E il Papa fa sentire a casa i ragazzi ucraini fuggiti dalla guerra

Vatican News

di Giampaolo Mattei

E sì, li ha fatti sentire proprio a casa quei novanta ragazzi ucraini che, anzitutto con gli sguardi, raccontano storie di paura e di speranza, vittime della «pazzia» della guerra.

Sì, il Papa li ha ascoltati quei ragazzi, ha guardato i loro disegni, accettato i loro semplici doni, firmato i loro cappellini (vi avevano scritto il loro nome così che Francesco li potesse chiamare personalmente).

Soprattutto li ha abbracciati e ha fatto “il pieno” di quei sorrisi che significano paternità, speranza: ne hanno bisogno più che mai.

Stamani, all’udienza generale, il Pontefice ha rafforzato l’accorato appello per la pace in Ucraina con con il linguaggio fortissimo dei gesti. Lo ha fatto, appunto, abbracciando questi ragazzi (tra i 6 e il 18 anni) fuggiti dalla «pazzia» della guerra nella zona di Zytomyr e ospitati dalla Caritas italiana per il periodo estivo in Toscana, tra Volterra e Massa Marittima. Altri cento sono ospiti in Lombardia, tra Brescia e Como.

I ragazzi ucraini che il Papa ha accolto con gioia e con affetto in Aula Paolo VI — facendoli sentire  a casa, a loro perfetto agio — hanno davvero rappresentato stamani tutti coloro che stanno soffrendo a causa della guerra, della violenza. In Ucraina e ovunque nel mondo.

Protagonisti del «progetto di accoglienza temporanea estiva», organizzato dalla Caritas, stanno vivendo sulla loro pelle la «pazzia» della guerra.

«Molti di loro hanno perso genitori e familiari nei combattimenti» racconta don Pagniello, direttore della Caritas italiana, che ha accompagnato il gruppo con monsignor Ciattini, vescovo di Massa Marittima-Piombino, che ha messo a disposizione anche il seminario.

«Alcuni sono rimasti orfani, altri non hanno più notizie dei genitori al fronte, soprattutto dei padri» spiega Laura Stopponi, responsabile dell’Ufficio per l’Europa della Caritas. «Ma il mese di vacanza in Italia — rientreranno in Ucraina la prossima settimana,  sono arrivati a inizio agosto — è fondamentale soprattutto in questa fase di stanchezza e di particolare stress, dopo 6 mesi di guerra, e con il terrore dell’inverno che è ormai alle porte con le tante domande irrisolte che porta con sé, compresa la questione della scuola che si apre il 1° settembre tra tante incertezze» aggiunge.

Le fa eco don Pagniello: «L’auspicio è che questa pur breve parentesi di vacanza, grazie alla solidarietà sperimentata e alle parole del Santo Padre, possa alimentare speranze di pace» al loro rientro a casa e nella ripresa di una vita che, si spera, si avvicini alla  “normalità”.

Ma il “campo estivo” — reso possibile, oltre che dalla diocesi, anche dallo slancio generoso di associazioni come le Acli, di famiglie e delle realtà sociali locali — non è certo un’iniziativa sporadica, tiene a far presente il sacerdote. In questi 6 mesi di guerra, infatti, l’impegno all’accoglienza è stato straordinario: «Al 31 luglio sono 148 le diocesi che stanno accogliendo persone in fuga dall’Ucraina. In totale sono 13.721 le persone accolte dalla rete ecclesiale, di cui 7.745 nel circuito Caritas. I minori sono in totale 6.211, di cui 231 sono non accompagnati».

Ma non finisce con questi “grandi numeri”, purtroppo. «Oltre a causare un numero crescente di profughi — insiste don Pagniello — la guerra in Ucraina continua ad avere un impatto devastante anche sulle famiglie e in particolare sui bambini che restano nel loro Paese. Caritas Ucraina e Caritas Spes, con il sostegno di Caritas italiana e dell’intera rete Caritas, hanno aiutato finora più di tre milioni e mezzo di persone, fornendo accoglienza e riparo, protezione, cibo e beni di prima necessità, acqua e servizi igienico-sanitari, assistenza medica». E «la rete Caritas è al lavoro anche nei Paesi confinanti».

