Francesco in Canada, la potenza dei “gesti umili” che sanno di fraternità

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Gabriella Ceraso – Città del Vaticano 

“Emozionata” dalla presenza in Canada di Francesco e dai suoi gesti potenti quasi più delle parole. Questa la prima reazione di Donatella Fiorani, del Movimento dei Focolari in Canada. Da Montreal dove vive, sta seguendo ogni momento del “pellegrinaggio penitenziale” del Papa, da quando, confessa, i media nell’attesa mostravano qualche perplessità, fino al suo arrivo che in umiltà e semplicità ha sgombrato ogni altro pensiero. Poi i discorsi e i gesti, il baciare le mani ai popoli indigeni, e il suo farsi “vicino” nonstante gli sforzi e le difficoltà fisiche. Donatella ci aiuta a guardare la realtà sociale e ecclesiale di cui il Pontefice sta mettendo in luce diversi aspetti. In particolare nei due incontri di giovedì al Santuario di Sante Anne de Beaupré e poi alla Cattedrale di Notre Dame, Francesco ha guardato alla forza della fede tra fallimenti e speranze, e alla comunità segnata dalla secolarizzazione, ma anche a quelle che ha definito “sfide” :far conoscere Gesù, dare testimonianza e costruire una vera fraternità.

Ascolta l’intervista a Donatella Fiorani

Cosa l’ha colpita finora di più di questo viaggio papale, anche in base alle attese che c’erano?

Direi che sono molto emozionata. Abbiamo visto arrivare il Papa con la sua semplicità, nella sua carrozzina, abbiamo visto il saluto ai rappresentanti delle Prime Nazioni e il Papa che baciava le mani di alcuni di loro. E credo che questi primi gesti più che le parole hanno subito portato alla realtà di questo viaggio come lui lo intende, un “pellegrinaggio penitenziale”. Quello che mi ha colpito è proprio questo atteggiamento di umiltà, di povertà, di semplicità e credo che questo, più che tante parole, può fare breccia anche nell’immaginario collettivo di questo Paese.

Questo viaggio e l’impatto che il Papa sta avendo con le popolazioni indigene incontrate, può stimolare una nuova riflessione sui rapporti anche delle istituzioni con loro?

Spero e credo di sì. Queste popolazioni autoctone nella realtà sono veramente invisibili. Almeno, io vivo qui a Montreal, e gli autoctoni che vedo sono quelli che sono sulla strada, itineranti, nella povertà, in una situazione di degrado. Invece, vedere i popoli autoctoni con il Papa, secondo me è proprio un’occasione per mettere in luce la loro ricchezza e la loro diginità. Noi abbiamo da imparare tanto da loro. Il Papa ha parlato delle loro radici, della trasmissione delle tradizioni, della protezione della famiglia e del Creato, ed è un grande richiamo non solo per la Chiesa, ma anche per la società civile ad accorgersi della ricchezza che questo Paese ha. Quindi spero che la visita del Papa sia veramante un punto di partenza per qualcosa di nuovo, per una comunione più vera, per una conoscenza, perchè si aprano momenti di dialogo e soprattutto per poter arricchirci a vicenda.

Il Papa ha parlato della secolarizzazione di oggi: come vede lei la società canadese sotto questo punto di vista, e quali risposte dare da cristiani?

Io vivo in Quebec e questa provincia è nata proprio dalla presenza e dal contributo dei primi missionari e dei primi santi, che hanno costruito la società. Fa impressione perchè, girando per le strade, qui come nei villaggi e nelle varie città, le strade portano il nome dei santi: è una società fondata su basi della religione cattolica. Ma poi, per la storia vissuta da questo Paese, c’è stato esattamente un rigetto. Non direi tanto dei valori che sono profondissimi – qui fa impressione sentire il senso di solidarietà, il numero di gente che fa volontariato, il senso di rispetto della diversità e penso che sono tutti i valori che hanno profondamente radici cristiane – ma nello stesso tempo siamo in una società che non vuol sentire parlare di religione, non vuole sentire parlare di Dio e che rifiuta i segni religiosi come qualcosa del passato. Credo che la sfida, proprio per vincere questi segni della secolarizzazione come dice il Papa, sia di ritrovare la Chiesa-comunione, la vita-comunione, dare testimonianza della gioia. Perché d’altra parte in questa società così ricca, in cui non manca niente, dove ci sono tanti servizi per tutti i bisogni, quello che si nota invece è tanta solitudine, tante depressioni. Ed è qui, credo, che la testimonianza cristiana possa incidere: con la gioia, la gioia anche nel dolore, la testimonianza di una comunione vera che non sia solo buona educazione, apparenza, ma sia veramente vivere la fraternità di cui il Papa tanto e sta parlando anche in questo pellegrinaggio in Canada.

Cito le parole di saluto dell’arcivescovo di Quebec, il cardinale Lacroix, alla Messa al Santuario Sainte Anne Beaupré, che ha ricordato il “potente appello alla guarigione e alla riconciliazione che si è innalzato dai cuori e da vite martoriate” in questi giorni trascorsi dal Papa in Canada. Crede che siano proprio queste le parole chiave? E come le vive personalmente? 

Sì. Le piaghe, le ferite create nel passato dall’esperienza delle scuole residenziali in cui si è cercato di sradicare cultura, tradizioni e lingue dei popoli indigeni, sono ancora aperte nei sopravvissuti e nei loro discendenti. Ma penso che veramente la visita del Papa possa segnare una via di svolta, come si è detto. Non fermarci più a guardare al passato, anche se è importante non dimenticare, ma cercare veramente di trasformare questo momento in un punto di partenza verso qualcosa di nuovo. E credo che la partenza sia proprio il riconciliarsi, questo riavvicinarci, imparare, metterci in ascolto, in dialogo sincero, lasciando da parte i pregiudizi che si sono accumulati da una parte dall’altra in tutti questi anni e riscoprirci nella dimensione di essere fratelli, di essere tutti su questa stessa terra, e di poter fare finalmente un percorso insieme.