Festival delle famiglie: donate al Papa cinque storie di vero amore

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Andrea De Angelis – Città del Vaticano

La famiglia lenisce le ferite, fa vivere in armonia anche laddove sono presenti differenze culturali e religiose, consente di percorrere una strada insieme, di vivere la genitorialità come “valore aggiunto in ogni cosa”, andando incontro all’ascolto, all’accoglienza e al perdono. Sono questi alcuni dei passaggi salienti delle testimonianze di cinque famiglie che hanno parlato in Aula Paolo VI, alla presenza di Papa Francesco, nel corso del Festival delle famiglie, evento inaugurale del decimo Incontro mondiale delle famiglie.

Musica e testimonianze

L’Incontro internazionale, dal tema “L’amore familiare: vocazione e via di santità”, ha dunque preso il via oggi pomeriggio in Aula Paolo VI e si concluderà domenica 26 giugno con l’Angelus di Papa Francesco. A condurre l’odierno Festival delle famiglie nella Sala Nervi è stata proprio una famiglia, tra le più celebri della televisione italiana: Amadeus e Giovanna Civitillo. Con loro sul palco Il Volo, l’Orchestra Filarmonica Marchigiana e diversi ospiti, comprese alcune famiglie ucraine in collegamento da una parrocchia di Kiev. Prima dell’arrivo del Papa e delle testimonianze delle cinque famiglie, sul palco sono intervenuti anche Francesco Beltrame Quattrocchi, nipote dei coniugi beati patroni dell’Incontro che ha avuto inizio oggi. Il Santo Padre è entrato sulle note dell’Alleluja di Coen, cantata da Il Volo, accompagnato dall’Orchestra Filarmonica Marchigiana.

La famiglia si arricchisce nelle differenze 

Sofia ha 5 anni, uno in più di Lilia e Miral. Tutte e tre da quasi un anno e mezzo sono orfane di padre. Il loro amato papà era Luca Attanasio, ambasciatore italiano nella Repubblica Democratica del Congo, ucciso mentre stava andando a visitare un progetto alimentare dell’ONU per i bambini. Alcuni dei quali coetanei dei suoi figli. Zakia Seddiki è la vedova di Attanasio, anzi la moglie, perché come spiega all’inizio della sua testimonianza “non mi piace parlare di lui al passato, perché Luca lo sento sempre accanto a me”. Al punto di “sentire la sua presenza tutti i giorni”, in quella che definisce una “famiglia ferita”. Zakia si dice onorata di poter condividere la storia d’amore della sua famiglia alla presenza di Francesco. “La prima volta che le nostre figlie hanno visto il Papa, pensavano fosse un dottore”, rivela riferendosi al colore del vestito, ma “non avevano tutti i torti: perché il Papa è un dottore che cura le anime di tutti i cristiani, che cura sempre chi ha bisogno di conforto”. Zakia, musulmana, sottolinea come la differenza di religione in famiglia non sia mai stata un ostacolo, anzi “ci ha reso sicuramente più ricchi, abbiamo basato la nostra famiglia sull’amore autentico, con rispetto, solidarietà e dialogo tra le nostre culture”. Le rispettive religioni li hanno aiutati “a superare ogni differenza e difficoltà, imparando l’importanza della comunicazione e dell’ascolto e a vivere insieme senza giudicarci, perché abbiamo sempre creduto in quello stesso Dio che ci chiede, in due libri sacri diversi, la Bibbia e il Corano, di amare il prossimo, di fare del bene e mai del male, di rispettare gli altri”. La moglie di Luca Attanasio sottolinea come questi due libri siano sempre stati presenti in ogni casa in cui hanno abituato, libri letti alle bambine, celebrando “insieme, con gioia, il Natale e anche il Ramadan che ci avvicinava alla sofferenza di ogni bambino a cui manca cibo e acqua tutti i giorni”. Il pensiero di Zakia va poi alle “tante donne come me, rimaste da sole con dei bambini. Ho il compito – dice – di trasmettere alle nostre bimbe quell’amore nato con Luca. Possono esserci momenti di sconforto, soprattutto la sera, quando cala il silenzio, quando avrei bisogno di mio marito accanto per far sorridere le nostre tre principesse, per leggere loro una favola, per raccontare le sue mille avventure. Ma sono certa che cresceranno comunque forti, sorridenti e genuine come il loro papà. La vita può essere ingiusta, ma noi non dobbiamo e non possiamo cedere allo sconforto”. Infine l’augurio alle famiglie presenti in Aula Paolo VI e collegate in ogni continente, perché “possano essere, seppur nelle differenze di cultura e nella sofferenza, un luogo dove si possa trovare sempre la luce e la certezza che Dio non ci lascerà mai soli”.  