Osservando la bellezza semplice dell’incontro del Papa con i ragazzi, suoi connazionali, è visibilmente commosso monsignor Paolo Dionisio Lachovicz, esarca apostolico per i fedeli cattolici ucraini di rito bizantino residenti in Italia, presente in Aula Paolo VI con alcuni collaboratori.

«Viviamo un tempo di  dolore, preoccupazione e preghiera per la nostra Ucraina» dice. «Ma anche — aggiunge — per il mondo intero che è colpito da violenze». La giornata della festa dell’indipendenza ucraina, ha insistito l’esarca apostolico, «è oggi suggellata anche con il sangue: il sangue di tanti innocenti, e penso in particolare proprio ai bambini». Con un gesto di particolare comunione, Francesco ha baciato la croce pettorale dell’esarca: vi è raffigurata l’immagine della Madre di Dio.

E con le attese di pace in Ucraina stamani, all’udienza generale, si sono intrecciate altre storie.

L’ambasciatore di Australia presso la Santa Sede, Chiara Porro, ha consegnato al Papa la lettera scritta da William e Michelle Parmbuk, leader della parrocchia a Wadeye, nel territorio del nord, la più grossa tra le comunità aborigene e una delle cinque cattoliche. In un periodo difficile per la loro gente, William e Michelle si sono rivolti al Pontefice con la speranza e la fede che contraddistinguono le loro scelte di vita. Il 29 novembre 1986 ad Alice Springs hanno incontrato Giovanni Paolo II durante il suo viaggio apostolico in Australia.

Francesco ha quindi incoraggiato le 32 religiose della congregazione della Suore di Carità di Santa Maria che, dal 6 al 28 agosto, stanno dando vita ad Assisi al 24° capitolo generale. Provengono da Canada, Argentina, Messico, India, Cile, Ecuador e, naturalmente, Italia (la casa generalizia è a Torino).

L’istituto opera sulle frontiere dell’educazione dei giovani e dell’assistenza alle persone povere e anziane, soprattutto negli ospedali e nelle case di riposo. Più di recente le suore sono scese in  campo accanto alle famiglie in difficoltà e agli immigrati. Tanto che a Tolosa, raccontano, «la comunità islamica formata proprio da migranti si rivolge alle religiose per chiedere una preghiera quando muore qualcuno».

Questo carisma missionario, nato nell’ambito della famiglia delle Figlie della Carità su iniziativa di suor Luigia Angelica Clarac, è stato rilanciato nel capitolo generale che ha appena eletto un consiglio formato da religiose giovani. «Proprio per costruire il futuro sulle radici» spiega la nuova superiora generale, suor Myriam Sida.

E un incoraggiamento il Pontefice ha riservato anche a due gruppi di seminaristi. In particolare, dopo l’edizione dello scorso anno nella singolare cornice di Venezia, il 29° Incontro estivo per seminaristi ha ripreso, tra il 21 e il 27 agosto, il suo “cammino” nella tradizionale collocazione della Casa Divin Maestro ad Ariccia. «La vita spirituale del presbitero, radice di fedeltà e di fecondità del ministero» il tema per la riflessione.

Significativa, inoltre, la presenza di una persona transessuale e di altre che vivono esperienze di fragilità, accompagnate da suor Genèvieve Jeanningros; di 55 pellegrini venuti dal Burkina Faso e di un gruppo arrivato da Singapore con il cardinale eletto William Goh Seng Chye. Erano presenti in Aula Paolo VI anche i cardinali Celestino Aós Braco, arcivescovo di Santiago de Chile, e Seán Baptist Brady, arcivescovo emerito di Armagh.