Gallagher: raccapricciante un anno di guerra in Ucraina, ma Dio è sempre con noi

Vatican News

Il segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali ha celebrato questo pomeriggio, con l’Esarca apostolico per i fedeli cattolici ucraini di rito bizantino residenti in Italia, una Messa per il Paese dilaniato, da un anno di conflitto con la Russia esprimendo profondo dolore e sconcerto ma esortando a leggere gli eventi della storia illuminati dalla Parola di Dio

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

Un “evento triste, che speravamo di non arrivare mai a sperimentare”: così monsignor Paul Richard Gallagher, segretario per i Rapporti con gli Stati e le Organizzazioni Internazionali, ha definito la guerra in Ucraina a circa un anno dal suo inizio durante la Messa concelebrata questo pomeriggio a Roma, nella basilica di Sant’Andrea della Valle, Messa per l’Ucraina con l’esarca apostolico per i fedeli cattolici ucraini di rito bizantino residenti in Italia, monsignor Dionisio Lachovicz, il clero dell’esarcato e con religiosi ucraini e sacerdoti di rito latino. “Stiamo celebrando, non senza profondo dolore e sconcerto il primo anniversario” ha detto monsignor Gallagher nella sua omelia parlando del conflitto scoppiato il 24 febbraio dello scorso anno e il cui bilancio, che continua a protrarsi, “sembra un fatto impossibile per il XXI secolo”. “È raccapricciante e la sofferenza che lo accompagna è inimmaginabile” ha aggiunto.

I fedeli presenti alla Messa per l’Ucraina nella chiesa di Sant’Andrea della Valle

Guardare la guerra alla luce della Parola di Dio

Gallagher ha invitato a guardare alla guerra non “alla luce delle notizie sempre più preoccupanti che arrivano dal fronte nella prospettiva degli scenari militari politici che si stanno continuamente tracciando”, né degli sforzi diplomatici “che sembrano tutt’ora incapaci di rompere il circolo vizioso delle violenze”, ma confrontandosi “con la Parola di Dio, che rimane sempre attuale”, che illumina “nella lettura di ogni evento della storia” e indica “la via giusta in ogni situazione della vita”. Il segretario per i Rapporti con gli Stati ha spiegato che “la vocazione fondamentale di tutti” è “quella di servire il Signore, cioè di metterci in relazione con Lui” aggiungendo che “non è facile comprendere il nostro rapporto con Dio come un servizio” e precisando che “servire Dio è tutt’altro che diventare suoi schiavi. Egli infatti, non solo non ha bisogno di nessun servizio nostro, ma ci ha creati liberi e ci vuole liberi. Ha scommesso sulla nostra libertà già dal primo giorno della storia dell’umanità e ha rispettato tale libertà anche quando l’uomo gli ha disobbedito e ha scelto di allontanarsi da Lui”.

Chi serve Dio si prepara alla prova, che non è causata da Lui

Citando la Scrittura, monsignor Gallagher, ha ricordato, poi, che chi si appresta a servire il Signore deve prepararsi alla prova e che “sconvolge sentire che la vita vissuta in libertà che Dio vuole per noi sia accompagnata non dalla tranquillità e dalla felicità, ma dalla difficoltà e dalla prova”. Quest’ultima “conseguenza di un male” e dunque “mai né voluta né causata da Dio che è sempre e solo fonte di bene” è da Lui permessa non perché non la può evitare, “ma perché la può trasformare rendendola per noi occasione di purificazione e di crescita nel rapporto con Lui e nella vita virtuosa”. Dunque, ha proseguito il segretario per i Rapporti con gli Stati, Dio “permette la prova non per annientarci, ma per renderci più valorosi, non per abbandonarci ma per unirci più strettamente a lui. Perciò nella prova non dobbiamo separarci da Dio, né scoraggiarci né temere né smettere di cercare la giustizia ma confidare nel Signore e fare il bene”. E allora bisogna “rimanere fedeli alla sua volontà e contare sulla sua presenza e il suo aiuto”, come dice la Bibbia: “Confidate in Lui e la vostra ricompensa non verrà meno. Sperate nei suoi benefici, nella felicità eterna e nella misericordia, amatelo e i vostri cuori saranno ricolmi di luce, perché il Signore ama il diritto e non abbandona i tuoi fedeli; la salvezza dei giusti viene dal Signore, nel tempo dell’angoscia è loro fortezza”.

