Chiesa Cattolica – Italiana

COP26, nuovi impegni contro l’uso delle fonti fossili. Oggi lo sciopero dei giovani

Alessandro Di Bussolo – Città del Vaticano

Se nella limitazione dell’aumento della temperatura media della Terra per i prossimi decenni, da 1,5 gradi si passasse a 2, per le piccole isole dell’Oceano indiano, come le Seychelles o le Maldive, che hanno già coste mangiate dal riscaldamento globale e dal conseguente innalzamento dei mari, questo equivarrebbe ad una condanna a morte. E’ solo mezzo grado di differenza, nell’aumento della temperatura del pianeta rispetto all’era preindustriale, ma per queste isole sarebbe fatale. E’ l’allarme lanciato ieri, alla Cop26 di Glasgow, dal presidente dell’arcipelago delle Seychelles, Wavel Ramkalawan.”Quello che fa male al pianeta fa male a tutti – ha detto – l’Australia deve fare quanto uno si aspetta, come Cina, Russia e gli altri Paesi industrializzati”. Se in questa conferenza delle Nazioni Unite non verranno stabilite azioni decisive per arginare il riscaldamento globale, le Seychelles potrebbero scomparire del tutto, ha ricordato il presidente, come altre centinaia di isole.

Le piccole isole: il riscaldamento della Terra per noi è letale

Il ministro delle Maldive Shauna Aminath, ha definito la COP 26 “la nostra ancora di salvezza”. L’arcipelago per la sua energia, oggi dipende quasi del tutto da combustibili fossili importati, dai “costi esorbitanti”. La politica energetica del governo locale punta a una transizione verso le rinnovabili, che oggi coprono il 12 per cento del fabbisogno, sfruttando una risorsa che si trova in abbondanza: il sole. Ma per fabbricare e collocare pannelli solari galleggianti in tutte le isole servono ingenti finanziamenti.

Un altro momento della manifestazione di Extinction Rebellion a Glasgow

Proteste contro le industrie di armi: ricche grazie alle guerre per il clima

Ieri, nella quarta giornata di lavori della Conferenza sulla lotta ai cambiamenti climatici, le strade di Glasgow sono state animate dalla manifestazione di centinaia di ambientalisti contro l’industria militare, “colpevole” di fare profitti sfruttando l’instabilità politica e le guerre generate dal clima che cambia, e in solidarietà con i rifugiati dei Paesi nei quali i conflitti sono aggravati da queste cause. Una marcia, guidata dal gruppo radicale Extinction Rebellion, è partita dalla sede del municipio della città scozzese, ed è proseguita verso gli stabilimenti di Govan e Scotstoun di Bae Systems, colosso britannico degli armamenti. I manifestanti innalzavano striscioni con lo slogan: “Il caos climatico crea la guerra”. “Più guerra c’è, più profitto c’è per aziende come la Bae”, ha dichiarato uno di loro ai media britannici.

Lo sciopero di FridaysForFuture e “Parole, parole, parole”

Oggi la protesta si allarga con lo sciopero proclamato dai giovani di FridaysForFuture di Greta Thunberg. “Questa non è più una conferenza sul clima – ha denunciato ieri su Twitter la giovane attivista svedese – È un festival del greenwashing dei Paesi ricchi. Una celebrazione di due settimane di business as usual e blah blah”. E andrà in scena anche un flash mob sulle note della canzone italiana “Parole, parole, parole”, con due attivisti di Avaaz che imiteranno Mina e Alberto Lupo nel famoso duetto del 1972. Gli ambientalisti denunciano che dal vertice del G20 di Roma sono uscite solo “parole, parole, parole” e si aspettano invece dalla COP26 “azione, azione azione”.

Un incontro di delegati alla Cop26 in corso a Glasgow

Stop ai finanziamenti di progetti con fonti fossili di energia

Ieri alla conferenza dell’Onu 20 paesi, fra i quali anche Stati Uniti e Canada, si sono impegnati assieme ad alcune istituzioni finanziarie a bloccare entro il 2022 tutti i finanziamenti di progetti all’estero che utilizzino le fonti fossili dell’energia. “Investire in progetti di energia fossile lasciati come sono pone sempre piu’ rischi sociali ed economici”, hanno dichiarato i firmatari dell’accordo. A Roma i Paesi del G20 si erano impegnati a smettere di sostenere i progetti di centrali a carbone all’estero. Questo nuovo piano include per la prima volta anche gas e petrolio e contiene la promessa di riorientare il denaro prima investito nelle fonti fossili verso le energie rinnovabili: se gli impegni saranno rispettati, saranno oltre 15 miliardi di dollari. Un’altra iniziativa promossa dal governo britannico ha visto oltre 40 Paesi impegnarsi su una dichiarazione di “transizione del carbone verso le energie pulite”. Tra i firmatari Paesi che sono tra i primi 10 utilizzatori del carbone, come la Corea del Sud, l’Indonesia e la Polonia, ma in questo caso grandi nazioni come Australia, Cina, India, Stati Uniti, Giappone e Russia non hanno firmato.

Gli indigeni: proteggiamo l’80 per cento della biodiversità

A Glasgow, infine, i rappresentanti dei popoli indigeni non partecipano ai lavori ufficiali della Cop26 ma fanno sentire la loro voce. Fuori dal centro conferenze sono protagonisti di incontri, celebrazioni rituali, balli e musica per dire la loro su lotta al riscaldamento globale e la tutela dell’ambiente. In particolare, il movimento Minga, un collettivo di leader indigeni delle Americhe, la scorsa notte ha acceso un fuoco sacro. Minga, rete di solidarietà indigena di cui fanno parte tra gli altri i Mixtecas di Oaxaca in Messico e i Mapuche del Cile, ricorda che nonostante costituiscano solo il 6% circa della popolazione mondiale, gli indigeni proteggono l’80% della biodiversità rimasta nel mondo e rivendicano quindi di avere finora fatto “molto più dei governi”. “Dare un prezzo alle risorse naturali è un atto di colonialismo e disumanità – ha detto Calfin Lafkenche, uno degli organizzatori Mapuche – Esiste un altro modo di vivere e agire”. I 130 esponenti del collettivo Minga sono ospitati da famiglie locali, in gruppi di solidarietà e nelle chiese di Glasgow. Il loro contributo concreto arriva da storie personali sull’impatto della perdita di terra, della scarsità d’acqua e degli sfollamenti forzati, che secondo loro peggioreranno se i leader mondiali andranno avanti con azioni per il clima come la cattura del carbonio e la riforestazione di massa. Per gli indigeni i mercati del carbonio e lo “zero netto” sono “false soluzioni climatiche” in quanto la crisi non può essere risolta attraverso un ulteriore sfruttamento e commercializzazione delle risorse naturali. “E’ proprio questo – hanno denunciato – che ha portato al crollo climatico che le nostre comunità stanno iniziando a sperimentare”.

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