L’amore sorprende e chiede di accogliere 

Via da Kiev, a inizio marzo. Una decina di giorni dopo l’inizio della guerra. Madre e figlia, costrette a lasciare casa e affetti, ricordi e speranze. Tutto. Il trasferimento ad ovest, poi l’opportunità di andare in Italia, con un pullman. “La decisione di lasciare l’Ucraina mi ha provocato tanta sofferenza”, spiega Iryna, ma è stato per primo il marito a chiederle di mettersi in salvo, a lei e alla loro figlia diciassettenne, Sofia. Entrambe oggi vivono a Roma, ormai da più di due mesi. “Oggi ringrazio Dio perché ha mandato sul nostro cammino tante persone buone che ci hanno aiutato e hanno mostrato un grande cuore dandoci aiuto e speranza”, spiega Iryna con la voce rotta dall’emozione “Tutto questo è possibile grazie a Dio e alla generosità di chi ci sta aiutando”, sottolinea la giovane Sofia. Il pensiero di entrambe è dunque per il Signore, per “la Provvidenza di Dio”. In questo momento le due donne sono ospitate dalla famiglia di Pietro ed Erika, che hanno offerto loro un appartamento appena completato sotto la casa dove vivono. “Nonostante abbiano una famiglia molto numerosa, con 6 figli, ci hanno accolto con amore. Siamo molto grati per questa accoglienza e ospitalità, per l’aiuto dei loro amici e della comunità parrocchiale, rimarca Iryna. In Aula Paolo VI sono presenti anche i due coniugi che ospitano i rifugiati ucraini. Pietro ha 30 anni e non vuole essere considerato “bravo per questa accoglienza: noi ospitiamo Iryna e Sofia per gratitudine a Dio, visto che possiamo solo donare gratuitamente quell’amore che gratuitamente abbiamo ricevuto dal Signore e dalla sua Chiesa”. Anzi, raccontando la sua esperienza, al termine dell’intervento ribadisce: “Senza l’aiuto e la forza della fede, non avremmo accolto nessuno, abbiamo sentito di offrire la nostra disponibilità senza nessuna pretesa, perché siamo convinti che accogliere l’altro che soffre è accogliere Cristo”. La moglie, Erika, non nasconde la sua iniziale sorpresa, quando è arrivata la proposta di accogliere una famiglia ucraina. Oggi, però, considera quest’esperienza come “una grande benedizione dal Cielo” per tutta la sua famiglia.

La famiglia, dono e fortezza verso la santità

“La nostra famiglia è il dono più grande che il Signore abbia potuto farci, al suo interno si sono avvicendati momenti belli e meno belli, di grazia e di buio, ma tutto condito dall’amore vicendevole che ci ha fatto superare anche quelli difficili”. Inizia così la testimonianza dei coniugi Roberto e Maria Anselma Corbella, papà e mamma di Chiara Corbella Petrillo, proclamata Serva di Dio dalla Chiesa cattolica nel 2018. “Giorno dopo giorno con l’aiuto di Dio e con l’impegno di ognuno – proseguono – abbiamo costruito questa fortezza, perché la famiglia è una fortezza se l’amore è al centro”. Elisa è moglie, madre di tre figli e vive nel nord Italia. Chiara è tornata alla casa del Padre 10 anni fa, il 13 giugno 2012, dopo aver affrontato “due gravidanze, entrambe con diagnosi infausta di gravi malformazioni incompatibili con la vita. Lei e il marito Enrico – ricordano i nonni – scelgono di accogliere con amore Maria Grazia Letizia e Davide Giovanni e alla loro nascita dopo averli battezzati li restituiscono al Padre”. La giovane coppia si apre di nuovo alla vita, non molto tempo dopo e questa volta il figlio sta bene. “Francesco oggi ha undici anni”, dicono i coniugi Corbella Petrillo, ancora commossi come si evince dal tono di voce e come coglie anche il pubblico in Aula, che interrompe la loro testimonianza con un caloroso applauso. “Chiara però al quarto mese scopre di avere un problema alla lingua che si rivelerà poi un carcinoma molto aggressivo, ma rimanda tutto ciò che avrebbe potuto compromettere la vita di Francesco a dopo la sua nascita”. Un anno dopo il parto, Chiara muore.  Ha solo 28 anni. I genitori ricordano il suo carattere: “Era una persona molto concreta, non scappava difronte alle prove della vita, le affrontava con lo sguardo verso il cielo, fin da quando era bambina il suo procedere aveva sempre un fine. Aveva – proseguono – anche una grande apertura mentale, il suo rispetto per gli altri non indeboliva la sua fede perché lei era sempre coerente ma mai arrogante, mai impositiva, le sue idee non le imponeva ma le promuoveva, soprattutto con l’esempio”. Come ci si ritrova dinanzi a un simile dramma, alla morte di una figlia? La testimonianza dei coniugi vuole rispondere, dinanzi a migliaia di persone in Aula Paolo VI e molte di più collegate da casa, anche a questa domanda: “Come Maria ai piedi della croce, abbiamo accettato senza capire, ma la serenità di Chiara ci ha aperto una finestra sulla eternità e continua ancora oggi a farci luce. È stato difficile per noi accompagnarla alle soglie del Paradiso e lasciarla andare, ma da quel momento è scaturita una tale grazia che ci ha fatto intravvedere il piano di Dio e ci ha impedito – concludono – di cadere nella disperazione”.

