nella Comece abbiamo fatto un Consiglio di giovani, perché non dobbiamo soltanto parlare a nome dei giovani, ma dobbiamo dar loro uno spazio per esprimersi e dare anche ai politici la possibilità di realizzare i propri desideri. Dunque, è bello lavorare per lavorare per la generazione che ci segue.

Una generazione che sarà sempre più multiculturale, considerando anche la questione delle migrazioni in Europa…

Sì, abbiamo la Fratelli tutti! La multiculturalità non è una minaccia, ma la possibilità di aprire nuovi orizzonti e di avere un progresso comune dell’umanità. È per questo che sono molto soddisfatto e contento.