Giorno del Ricordo, il “valore della verità” sull’eccidio delle foibe e l’esodo

Vatican News

Si è celebrata oggi la giornata, istituita in Italia nel 2004, per fare memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra, causato dalle persecuzioni del regime comunista jugoslavo. Ballarin (Federesuli): Abbiamo pagato con i nostri beni il debito di guerra dell’Italia fascista

Luca Collodi e Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Quasi 300 mila profughi giuliani, dalmati e fiumani costretti a lasciare le loro case dopo il 1945, tra i 5 e 12 mila morti, gettati vivi nelle foibe, le cavità del terreno sul Carso, o fucilati. Sono i terribili numeri dell’eccidio compiuto dai miliziani del regime jugoslavo sulla popolazione italiana della Venezia Giulia, Istria, Quarnaro e Dalmazia, costretta in grande maggioranza all’esodo, che vengono riportati alla memoria ogni 10 febbraio, nel Giorno del Ricordo, istituito nel 2004. Questa mattina al Quirinale, la celebrazione con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha sottolineato “il valore della verità, che rende liberi”.

Per molte vittime l’unica colpa “era di essere italiani”

Mattarella ha criticato chi, facendo leva sulla complessità delle vicende storiche di quegli anni, le utilizza “per sminuire, negare o addirittura giustificare i crimini” subiti dalla popolazione italiana. “Per molte vittime – ha ricordato – giustiziate, infoibate o morte di stenti nei campi di prigionia comunisti, l’unica colpa fu semplicemente quella di essere italiani”. Il capo dello Stato ha ribadito così la condanna dei tentativi di negazionismo e di giustificazionismo che ancora oggi si manifestano.

Il presidente Mattarella con alcuni esuli giuliano-dalmati al Quirinale nel Giorno del Ricordo

Il ricordo del vescovo di Fiume Santin, uomo di pace

Il presidente ha ricordato che la furia dei partigiani titini “si accanì, in modo indiscriminato ma programmato, su tutti: su rappresentanti delle istituzioni, su militari, su civili inermi, su sacerdoti, su intellettuali, su donne, su partigiani ed esponenti antifascisti, che non assecondavano le mire espansionistiche di Tito o non si sottomettevano al regime comunista”. E ha riportato alla memoria anche la figura del vescovo di Fiume e poi di Trieste-Capodistria, Antonio Santin, nato a Rovigno, in Istria, nel dicembre 1895 e morto a Trieste il 17 marzo 1981, che non esitò, dopo aver difeso la popolazione slava dall’oppressione nazifascista, a denunciare le violenze e le brutalità contro gli italiani.

Ballarin: la più grande tragedia italiana dall’Unità

Di questo Giorno del Ricordo 2023 e delle tragedie di quegli anni di dopoguerra, che proseguirono fino al 1955, Luca Collodi ha parlato su Radio Vaticana Italia con Antonio Ballarin, la cui famiglia era di Lussingrande, sull’isola di Lussino, nel Quarnero, già presidente, tra il 2014 e il 2020, della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istriani, Fiumani e Dalmati (FederEsuli).

Ascolta l’intervista ad Antonio Ballarin (Federesuli)

La legge che istituisce in Italia la Giornata del Ricordo è del marzo 2004. Bastò questo perché la tragedia degli eccidi nelle foibe e dell’esodo degli italiani di Istria, Quarnaro e Dalmazia uscisse finalmente dal silenzio?

L’introduzione della legge ha fatto in maniera tale che se ne parlasse di più, in particolare da parte delle istituzioni. Ma io mi ricordo bene quale è stato il punto di svolta. Era il 10 febbraio del 2013, un Giorno del Ricordo, io tornavo da una celebrazione alla Spezia, mi misi in treno a guardare tutti i giornali e mi ricordo che si parlava di questa cosa in una foto notizia sul Corriere della Sera, in una pagina interna, cioè, quindi praticamente non c’era assolutamente visibilità. E allora ci mettemmo con molta umiltà a scrivere ai giornali, alle televisioni, alla Rai ecc… chiedendo di darci spazio. E piano piano questa cosa è passata, anche come memoria condivisa all’interno del nostro Paese.

