“Ho avuto sete”: da Modena acqua potabile in Africa e nel mondo, da 10 anni

Vatican News

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Sono partiti da Modena dieci anni fa, impegnandosi a spegnere le tante forme di sete degli ultimi della società, e in questo periodo sono arrivati estende fino all’Africa subsahariana e al Medio Oriente, senza dimenticare il “prossimo” più vicino, seguendo l’invito di Gesù alle opere di misericordia: “Ho avuto sete e mi avete dato da bere”. Questo lunedì, primo giorno di primavera, l’associazione di volontariato “Ho avuto sete” incontra Papa Francesco con una delegazione di 60 persone, dopo aver realizzato, dal 2012, 47 progetti umanitari in 13 Paesi diversi, per spegnere la sete di acqua potabile e di acqua pulita per l’igiene, soprattutto in Africa, così come la sete di conoscenza e di sapere e, infine, anche la “sete” di salute.

Dal 2012, impegnati anche per terremoti e pandemia

Tutto è cominciato dal desiderio di gruppo di amici di realizzare opere di sviluppo, condivisione e comunione con persone in difficoltà sia in Italia che dall’altra parte del mondo. Il nome l’ha suggerito l’attuale vicario generale della diocesi di Carpi, monsignor Ermenegildo Matricardi. In Italia, l’associazione ha dato il suo sostegno in emergenze come quelle del terremoto del 2012 che ha scosso l’Emilia, l’alluvione che ha colpito Genova nell’ ottobre 2014, e ora la pandemia con la crisi sanitaria, economica e sociale che ha scatenato. 32 progetti all’estero riguardano impianti idrici, altri sono di tipo sanitario ed educativo. Attivati nella fascia subsahariana del continente africano, 13 Paesi tra cui il Burkina Faso, che soffrono maggiormente i cambiamenti climatici e l’ampliamento del deserto, e in Medio Oriente, come in Libano, a Beirut, dopo l’esplosione al porto dell agosto 2020.

Pozzi per l’acqua potabile, ma anche educazione sanitaria

Ogni volta che realizza un impianto idrico che fornisce preziosa acqua potabile, “Ho avuto sede” si impegna anche di sensibilizzare le comunità nelle tecniche igienico-sanitarie per evitare la diffusione di malattie infettive”, cioè tutti comportamenti che a noi sembrano basilari, quotidiani, persino scontati come lavarsi le mani, la corretta conservazione e il corretto consumo degli alimenti, la pulizia dell’abitazione, lo smaltimento dei rifiuti che non deve inquinare le falde acquifere.

Il coinvolgimento delle comunità e istituzioni locali

Ogni impianto garantisce acqua potabile per circa 1.500 persone e per evitare di sprecare l’acqua quando si utilizza l’impianto, il pozzo è dotato di una canalina che confluisce in una vasca, dalla quale possono bere gli animali. In un rapporto di fiducia con le realtà del territorio e in un’ottica di responsabilizzazione di chi vi opera, “Ho avuto sete” non ha personale proprio che segue i progetti in loco, ma ne lascia la gestione a missionari, Caritas e istituzioni pubbliche locali.

Il pozzo in Burkina Faso dedicato al Papa

Nell’udienza con Papa Francesco, il vescovo di Tenkodogo, in Burkina Faso, monsignor Prosper Kontiebo, uno dei referenti di “Ho avuto sete” nel Paese presenterà al Pontefice il dono della dedicazione di uno dei pozzi d’acqua potabile, realizzato nel villaggio di Nèdogo-Koupela. Lo farà con il video che pubblichiamo. 

Il pozzo in Burkina Faso intitolato a Papa Francesco

Progetti in campo sanitario 

Progetti in campo sanitario riguardano le campagne di sensibilizzazione e vaccinazione contro l’epatite B in Burkina Faso e la realizzazione, nel carcere di Chichiri in Malawi, di un reparto per accogliere i detenuti affetti da Covid 19 o altre malattie infettive. In Italia, dal marzo 2020, in occasione del primo lockdown, “Ho avuto sete” ha attivato un servizio telefonico per tenere compagnia alle persone, disponibile tutti i pomeriggi, weekend compresi. Ha promosso una raccolta fondi per l’acquisto di attrezzature per il Policlinico di Modena e collaborato con altri enti territorio per colletta alimentare. Infine ha attivato il progetto Alpha, ancora attivo, gestito da Croce blu di Carpi: tutti i venerdì i volontari dell’associazione portano spesa, alimenti e farmaci a domicilio alle persone che fanno fatica a muoversi o non escono, intimoriti dalla pandemia.

Attenzione anche ai bisogni educativi del giovani

In ambito educativo, l’ultimo progetto attivato, grazie a una missionaria di Carpi, Anna Tommasi, è la costruzione, tra il 2018 e il 2019, di aule e di laboratori di chimica e di fisica per gli oltre 400 studenti e studentesse della scuola cattolica di Chikuli, nella Diocesi di Blantyre, in Malawi. Un’opera supportata sia dalla diocesi proprietaria del terreno che dal Ministero dell’Istruzione del Paese africano. Sono stati poi formato otto professori, quattro della scuola primaria e quattro della secondaria, che possono insegnare non solo le materie umane e linguistiche, ma anche matematica e biologia.

Balestrazzi: l’acqua non è ancora un bene per tutti

A raccontare a Vatican News l’esperienza di “Ho avuto sete” è Andrea Balestrazzi, avvocato, ex presidente e tra i fondatori dell’associazione.

Ascolta l’intervista ad Andrea Balestrazzi (Ho avuto sete)

Andiamo al 2012, alla nascita di “Ho avuto sete”. Perché avete pensato prima di tutto all’acqua, nella vostra volontà di aiutare gli altri e di condividere quello che avete?

