Forte tensione in Sri Lanka a tre anni dagli attacchi di Pasqua

Vatican News

Fausta Speranza – Città del Vaticano

E’ alta la tensione in Sri Lanka. Ieri una persona è rimasta uccisa e altre 14 sono state ferite, di cui tre in maniera grave, dalla polizia che ha sparato vari colpi di arma da fuoco durante una protesta antigovernativa nella città di Rambukkana, circa 80 chilometri a nord-est della capitale Colombo. La polizia ha dichiarato di essere stata obbligata a intervenire per disperdere i manifestanti in risposta al lancio di sassi e altri oggetti e per impedire che dessero fuoco a un’autocisterna che conteneva 30mila litri di carburante. La scelta di sparare è stata fortemente criticata dalla rappresentante delle Nazioni Unite in Sri Lanka e dalla Commissione per i diritti umani del Paese, che ha aperto un’indagine su quanto successo. Le proteste a Rambukkana fanno parte di una serie di manifestazioni in corso nel Paese da settimane contro la gravissima crisi economica. Il 1 aprile il presidente Gotabaya Rajapaksa ha dichiarato lo stato di emergenza.

La strage nel 2019

Nello Sri Lanka, tra manifestazioni per il carovita e arresti,  si ricorda oggi la drammatica giornata del  21 aprile 2019, quando un attacco coordinato di sei attentatori suicidi colpì tre chiese e tre hotel in diverse città, uccidendo oltre 250 persone e ferendone molte altre. Accadeva durante le celebrazioni della Pasqua. La Zion Church di Batticaloa è una delle chiese prese di mira e lì 31 persone, tra cui 14 bambini, hanno perso la vita. A tre anni da questi avvenimenti, denuncia l’onlus Open doors (Porte aperte) da oltre 60 anni impegnata nell’assistenza ai cristiani che soffrono a causa della loro fede, la situazione della comunità cristiana in Sri Lanka continua ad essere critica.  La persecuzione è aggravata dalla crisi economica senza precedenti che il Paese sta affrontando.

L’appello dell’arcivescovo di Colombo

L’arcivescovo di Colombo, cardinale Albert Malcolm Ranjith Patabendige Don, spiega – in un’intervista alla fondazione Aiuto alla chiesa che soffre –  che l’impressione da subito è stata che l’organizzazione dell’attacco non poteva essere frutto di un gruppo locale, isolato: si è pensato subito a un’organizzazione strutturata. “A volte in questa lotta –  dichiara  il cardinale – mi sento un po’ come l’impotente Mosè quando ha cercato di condurre il suo popolo fuori dall’Egitto e attraverso il mare”. E l’arcivescovo  spiega che c’è poca fiducia nelle commissioni di indagine locali, c’è necessità di organismi internazionali.  In qualche modo – sottolinea – rendere giustizia al popolo srilankese non significa vendicarsi, ma scoprire chi è veramente responsabile e perché. E ricorda: “Non c’era nessuna provocazione, le vittime non hanno mai fatto del male a nessuno”.

Responsabilità molteplici

Dopo tre anni e un impegno economico di 2,5 milioni di dollari, il governo dello Sri Lanka ha pubblicato il suo rapporto in 88 volumi sugli attentati della domenica di Pasqua del 2019. L’indagine ha portato a 23.000 accuse contro 25 persone. Tuttavia, la Chiesa cattolica non è convinta che giustizia sia stata fatta per i 269 morti e 500 feriti. L’arcivescovo di Colombo chiarisce: Il rapporto in sé è molto buono, ma devono essere attuate le raccomandazioni che emergono proprio dal rapporto. Ricorda che dall’India continuano a sostenere che le autorità dello Sri Lanka erano state avvertite su quanto si stava preparando. E che anche su questo ci vorrebbe chiarezza. Ricorda che la Commissione di indagine ha fatto sapere che saranno necessarie ulteriori indagini per capire se alcuni individui abbiano avuto un interesse a seminare caos, paura e incertezza nel Paese ignorando le fonti di intelligence. Cita il rapporto della Commissione presidenziale che contiene prove che il governo indiano ha avvertito i  servizi di intelligence quattro volte. Eppure emergerebbe – sottolinea – che il governo dello Sri Lanka non ha informato né il pubblico, né la Chiesa. Sembra abbiano fatto circolare una lettera privata tra di loro, chiedendo agli alti funzionari e ad altri leader di stare attenti e di evitare di parlarne in pubblico. Pertanto, “erano consapevoli della preparazione dell’attacco e sapevano che alcune persone sarebbero state ferite e uccise, ma non volevano impedirlo”. Aggiunge: i servizi di intelligence e la polizia dello Sri Lanka erano a conoscenza delle attività violente di un uomo di nome Zahran Hashim, leader del gruppo islamico National Thowheed Jamath (NTJ), perché prima dell’attacco era stato scoperto un campo di addestramento per estremisti islamici con esplosivi; quindi lo sapevano indipendentemente dagli avvertimenti dell’India.