Un momento della celebrazione

Essere il primo significa servire tutti

Anche Cristo annunciando apertamente ai discepoli la sua morte sembra parlare di una prova, in contrasto con la promessa del Messia, ha evidenziato monsignor Gallagher, ma “allo stesso tempo, però, Egli annuncia anche la sua Risurrezione dimostrando così che la sua morte non è dovuta alle debolezze di Dio davanti ai complotti umani, ma è la rivelazione del suo amore e la realizzazione della sua opera redentrice”. Il suo sacrificio “è permesso proprio perché lo può superare e trasformare, rendendolo fruttuoso nella Risurrezione”. Eppure, ha fatto notare il segretario per i Rapporti con gli Stati, “l’atteggiamento dei discepoli si dimostra vergognoso, dimostrandoci quanto grande sia la tentazione di cercare piuttosto il potere e di fidarsi in sé stessi anziché di Dio”. Così, mentre Gesù rivela “la sua decisione di spogliarsi della propria vita consegnandosi alla morte”, i discepoli “osano superare la paura di interpellarlo per capire quel misterioso progetto di consegna alla morte” e lasciano emergere “i loro calcoli e schemi di potere chiedendosi chi tra loro fosse più grande”. Un comportamento deludente dinanzi al quale Gesù non si rassegna, ha evidenziato il segretario per i Rapporti con gli Stati, “perché la Verità che deve insegnare è troppo importante”, dice ai discepoli: “Se uno vuole essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti – e prendendo fra le braccia un bambino -. Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome accoglie me e chi accoglie me, non accoglie me, ma Colui che mi ha mandato”. Parole, rimarca monsignor Gallagher, con le quali “Gesù insegna chiaramente che più grande non è quello che si fa servire dagli altri e li sottomette con forza alla sua volontà, ma è con lui che sa farsi piccolo e servire gli altri rispettando la loro libertà”, Cristo mostra, insomma, “che chi ha il potere non è legittimato a disprezzare o opprimere quelli più piccoli, ma deve rispettarli ed apprezzarli”, e “un atteggiamento contrario non va solo contro la dignità dell’uomo, ma è un oltraggio contro Dio stesso”.

I concelebranti

Non c’è lacrima o goccia di sangue che vada perduta

Infine il segretario per i Rapporti con gli Stati ha sottolineato che la Parola di Dio “ci ricorda, anzitutto, che la nostra libertà è un dono grande, ricevuto non dà alcun uomo o da alcuna legge, ma da Dio stesso”, che è “il primo a rispettarlo”. Infatti “offrendoci il bene non ce lo impone mai, ma lo mette dinanzi a noi e ci lascia scegliere”. Monsignor Gallagher ha invitato a coltivarlo “questo dono prezioso” e a difenderlo, “non sono esternamente ma soprattutto interiormente, perseverando nel bene e preservando il cuore da ogni male”, tenendo presente, però, “che facendo il bene non siamo risparmiati dal male, dalla sofferenza e dalla prova” che c’è “la certezza che Dio è sempre con noi e che non c’è lacrima o goccia di sangue che vada perduta”. Il segretario per i Rapporti con gli Stati ha esortato inoltre a imparare da Cristo “a perdonare non nel giorno di Pasqua, ma quando siamo sulla croce”, “senza dimenticare mai che l’unica vera ragione del potere è quella di servire al bene di tutti e che la forza non deve chiudere il cuore, ma aprirlo e non deve escludere ma accogliere”. Terminando la sua omelia monsignor Gallagher ha chiesto di pregare Dio per “la conversione dei cuori. Perché il mondo torni a camminare su vie di pace” e di affidare “all’intercessione della Vergine Maria l’amata Ucraina e il suo carissimo popolo” con la “Preghiera” del poeta Taras Shevchenko: “Manda alle menti e alle mani che faticano su questa terra saccheggiata la tua forza. Concedimi, o Dio, su questa terra il dono dell’amore, quel piacevole paradiso, e nient’altro oltre”.