Donne afghane:ripartire dal lavoro per ricominciare a vivere e sognare

Vatican News

Marina Tomarro – Città del Vaticano

Essere costrette a scappare da una terra dove si è sempre vissuto, per ritrovarsi nel giro di poche ore di volo in un nuovo Paese dove non si conosce nulla, né si parla la lingua con un’unica certezza: quella di non poter tornare indietro. È questa la situazione in cui si sono trovate migliaia di donne afghane fuggite dalla loro terra dopo la presa di possesso del regime talebano. Giunte in Italia da sole o nei casi più fortunati con la famiglia, sono state accolte spesso da associazioni umanitarie che hanno cercato di dare loro accoglienza e aiuto.

Ricominciare a vivere con dignità

Proprio in sostegno di questa situazione, a Verona la Fondazione Just Italia ha promosso insieme a Pangea Onlus, che da anni si occupa dei diritti delle donne nel mondo, un incontro sul tema “Donne: formazione e lavoro come strumento di rinascita e libertà”, organizzato in occasione dell’inaugurazione del Training Center Just Academy, dedicato proprio alla formazione al lavoro di queste donne, affinché abbiano la possibilità concreta di ricostruire la loro vita. “Noi collaboriamo con Pangea già dal 2018 –spiega Marco Salvatori Presidente Just Italia – per creare una rete di sostegno alle donne vittime di violenza. Abbiamo sviluppato insieme diversi progetti, e la nostra vicinanza e collaborazione in questo momento è concentrata su tutto il grande lavoro che loro stanno svolgendo in Afghanistan, dove c’è una situazione davvero pericolosa per tutti, ma in particolare per le donne e le bambine”. Infatti proprio per dare sostegno la Fondazione Just Italia ha devoluto all’associazione Pangea Onlus 100mila euro a favore delle donne che vogliono e devono poter riprendere in mano la loro vita e a guardare al futuro con speranza.

Ascolta l’intervista a Marco Salvatori

La situazione complessa in Afghanistan

“Quando abbiamo accolto queste donne giunte dall’ Afghanistan all’aeroporto – racconta Simona Lanzoni, vicepresidente di Pangea Onlus – le abbiamo trovate affrante e impaurite, con il desiderio solo di tornare indietro, nonostante i pericoli, perché erano dovute scappare talmente in fretta che neanche avevano ancora realizzato il loro dramma. Per questo diventa importante lavorare con loro e aiutarle in un percorso di inserimento non semplice, ma nello stesso tempo continuare ad operare in Afghanistan affinché si possa un giorno ricostruire la società”. E intanto la situazione in Afghanistan resta ancora grave, con i talebani che continuano seminare paura e incertezza tra chi è rimasto. La condizione del Paese peggiora ogni giorno di più – sottolinea Simona Lanzoni – hanno “iniziato a vietare sia le manifestazioni che l’uso del cellulare; hanno limitato moltissimo la possibilità di andare a scuola a ragazze e bambine. Aver eliminato il Ministero delle donne e aver messo al suo posto il Ministero dei vizi e delle virtù è un chiaro segnale di queste chiusure, e mi auguro che non si tornino a vedere le tremende immagini delle esecuzioni negli stadi che c’erano nel primo regime talebano”.

Ascolta l’intervista a Simona Lanzoni

Rahel e la speranza di sognare di nuovo

Tante le storie delle donne giunte in Italia. A volte giovanissime, costrette a fuggire e a separarsi dalla famiglia per salvare la loro vita, come Rahel Saya giornalista e attivista afghana giunta in Italia insieme a due sorelle per riaprire quel “cassetto dei sogni” che è stata costretta a chiudere e a lasciare in Afghanistan. “Io ho solo 21 anni, – racconta con voce ferma ma con gli occhiverde intenso che tradiscono la sua emozione – e ricordo che in questi anni il popolo del mio Paese viveva una vita normale, e la gente era contenta. Poi all’improvviso in una notte abbiamo perso tutto. Non mi ha scioccato l’arrivo dei talebani, ma la velocità con cui è successo tutto, e la conquista della nostra capitale Kabul. Dopo il loro arrivo sono stata nascosta in casa e sono state giornate davvero difficili. Quando sono arrivata all’aeroporto, vedere tutta quella massa di persone, donne, uomini, tanti bambini, mi ha fatto stare ancora più male, e una volta salita sull’aereo ho pianto per tutto il tempo perché tutti i sogni, i desideri che avevo li ho dovuti lasciare a Kabul. Per me è stato molto difficile abbandonare l’Afghanistan.

Ascolta l’intervista a Rahel Saya

Lei crede sia possibile un dialogo con i talebani? Cosa spera per il futuro del suo Paese?

Sarebbe bello che ci fosse un dialogo, per assicurare un futuro alle donne, ma visto quello cui stiamo assistendo in questi giorni, non sono ottimista e non credo sia possibile. L’Italia in tutti questi anni ha svolto un impegno molto importante per lo sviluppo del mio Paese e sono sicura che continuerà ad aiutarci. In Afghanistan al momento non possiamo prevedere la pace ma almeno una situazione più tranquilla per il popolo.  Già una generazione si è sacrificata per cercare di farci vivere in sicurezza ed emancipazione, ma non è andata così, chissà se una prossima generazione riuscirà finalmente a conoscere la pace.

Secondo lei la comunità internazionale cosa potrebbe fare concretamente per il suo Paese?

In questi giorni state vedendo immagini dall’Afghanistan, in cui le donne vanno in strada a manifestare per i propri diritti, mettendo fortemente a rischio la loro vita, perché non sappiamo quali possono essere le reazioni dei talebani di fronte a queste manifestazioni. Quello che è necessario fare è di non abbandonare quelle donne, di cercare tutte le strade possibili affinché il popolo afgano abbia un futuro di certezze e di sicurezza.

Secondo lei quali sono gli errori fatti per arrivare a questa situazione e poi una cosa più personale, lei sogna di tornare un giorno nel suo Paese?

Quando si sono ritirate le truppe della Nato dal nostro Paese, la gente si è trovata piena di incertezze da un momento all’altro, e probabilmente non è stata la decisione più giusta per noi. Per quanto mi riguarda, se sogno di tornare nel mio Paese, come tutte le persone che hanno dovuto lasciare l’Afghanistan, ho il desiderio di tornare un giorno, ma ci deve essere la sicurezza e una situazione normale. Adesso non ci sono quelle condizioni, non c’è pace. Tutti i miei desideri e sogni che avevo in quel Paese, li ho seppelliti in Afghanistan per ricominciare in Italia ed essere una persona utile alla società e ad altre persone.