Dalle Chiese cristiane appello per l’Artsakh/Nagorno-Karabakh

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“I timori armeni di un nuovo genocidio contro di loro non possono essere ignorati considerando il contesto determinato dal blocco dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh”. Così si legge nella lettera che la Conferenza delle Chiese europee (Kek) e il Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc) hanno congiuntamente inviato all’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, denunciando il blocco da parte dell’Azerbaigian della regione di etnia armena dell’Artsakh/Nagorno-Karabakh. Si parla di “violazione dell’accordo tripartito che ha posto fine alla guerra delle sei settimane del 2020, del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani e dei più fondamentali principi morali”.

Il corridoio umanitario di Lachin 

Ostruendo il corridoio umanitario di Lachin e tagliando le forniture di gas alla regione proprio all’inizio dell’inverno, l’Azerbaigian – si legge nella lettera, diffusa alla stampa dai due organismi e riportata dal Sir – “sta deliberatamente creando un’emergenza umanitaria per i 120 mila residenti di etnia armena”. La lettera è firmata dal segretario generale della Kek, Jørgen Skov Sørensen e dal Segretario generale ad interim del Wcc Rev. Ioan Sauca. Secondo la Kek e il Wcc, quanto accade “segue un chiaro modello di comportamento dell’Azerbaigian che contraddice qualsiasi pretesa di buona volontà e responsabilità umanitaria”. La lettera rileva anche prove crescenti di gravi violazioni dei diritti umani contro gli armeni da parte delle forze militari e di sicurezza dell’Azerbaigian. “In queste circostanze, i timori di un nuovo genocidio sono notevolmente e comprensibilmente esacerbati”.

Le conseguenze del blocco

Il blocco impedisce il transito di merci e persone; alcuni malati gravi ricoverati all’ospedale repubblicano di Stepanakert e in procinto di essere trasferiti ai nosocomi di Yerevan non possono essere spostati con gravi conseguenze per la loro salute. La lettera esorta l’UE a perseguire tutte le possibili iniziative diplomatiche per garantire che l’Azerbaigian riapra il corridoio di Lachin e fornisca poi adeguate garanzie perché rimanga aperto. “Inoltre, vi chiediamo di fare tutto ciò che è in vostro potere per garantire l’estensione del mandato dell’attuale missione di monitoraggio dell’UE al confine tra Armenia e Azerbaigian includendo il corridoio di Lachin, al fine di fornire un monitoraggio civile indipendente della situazione lungo il corridoio”.

La preoccupazione di Papa Francesco 

Domenica scorsa all’Angelus, Papa Francesco ha espresso forte preoccupazione per la situazione creatasi nel Corridoio di Lachin, nel Caucaso meridionale. “In particolare – ha detto – sono preoccupato per le precarie condizioni umanitarie delle popolazioni che rischiano ulteriormente di deteriorarsi nel corso della stagione invernale”. 

La voce del Catholicos della Chiesa armena, Aram I

Sulla vicenda è intervenuto nei giorni scorsi anche Sua Santità Aram I, Catholicos della Chiesa armena che in una nota ha denunciato: “L’Azerbaigian ha tagliato la fornitura di gas dall’Armenia all’Artsakh, lasciando questa popolazione isolata con scorte in diminuzione, che lottano per sopravvivere – senza riscaldamento – in condizioni invernali sotto lo zero. Ospedali, scuole e servizi sociali non sono in grado di funzionare correttamente; la prospettiva diventa minacciosamente cupa. Si sta verificando una terribile catastrofe umanitaria, specificamente progettata per eliminare la popolazione armena dell’Artsakh”. “Stiamo assistendo – scrive Aram I – a passi deliberati e concreti verso la pulizia etnica e il genocidio della popolazione armena dell’Artsakh”.Da qui l’appello ai “governi mondiali”, ai leader spirituali, a politici e attivisti per i diritti umani a “non rimanere indifferenti al destino del popolo armeno, ancora una volta sull’orlo del genocidio”.

In campo sono scese anche l’Œuvre d’Orient (associazione cattolica francese nata a sostegno delle comunità cristiane del vicino e medio Oriente) e la Comunità armena di Roma. Quest’ultima si è rivolta alle “istituzioni italiane” chiedendo che “i diritti degli armeni dell’Artsakh (alla libertà di movimento, all’autodeterminazione, alla vita, alla libertà) siano rispettati come previsto dalle convenzioni internazionali”. Il Nagorno-Karabakh è una regione nel sud del Caucaso tra Armenia e Azerbaigian che si sono scontrati militarmente tra il gennaio 1992 e il maggio 1994. Da allora, tra diverse vicende, le zone di confine tra il Nagorno-Karabakh e l’Azerbaigian rimangono di fatto militarizzate in un regime di “cessate il fuoco” spesso violato.