L’acqua ha un grande valore simbolico nella vita dell’uomo, anche filosofico, ma purtroppo costituisce anche un’emergenza molto concreta per il nostro tempo, perché dovrebbe essere un bene comune e invece viene distribuita in modo molto diseguale. Tant’è che oggi, secondo i dati dell’Onu, oltre la metà delle persone al mondo vive in situazioni di carenze idriche e con disuguaglianze incredibili, perché il 20 per cento della popolazione mondiale utilizza da sola l’80 per cento dell’acqua presente nel pianeta. Perché abbiamo circa 3 miliardi di persone che non hanno accesso all’acqua per i servizi igienico-sanitari, 800 milioni di persone circa che non hanno accesso all’acqua potabile, e a causa di questo ogni giorno, purtroppo, circa mille bambini muoiono per malattie facilmente evitabili, perché dovute all’uso di acqua di cattiva qualità. Quindi abbiamo ritenuto che questa sia la vera emergenza del nostro tempo e futura. Sono 30 anni dalla istituzione della Giornata mondiale dell’acqua dell’Onu del 1992 ma il 2030 è l’anno nel quale scade l’obiettivo fissato dall’Onu proprio per superare queste difficoltà. L’obiettivo 6 riguarda l’acqua perché si vorrebbe appunto superare queste disuguaglianze.

In udienza donerete al Papa una copia del documentario “La Grande sete” realizzato da Piero Badaloni. Emerge anche questo dramma e dalle testimonianze si capisce a che punto siamo nel tentativo di raggiungere l’obiettivo per il 2030?

“La Grande sete” l’abbiamo proprio pensato, insieme a Piero Badaloni, come un momento di riflessione sulle possibilità concrete di raggiungimento degli obiettivi dell’agenda 2030 riguardo all’acqua. Ci sono una serie di interviste sia al commissario all’Ambiente dell’Unione Europea Sinkevicius, al professor Pasini del Cnr, a padre Alex Zanotelli, ad Agapito del Wwf e anche al filosofo Roberto Mancini per capire a che punto siamo e come gli Stati, anche in Europa, stanno attivando la direttiva sulla cura dell’ acqua e come riuscire a recuperare con queste situazioni che sono ovviamente insopportabili. Anche perché oggi con la guerra e la crisi energetica conseguente, la grande paura è che avremo, ovviamente, un rallentamento nel raggiungimento di questi obiettivi e anzi una regressione all’utilizzo anche sul piano energetico delle fonti fossili.

Dai grandi progetti che coinvolgono le istituzioni internazionali ai piccoli progetti sul terreno. Ci spieghi come operate nella realizzazione dei vostri progetti come il pozzo in Burkina Faso che avete intitolato a Papa Francesco e gli presenterete con un video in udienza.

Noi siamo una organizzazione di volontariato. Abbiamo un paio di cooperanti che lavorano per noi, però siamo nati da un gruppo di amici e la miccia che ha acceso questa attività è venuta anche dall’amicizia con il collegio Capranica e l’allora rettore che ci ha messo in contatto con gli studenti, soprattutto africani che studiavano allora nel collegio. Una volta tornati nei loro Paesi sono diventati i nostri primi punti di riferimento sui progetti in loco. Dal Burkina Faso ci siamo allargati e oggi operiamo in 13 Paesi, in molti casi con missionari o Caritas locali, ma anche direttamente con istituzioni pubbliche. D’altronde noi non siamo un’organizzazione cattolica, al nostro interno ci sono persone di percorsi di vita diversi. Un po’ sullo stile del nostro nome, “Ho avuto sete” richiama le opere di misericordia e la parabola spiega che quello che conta non è certamente una professione formale di appartenenza ma piuttosto una sincerità del cuore e delle opere.

Per raccogliere i fondi per realizzare questi progetti concreti, avete un buon numero di benefattori che vi sostengono. Come li coinvolgete nelle vostre attività? Organizzate anche momenti particolari per loro?

“Ho avuto sete” si muove su due livelli, cioè la realizzazione di progetti umanitari legata alla sete, quindi la costruzione di impianti idrici di acqua potabile dove manca ma che finanziamo con eventi sociali, culturali e anche sportivi legati alla sete di senso, dell’esperienza umana. Cerchiamo di offrire delle occasioni di riflessione alle persone, nelle città soprattutto emiliane in cui operiamo. E con questi eventi, oltre che con le forme tradizionali di sostegno alle organizzazioni di volontariato, finanziamo i progetti.

In conclusione, lei che di volontariato si occupa anche come studioso, come valuta l’esperienza della associazione a 10 anni dalla nascita?

Io credo che, come in ogni incontro umano, quello che è decisivo è il cambio di paradigma che suscita la relazione. Noi pensiamo sempre che il volontariato abbia a che fare con il dare, invece ovviamente ha a che fare con l’essere. Le opere di misericordia ci inducono a un cambio di paradigma, perché se ci pensiamo è la persona che ha sete che ci insegna cosa sia la sete, come in questi giorni sono i profughi che ci insegnano cosa sia l’accoglienza. Si tratta quindi di uscire dalla logica dell’aiuto, che presuppone qualcuno di grado un po’ più alto che aiuta qualcuno che è un po’ più basso. E invece entrare nella logica della cura, nella quale è difficile distinguere chi cura chi, perché il rapporto non è affatto unidirezionale. Si tratta di fare rifiorire la persona, che magari attraversa un periodo di difficoltà, ad una condizione di soggettività umana, di soggetto, una condizione che è comune a tutti.