Cospe lancia AMAzzonia: “Fermiamo la caccia al tesoro”

Vatican News

Andrea De Angelis – Città del Vaticano 

Fa parte di nove nazioni, si estende per quasi sette milioni di chilometri quadrati, è la seconda foresta più grande al mondo ed è conosciuta come “polmone verde della Terra”. L’Amazzonia è questo e molto altro, ma soprattutto è meritevole di un’attenzione particolare per il suo ruolo, la sua storia e, purtroppo, per quanto sta accadendo di recente. Basti pensare che sono migliaia i chilometri quadrati persi ogni anno, oltre mille solo lo scorso settembre, per un’area pari all’intera città di Roma. Le cause sono legate agli interessi dell’industria mineraria, dell’agricoltura industriale e più in generale agli abusi dell’uomo.

Cambio di rotta 

Si moltiplicano gli appelli per porre fine ad uno scempio che sconvolge la vita delle popolazioni locali ed ha ripercussioni sull’intero pianeta. Tra loro c’è quella di Cospe, l’associazione senza scopo di lucro per la Cooperazione e lo Sviluppo dei Paesi Emergenti che, da quasi 40 anni, lavora in 25 diversi Paesi per portare avanti una settantina di progetti volti ad assicurare uno sviluppo equo e sostenibile, nel rispetto dei diritti umani. Per sostenere i “custodi” della foresta, Cospe lancia la campagna di sensibilizzazione e raccolta fondi “AMAzzonia” con l’obiettivo di dare voce a chi non ne ha e realizzare progetti concreti di tutela e difesa ambientale. Da gennaio a settembre quasi 9mila km² di foresta sono andati in fumo, il 39% in più rispetto al 2020, con un dato già in crescita dal 2012. Dunque è arrivato il momento di cambiare rotta. 

L’impegno della COP26 

La COP26 di Glasgow sta per concludersi, una conferenza che ha visto proprio la deforestazione al centro nelle primissime ore di lavoro. Una decina di giorni fa, infatti, poco dopo l’apertura del summit, più di 100 leader mondiali hanno promesso che fermeranno la deforestazione nei loro Paesi entro il 2030. È stato questo il primo, grande accordo uscito dalla conferenza sul clima, che ha visto firmare gli Stati dove si trova quasi il 90% delle foreste mondiali, compresi Brasile, Russia e Repubblica Democratica del Congo. L’impegno è stato accolto comunque con un certo scetticismo da molti attivisti per l’ambiente, perché nonostante i buoni propositi non è vincolante e non prevede sanzioni per chi non lo rispetta. 

I custodi della foresta 

Sempre a Glasgow, nella bozza del documento finale resa nota ieri, si sottolinea l’importanza di ascoltare gli enti non statali, compresi dunque i popoli indigeni. Come documenta la Fao, le popolazioni indigene sono i migliori custodi della foresta: il tasso di deforestazione è nettamente inferiore nei territori dove le autorità pubbliche hanno riconosciuto loro il diritto di proprietà. Preziosi e scomodi, non a caso si moltiplicano le aggressioni contro gli attivisti ambientali: nel 2019 sono stati 212 gli omicidi, un numero mai registrato in precedenza. “Sconcerto” e “impotenza” nel contemplare gli effetti del cambiamento climatico e i suoi impatti catastrofici per l’umanità e la casa comune, la scorsa settimana sono stati espressi, in una lettera ai leader della COP26, dai vescovi della Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia (Ceama) e della Rete ecclesiale panamazzonica (Repam), preoccupati per la sorte della polmone verde del pianeta. Ricordando il documento finale del Sinodo per l’Amazzonia del 2019 e l’esortazione apostolica di Papa Francesco Querida Amazonia, si sottolinea la “drammatica situazione di devastazione” che sta subendo la foresta, “colpita drasticamente dal degrado ambientale e dalle conseguenze del cambiamento climatico causato dalle emissioni di gas serra”. E a farne le spese sono soprattutto i popoli indigeni.

Un impegno comune

Cospe, presente da anni del bacino amazzonico con progetti di tutela e gestione sostenibile del territorio, difesa dei diritti e promozione del ruolo della donna, oggi rinnova dunque il proprio impegno con la campagna AMAzzonia, a cui si può aderire recandosi sul sito dell’organizzazione. Giorgio Menchini, presidente di Cospe, nell’intervista a Radio Vaticana – Vatican News sottolinea come i popoli indigeni e più in generale le popolazioni della foresta abbiano il diritto di essere custodi della loro casa. “Tutti i popoli che abitano l’Amazzonia, sia gli indigeni che quelli arrivati in seguito, sono un modello di inclusione sociale per tutti noi”, afferma.

Ascolta l’intervista a Giorgio Menchini

Sulla dichiarazione della COP26 per fermare la deforestazione entro il 2030, firmata da oltre 100 Paesi, Menchini si mostra cautamente ottimista. “Sappiamo bene che simili documenti non sono vincolanti e non prevedono sanzioni, ma è la prima volta che così tanti leader mondiali mettono nero su bianco l’obiettivo di fermare la deforestazione in tempi brevi”. Un traguardo questo che “necessita dell’impegno della società civile, perché – dice – molto dipenderà dalla pressione che ogni popolo saprà fare al proprio governo”. In tal senso “un’azione che parta dal basso risulterà decisiva, ma ciò implica un cambiamento degli stili di vita, compresi anche i regimi alimentari. Le grandi piantagioni di soia, l’aumento insostenibile degli allevamenti di bestiame incide in modo profondo sulla deforestazione”. Con AMAzzonia Cospe “vuole dunque – prosegue il suo presidente – sostenere quella che amiamo definire la resistenza delle popolazioni della foresta”, una resistenza che “di recente si è rafforzata, ma ha ancora bisogno di sostegno”. In tal senso i progetti di Cospe sono parte di un aiuto importante. “Per sostenerli – conclude – si può aderire al nostro manifesto, impegnarsi in prima persona nel cambiamento che coinvolge la vita di ciascuno, imparare a conoscere anche le nostre foreste, quelle dei luoghi in cui viviamo e dare un contributo alla raccolta fondi visitando il nostro sito”. 

Stati Uniti e Cina 

Intanto ieri la Cina ha annunciato la presentazione di un’iniziativa congiunta con gli Stati Uniti per ridurre le distanze fra le posizioni delle due potenze sulla lotta al cambiamento climatico e per accelerare verso un piano d’azione più efficace. I due Paesi hanno concordato di raddoppiare gli sforzi con “azioni concrete”. La loro intesa, si legge in una dichiarazione congiunta, punta ad una “azione climatica più forte nei prossimi anni sulle linee guida di Parigi, anche con nuovi, più forti obiettivi di tagli alle emissioni nel 2025”.  L’accordo prevede regole “concrete e pragmatiche” in materia di decarbonizzazione, riduzione delle emissioni di metano e lotta alla deforestazione. “Entrambe le parti riconoscono che c’è un divario tra lo sforzo attuale e l’accordo di Parigi, quindi rafforzeremo congiuntamente l’azione per il clima e la cooperazione rispetto alle nostre rispettive situazioni nazionali”, ha detto l’inviato della Cina a Glasgow, Xie Zhenhua. Abbiamo “differenze” su molte questioni, ma sulla lotta al cambiamento climatico “non abbiamo scelta” se non collaborare perché è l’unico modo per avere “il lavoro fatto” e perché “la scienza lo impone”, ha affermato John Kerry, emissario americano a Glasgow.