Epicoco: Celestino V e Francesco, due pontificati nel segno della misericordia

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Tiziana Campisi – Città del Vaticano

La Perdonanza celestiniana è l’indulgenza plenaria concessa da Papa Celestino V con la Bolla Inter Sanctorum Solemnia del 29 settembre 1294. “Per la misericordia di Dio onnipotente (…) annualmente assolviamo dalla colpa e dalla pena, che meritano per tutti i loro peccati, commessi fin dal battesimo – dispose Pietro da Morrone un mese dopo essere stato incoronato Pontefice – tutti coloro che veramente pentiti e confessati saranno entrati” nella Basilica di Santa Maria di Collemaggio “dai vespri della vigilia della festività di San Giovanni fino ai vespri immediatamente seguenti la festività”, ossia dalla sera del 28 agosto a quella del giorno dopo. Le condizioni per ottenere l’assoluzione dei peccati sono: essere “veramente pentiti e confessati”, accostarsi alla comunione e recitare il Credo, il Padre Nostro, l’Ave Maria e il Gloria al Padre, secondo le intenzioni del Papa.

La 728.ma edizione della Perdonanza aperta da Papa Francesco

La prima Perdonanza è stata celebrata nel 1295. Quest’anno ad aprire la 728.ma edizione è Papa Francesco, il primo Pontefice a presiedere il rito che ne dà l’avvio, celebrando alle ore 10 del 28 agosto la Messa solenne nella basilica di Collemaggio cui segue l’apertura della Porta Santa. Per l’occasione, un decreto della Penitenzieria Apostolica, datato 15 luglio, ha anticipato la possibilità di lucrare l’indulgenza concessa da Papa Celestino V a partire da quel momento. L’indulgenza concessa da Celestino V voleva essere un invito alla riconciliazione e al perdono rivolto alla città di L’Aquila, spiega don Luigi Epicoco, assistente ecclesiastico del Dicastero per la Comunicazione, oggi, però è da leggere in senso più universale.

Ascolta l’intervista a don Luigi Epicoco

Quando noi pensiamo alla bolla di Celestino V corriamo il rischio di guardarla con gli occhi contemporanei, quindi di vedere le conseguenze che ha avuto nella storia. Ma di fatto Celestino aveva invece davanti a sé, soprattutto, un territorio, una città, una società che viveva dei conflitti, delle divisioni. Ed è bello pensare che quest’uomo ha voluto lasciare, come segno del suo passaggio a L’Aquila, della sua incoronazione a Papa, un gesto di riconciliazione per tutta la città, quasi a voler dire che quel successore, che davanti alla Basilica di Collemaggio veniva incoronato Papa, lascia alla città misericordia, perdono, pace concreti, realmente concreti nella vita delle persone. Poi questo gesto è diventato un gesto universale, cioè si è allargato fino a contaminare un po’ tutta la Chiesa. Infatti è lì che noi troviamo quelli ingredienti basilari che anni dopo poi diventeranno il Giubileo. Ma nelle intenzioni di Papa Celestino c’era qualcosa di immediato davanti ai suoi occhi: era il popolo della città de L’Aquila, la società dell’epoca.

Come leggere, a distanza di secoli, questo perdono concesso da Celestino V ogni anno, dal 28 al 29 agosto?

Il perdono non è mai una faccenda né del passato, né del presente, né del futuro, ma una faccenda costantemente contemporanea a ciascuno di noi. Perché la vita umana è vita fallibile, vita che incontra costantemente il proprio limite, la propria miseria. Il perdono è la possibilità di avere di nuovo un’occasione per rimettersi in piedi, per riprovare, per tentare, di nuovo, l’esistenza, è il gesto con cui una madre, un padre, rimettono in piedi il proprio figlio che sta imparando a camminare. In questo senso, più passa il tempo, più ci accorgiamo di avere bisogno, sempre, costantemente, di perdono, di misericordia. Quindi, non è una ritualità fuori moda, o non è semplicemente ricordare il passato, ma è una necessità sempre contemporanea.

 Nel Magistero di Papa Francesco il tema della misericordia è ricorrente, quali tratti del perdono di Celestino riconoscere?

Diciamo che c’è, innanzitutto, una somiglianza anche nel modo di guardare la Chiesa. Celestino polemizzava costantemente con una visione di Chiesa mondana, immaginava sempre una Chiesa povera, umile, capace di avere gli occhi sui poveri, sugli umili, che non sono semplicemente poveri in senso materiale, ma coloro che fanno l’esperienza di riconoscersi miseri. Ecco, questo tratto della misericordia è appunto sentirsi amati nella propria miseria, nel proprio limite, nella propria creaturalità. Sia Celestino che Papa Francesco ci ricordano che il messaggio principale del Vangelo è appunto la misericordia. Papa Francesco, qualche anno fa, durante il Giubileo della Misericordia, lo ha detto ad alta voce che il nome di Dio è, appunto, misericordia. Quindi non è né una moda del momento, né, semplicemente, una fissazione teologica di qualche Papa ma è l’essenziale stesso del cristianesimo che sia Celestino che Papa Francesco hanno voluto riportare in auge.

Da L’Aquila l’invito al perdono, con Papa Francesco, assume un carattere universale. Ma in che modo può raggiungere le situazioni più difficili?

Credo che si possa raggiungere le situazioni più difficili se ci rendiamo conto che il perdono, in realtà, è la base vera della pace. Si può parlare di pace solo e soltanto se, innanzitutto, si accetta il perdono. È il perdono è, innanzitutto, l’esperienza di convertirsi personalmente. È interessante che, per poter prendere sul serio le guerre che stanno alle porte dell’Europa o che stanno affliggendo diverse parti del mondo, non basta semplicemente impegnarsi in termini diplomatici o semplicemente mobilitarsi in termini di solidarietà, ma capire che il mio cambiamento, in realtà, può avere come conseguenza anche il cambiamento del mondo. In questo senso, davvero, il perdono è il primo passo di ogni pace.