Il rischio dello scontro interreligioso

Il cardinale denuncia “un tentativo di mettere i cristiani contro i musulmani per spingerli alla violenza” che – dice – “avrebbe potuto provocare un enorme disastro per il Paese”.  L’intera comunità cattolica dello Sri Lanka – dichiara l’arcivescovo di Colombo – vorrebbe conoscere la verità su questi attacchi, perché il danno da essa subito è stato molto, molto importante, con la morte di 269 persone, la maggior parte delle quali cattoliche, per non parlare del tentativo di erigere le comunità religiose l’una contro l’altra, che era l’obiettivo nascosto dietro questi attacchi. Il rischio dopo gli attacchi è stato superato – spiega l’arcivescovo – perché “le comunità religiose dello Sri Lanka hanno reagito in modo straordinario: alcune persone che  hanno aiutato in quella situazione, che hanno aiutato le famiglie cristiane, erano musulmani. “Hanno dato soldi e hanno pianto con le famiglie delle vittime”. Dunque l’appello:  “dobbiamo identificare molto chiaramente chi c’è dietro questo tentativo ed evitare di cadere nella trappola della violenza interreligiosa”. L’arcivescovo raccomanda di pregare, “poiché il Signore è più potente di chiunque altro e può darci giustizia attraverso la preghiera.” “Sono importanti la preghiera – dice – e lo spirito di solidarietà e comprensione, perché in questi attacchi sono stati uccisi non solo srilankesi, ma anche diversi americani ed europei. Tra le vittime, 47 provenivano da 14 Paesi e 82 erano bambini. “Il sangue di tutte queste persone grida al cielo per avere giustizia”.

Terrorismo transnazionale e povertà

Per capire il legame tra gli efferati attacchi di tre anni fa e il forte malcontento di oggi, abbiamo intervistato Silvia Menegazzi, docente di relazioni internazionali alla Luiss ed esperta in particolare di scenari asiatici:

Ascolta l’intervista con Silvia Menegazzi

La professoressa mette in luce innanzitutto l’inasprirsi della crisi economica.  In particolare, negli ultimi giorni le proteste hanno riguardato – spiega – un ulteriore aumento dei costi del carburante e quello di beni essenziali come la farina. A Rambukkana alcuni mezzi hanno bloccato per alcune ore l’autostrada che collega Colombo alla città di Kandy, nell’entroterra, mentre un altro gruppo di persone occupava un tratto della ferrovia della zona. Ma da settimane si manifesta contro il carovita, chiedendo le dimissioni del governo guidato dal presidente Gotabaya Rajapaksa e quelle del primo ministro Mahinda Rajapaksa, suo fratello. E – aggiunge – anche tra  cittadini e autorità locali è aspro il confronto: ci sono  forti disordini anche in piccoli centri in seguito ai continui tagli di corrente, all’aumento del prezzo del gas e alla carenza di cibo. L’attacco – ricorda la professoressa Menegazzi – è stato rivendicato dall’autoproclamato Stato Islamico, per essere poi imputato al gruppo estremista locale National Thowheed Jamath. Il punto – focalizza Menegatti – è capire come a livello internazionale si muovano forze terroristiche che sfruttano i vari contesti sociali. Il primo elemento purtroppo drammaticamente a loro favore – ricorda – è la povertà che alimenta disperazione e mobilitazioni. L’altro elemento – sottolinea – è la debolezza o l’inaffidabilità a livello politico istituzionale, che generano disordine, instabilità. Si crea così un contesto tristemente favorevole alle organizzazioni terroristiche. E Menegazzi avverte: certamente il fatto che non ci siano stati altri fatti di sangue come quello indefinibile di tre anni fa non significa che non ci siano attacchi a livello locale. Ricorda la persecuzione in atto contro i cristiani e lancia un appello: i media dovrebbero occuparsi di tante situazioni anche quando non ci sono numeri eclatanti, quando non c’è un attentato su larga scala. Lo Sri Lanka – raccomanda – non è un Paese da dimenticare, isolato che fa storia per sé. Ma è un Paese significativo e strategico a sud dell’India – afferma –  molto più correlato con il resto del mondo di quanto si immagini.