Il Matrimonio, punto di ri-partenza

Una giovane coppia, quattro figli. Tutto ha inizio dieci anni fa, un incontro avvenuto in palestra. Il fidanzamento, dopo poco più di un anno nasce il primogenito, Matteo. Passa un altro anno e mezzo, papà Luigi e mamma Serena sono poco più che ventenni. Arriva un altro dono di Dio, il piccolo Riccardo. Poi, nel 2018, il terzo figlio, Gabriele. “Con la nascita del primogenito ci siamo scoperti famiglia”, racconta Luigi, oggi 34enne. “Le difficoltà quotidiane non sono mai mancate, perché – rivela – scegliere di accogliere la genitorialità oggi è faticoso, tanto faticoso seppur oltremisura bello”. Un pensiero condiviso con Serena, che parla dei suoi tre figli come del “valore aggiunto in ogni gesto quotidiano, perché ti impongono di avere a cuore il futuro, partendo da quel che c’è e non da quello che vorresti ci fosse”. La giovane mamma però non nasconde l’amarezza per non aver trovato una comunità in grado di accoglierli come genitori, come famiglia per quel che sono, seppur non sposati. “Pur nel nostro particolare cammino nella Chiesa -spiega – un punto fermo lo abbiamo avuto: battezzare i nostri figli”. La coppia parla poi delle tante difficoltà recenti, legate in particolare alla pandemia, la solitudine, la stanchezza fisica e mentale. “Noi non siamo un esempio”, dice ancora Serena, ma “siamo dei semplici genitori che hanno fondato tutti su dei principi umani: amore, obbedienza, rispetto, responsabilità, sacrificio, solidarietà, perdono e resilienza”. Un percorso che ha portato, oggi, ad un riavvicinamento alla Chiesa, a “riaccendere la nostra fede sopita”. Da qui il desiderio, più forte che mai: sposarsi. “Santo Padre, questo è il nostro tortuoso cammino fin qui,​ speriamo e confidiamo che tutto ci porterà a coronare il nostro desiderio di un matrimonio, che sia – concludono – non un punto di arrivo, ma un ulteriore punto di ri-partenza”.

Oltre la crisi, insieme

Paul e Germaine Balenza sono sposati da 27 anni. Vivono nella Repubblica Democratica del Congo. Una storia lunga, la loro, fatti di alti e bassi come tutte le coppie. Un anno fa, però, lei decide di andare via di casa. “Mio marito era infedele, non sincero, gestiva male il patrimonio familiare, era più interessato al potere che a noi”, racconta Germaine spiegando la sua decisione di trasferirsi a casa della sorella. Paolo è il presidente dei deputati cattolici del suo Paese, impegnato nella pastorale e afferma artista di Christian Music. “La mia vita è diventata insopportabile, i miei figli erano scioccati, non avrei mai pensato di divorziare”, spiega l’uomo parlando dello scorso anno. In questa situazione, chi ha aiutato i due? “Alcune persone hanno cercato di farmi tornare in me, mentre altre hanno fatto di tutto per aggravare la situazione del mio matrimonio”, rivela Germaine. “Ma il Signore, presente nel nostro matrimonio, ha risposto al desiderio più profondo del mio cuore e lo ha salvato”, dice Paul, riferendosi al ruolo avuto da un’associazione di laici cattolici congolese, chiamata ‘Comunità familiare cristiana’, che ha permesso ai due di incontrarsi, di parlare, di analizzare le loro vite. Prima singolarmente e poi insieme. “Questi incontri ci hanno consentito di dirci in faccia dure verità, di svuotare i nostri cuori dall’odio, dalla rabbia, dalla cattiveria e da altri sentimenti negativi. Alla fine – conclude lei – ci siamo sinceramente perdonati a vicenda e abbiamo deciso di riprendere la nostra vita insieme. Dio era con noi e ci ha dato la forza”.