Chiesa Cattolica – Italiana

Eutanasia legale in Nuova Zelanda. Vescovi: tutelare sacralità della vita

Isabella Piro – Città del Vaticano

“La disponibilità legale dell’eutanasia in Nuova Zelanda non cambia le convinzioni cattoliche riguardo a questa pratica: la vita umana è sacra e non dovremmo mai togliere la vita ad un’altra persona”. Questo, in sintesi, è uno dei passaggi-chiave della dichiarazione che la Conferenza episcopale della Nuova Zelanda (Nzcbc) ha diffuso sul suo sito web, in vista del prossimo 7 novembre. Si tratta di una data cruciale: quel giorno, infatti, entrerà in vigore la normativa che legalizza l’eutanasia nel Paese. Lo scorso anno, la legge è stata sottoposta ad un referendum al quale ha vinto il “sì”. Ora, quindi, in Nuova Zelanda la morte medicalmente assistita sarà possibile per le persone, dai 18 anni in su, affette da malattia terminale o che si pensa abbiano sei mesi o meno di vita, e che si trovano in uno stato avanzato di declino irreversibile, sperimentando – afferma la normativa – “una sofferenza insopportabile che non può essere alleviata in un modo che il malato considera tollerabile”.

Preoccupazione per le persone più vulnerabili

Nella loro dichiarazione, i vescovi sottolineano innanzitutto che tale pratica non sarà disponibile nelle strutture cattoliche e poi ribadiscono la loro preoccupazione per le persone vulnerabili a rischio, tra cui gli anziani, che “potrebbero pensare di essere diventati un peso per la famiglia e per la società”, desiderando quindi di porre fine alla loro vita. Come può, dunque, la Chiesa cattolica portare “consolazione e speranza” in queste situazioni? I vescovi di Wellington invitano i fedeli a guardare a due esempi: Giobbe, che ha offerto “una testimonianza meravigliosa” di “perseveranza nella fede”, e i genitori che, anche quando i figli “si comportano in modo contrario al Vangelo”, non si allontanano, ma restano loro accanto, “sempre pronti a pregare e ed offrire una mano o una parola che riorienta, piuttosto che rimproverare”.

Testimoniare sempre la speranza

“La nostra fede – prosegue la nota – ci chiama a rimanere presenti con il sofferente. Questo è infatti ciò che significa ‘consolazione’: sopportare la sofferenza dell’altro condividendola; entrare nella sua solitudine per farlo sentire amato, accettato, accompagnato e sostenuto; testimoniare la speranza attraverso la vicinanza”. In tal modo, continua la Nzcbc, “i luoghi della morte assistita potranno trasformarsi in avamposti dello Spirito Santo”, in sorgenti di speranza che “aprono la strada all’incontro con Dio”. Di qui, l’esortazione dei vescovi alla preghiera per i malati e i moribondi, una preghiera forte e continua per accompagnare, “sperando contro ogni speranza”, coloro che potrebbero sentirsi attratti o spinti verso la scelta di morire. 

Incentivare cure palliative

Insieme alla loro dichiarazione, i vescovi neozelandesi hanno diffuso anche alcune linee-guida per coloro che lavorano al fianco dei sofferenti. Anche in questo caso, la Chiesa di Wellington rinnova il suo impegno in favore della tutela della dignità di ogni persona, richiamando la necessità di cure palliative efficaci ed accessibili; di parrocchie attente alle persone sole, anziane e malate, e di una preghiera incessante per tutti coloro che operano nel campo della cura dei moribondi. Bisogna agire come il Buon Samaritano, sottolineano i presuli, in modo da poter offrire ai malati un accompagnamento “pieno di empatia”.

Accompagnare non significa approvare

Al contempo, la Nzcbc si dice consapevole del fatto che “accompagnare le persone in fin di vita non è facile, perché richiede coraggio, disponibilità al dono di sé ed uno sguardo contemplativo che veda nell’esistenza di tutti un dono, una meraviglia unica e irripetibile”. Per questo, a chi opera in un simile settore servono formazione adeguata e competenze specifiche, unite alla consapevolezza che “accompagnare qualcuno che sta esprimendo il desiderio di ricevere una morte assistita non implica un accordo morale” o una “approvazione” della sua decisione. In pratica, la dottrina della Chiesa sull’eutanasia “non viene sospesa” quando si resta accanto ad un malato che ha espresso la volontà di morire; semplicemente, l’accompagnamento “assicura che nessuno sia abbandonato alla desolazione”, secondo quello che è un vero e proprio “ministero di speranza e di sostegno”.

Cosa chiede realmente chi desidera la morte 

Il pensiero della Chiesa neozelandese va, poi, a tutti i coloro che operano “nei luoghi in cui è prevista la possibilità di eutanasia”: anche loro vanno sostenuti, sottolineano i vescovi, grazie all’aiuto delle rispettive comunità di fede. Forte, inoltre, il richiamo all’ascolto dei soffrenti, perché “l’esperienza conferma che le loro richieste di morire non sono necessariamente da intendere come implicanti un vero desiderio di eutanasia; in realtà, si tratta quasi sempre di un’angosciosa supplica di amore”. Un punto specifico delle linee-guida, poi, si sofferma sui Sacramenti, definiti “incontri con Dio”: al riguardo, i vescovi affermano che essi vanno rifiutati “solo in quei rarissimi casi in cui qualcuno li cerchi in mala fede”. Tutti i ministri, dunque, hanno” il diritto di presumere che una persona che li chiede, lo faccia in buona fede”.

Tutelare obiettori di coscienza

E ancora: l’accompagnamento dovrà essere portato anche alla famiglia del sofferente e dovrà essere “sempre volontario e rispettoso della coscienza”, perché “nessun sacerdote, cappellano, operatore pastorale o sanitario dovrebbe mai sentirsi obbligato a fare o dire qualcosa che va contro la sua coscienza”. Qualsiasi cooperazione nell’atto di facilitare o amministrare una morte assistita, quindi, “deve essere esclusa in ogni caso”. Per i medici obiettori di coscienza, inoltre, i vescovi chiedono “rispetto e comprensione” da parte dei loro colleghi, e “sostegno e preghiera” all’interno delle loro famiglie. Le linee-guida della Nzbc si concludono con un rinnovato appello alla “inviolabile dignità di ogni vita umana”.

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