Chiesa Cattolica – Italiana

Etiopia: i bambini vittime del conflitto nel Tigray

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Sono molto gravi per i bambini le conseguenze della situazione in Tigray. Nella regione dell’Etiopia, dopo mesi di  braccio di ferro tra potere locale e quello nazionale, in autunno si è arrivati allo scontro armato tra forze regionali ed esercito nazionale. Ha significato il venir meno dell’accesso ai servizi sociali di base, come istituti scolastici e ospedali, che sono stati presi di mira nell’escalation di violenza e che ancora risultano in gran parte fuori uso, come conferma da Addis Abeba il responsabile del team Unicef in Etiopia, Michele Servadei:

Ascolta l’intervista con Michele Servadei

Il bilancio degli scontri armati

A sette mesi dall’inizio del conflitto, l’Unicef traccia un bilancio confermando uccisioni e violenze sessuali su donne e bambini nel Tigray. È stato documentato l’omicidio di almeno 20 bambini nella chiesa di Maryam Dengelat lo scorso novembre. Violenze e saccheggi hanno causato la non operatività di quasi il 60 per cento delle strutture sanitarie. Circa il 57 per cento dei pozzi in 13 città esaminate non funzionano e un quarto delle scuole della regione hanno subito danni a causa del conflitto.

Famiglie in fuga

Servadei conferma che centinaia e centinaia di bambini sono rimasti senza genitori o senza alcun parente più stretto. Spiega che il team dell’Unicef sta lavorando per assicurare che gli aiuti di base continuino a raggiungere i più bisognosi e che le popolazioni possano accedere in sicurezza ai servizi di base. Servadei sottolinea che si cerca di intensificare la presenza del personale Unicef nella regione per rispondere alla portata della sfida. Spiega che se arrivare da Addis Abeba al Tigray adesso è possibile in aereo, che significa – sottolinea- un’ora di volo mentre in macchina sarebbero 16 ore di viaggio, però poi – aggiunge – non sempre si riesce a raggiungere i più bisognosi nelle zone rurali. Proprio nelle zone agricole del nord si concentrano le varie azioni armate da parte di gruppi locali che non ritengono chiuso il confronto con l’esercito. Mentre ad Addis Abeba, dunque, Servadei racconta che la gente non parla quasi più della guerra nel Tigray, la situazione sul territorio resta di guerriglia.

Non bastano i fondi

Servadei spiega che, così come il Pam, che si occupa della malnutrizione crescente nella regione, così l’Unicef chiede maggiori fondi. In particolare l’organismo Onu per l’infanzia fa sapere di avere ricevuto al momento solo la metà dei 50 milioni di dollari che si è riconosciuto servano per i servizi di assistenza. E poi – sottolinea – c’è bisogno di rafforzare i servizi di monitoraggio, segnalazione e protezione per le persone colpite. Gli sfollati al momento vengono ospitati soprattutto negli istituti scolastici, ma questo ovviamente compromette qualsiasi tentativo di “normalizzazione” della vita dei bambini.

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