Cosa rispondere a chi chiede per quale motivo si dovrebbero ricordare queste vicende?

Vanno ricordate per lo meno per due buoni motivi. Il primo: dall’Unità d’Italia ad oggi non c’è mai stata una tragedia simile per la popolazione italiana. E il secondo motivo è che gli esuli giuliano-dalmati hanno pagato con i loro beni il debito di guerra di tutta l’Italia nei confronti di una nazione aggredita dall’Italia durante la Seconda Guerra Mondiale, la Jugoslavia. Quindi lo Stato italiano doveva pagare un debito di guerra e ha usato i beni degli esuli giuliano-dalmati, quindi mi sembra giusto che venga ricordato.

Le foibe e l’esodo: vogliamo ricordare di cosa stiamo parlando?

Dal 1943 in poi, dopo l’armistizio dell’8 settembre, quelle terre restano non difese: lo Stato italiano è in rotta. E fin dall’inizio succede che molte persone di lingua italiana, che erano popolazioni autoctone residenti, vengono perseguitate. Uomini, donne e bambini vengono scaraventati in questi buchi che si chiamano foibe ma non solo. Vengono fucilati, annegati, deportati. E’ un massacro, una tragedia che coinvolge una popolazione di circa 12 mila persone. All’inizio del ‘43 sono per lo più vendette personali, ma dal ‘45 in poi diventa azione quasi sistematica. Dobbiamo ricordare che la maggioranza di questi eccidi avvengono in tempo di pace, cioè dopo il ‘45 e vanno avanti fino alla prima metà degli anni ’50, via via scemando nel tempo. E’ una persecuzione che ha due origini: una è il nazionalismo slavo e l’altra è il comunismo di Tito. Entrambi vedono nella popolazione italiana una presenza che deve essere cancellata, soprattutto il nuovo regime jugoslavo di Tito. E lo dice bene in un’intervista negli anni ‘90 Milovan Gilas, che era ai vertici del Partito comunista jugoslavo dell’epoca, ad un giornale italiano, che non è mai stata smentita. Diceva che “dovevamo eliminare l’elemento italiano che era maggioritario nei luoghi lungo la costa, in Istria, Dalmazia per far vedere alle commissioni alleate che non vi erano italiani presenti in quelle zone”. Quindi la vicenda che è molto complessa, ovviamente, vede lo spopolamento del 90% della popolazione, non solo italiana, ma del 90% della popolazione nelle province di Pola, Fiume e Zara e in parte quella di Trieste che viene annessa al territorio libero e in parte di Gorizia che perde un pezzo del suo territorio.

Così come per la Shoah, anche per le foibe, c’è qualcuno che cerca di negare questa realtà?

Io intanto non metterei mai insieme le due cose, perché sono storie molto diverse. Per la questione delle foibe, più che altro noi subiamo un attacco giustificazionista, di chi dice, più o meno, che gli italiani sono stati cattivi e che il fascismo è stato una tragedia per tutti ed ha operato un processo di nazionalizzazione di alcuni territori dei Balcani. In realtà la cosa è un pò più complessa, ma sostengono che a causa di questo processo di italianizzazione, insomma, i residenti italiani “se la sono cercata”. Come se si potesse giustificare l’uccisione di familiari per le colpe dei loro parenti. Questa è negazione della realtà e anche di una diversità storica.

In questo Giorno del Ricordo 2023 che cosa è previsto?

Sono previste tante manifestazioni: in particolare al Quirinale. Si celebra il 10 febbraio, perché in questo giorno del 1947 l’Italia ha siglato il Trattato di pace a Parigi e quindi è da quella data che sostanzialmente abbiamo perduto questo pezzo d’Italia. Ci sono molte manifestazioni in giro per tutto il Paese che non finiscono il 10 febbraio, ma cominciano già da prima e continueranno anche per molto tempo dopo. Presentazione delle scuole nelle piazze, nei luoghi pubblici, deposizione di fiori ovunque in tutta Italia. Perché finalmente abbiamo la possibilità di ricordare i martiri delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata.