COP26, la bozza in attesa della svolta

Vatican News

Andrea De Angelis – Città del Vaticano 

A 48 ore dalla fine del summit internazionale è arrivata la bozza del documento finale che, ora, dovrà essere approvata. Glasgow si appresta dunque a scrivere una pagina della storia mondiale recente, in vista della fine di un vertice particolarmente atteso, sia da un punto di vista geopolitico che temporale, visto che lo stesso è stato posticipato di un anno a causa della pandemia di Covid-19. 

Intorno a metà secolo 

La bozza del documento finale della riunione annuale dei Paesi che hanno ratificato la Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici,  riconosce che “limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi al 2100 richiede rapide, profonde e sostenute riduzioni delle emissioni globali di gas serra, compreso il ridurre le emissioni globali di anidride carbonica, nel 2030 del 45% rispetto al 2010 per portarle a zero intorno alla metà del secolo”. L’obiettivo delle emissioni zero, dunque, conferma la dicitura “intorno alla metà del secolo” adottata già lo scorso mese, al termine del G20 di Roma. 

Accelerare l’eliminazione del carbone

La bozza del documento, inoltre, “riafferma l’obiettivo globale di lungo termine di tenere l’aumento della temperatura globale media ben sotto i 2 gradi dai livelli pre-industriali, e di perseguire gli sforzi per limitare l’aumento di temperatura a 1,5 gradi dai livelli pre-industriali”. Il documento “riconosce che l’impatto del cambiamernto climatico sarà molto più basso con un aumento della temperatura a 1,5 gradi, riconoscendo che questo richiede azioni significative ed efficaci da tutte le parti in questo decennio critico, sulla base della miglior conoscenza scientifica disponibile”. La bozza poi “invita le parti a considerare ulteriori opportunità di ridurre le emissioni di gas serra che non sono anidride carbonica”, e chiede di “accelerare l’eliminazione del carbone e dei sussidi ai combustibili fossili”, sottolineando “l’importanza critica delle soluzioni basate sulla natura e degli approcci basati sugli ecosistemi, compreso proteggere e ripristinare le foreste, nel ridurre le emissioni e proteggere la biodiversità”.

Il ruolo dei soggetti non statali 

Nel testo redatto a Glasgow, si “accolgono favorevolmente gli impegni accresciuti presi dai Paesi sviluppati” per il fondo di aiuti ai Paesi meno sviluppati previsto dall’Accordo di Parigi, impegni che hanno l’obiettivo “di arrivare al più tardi nel 2023 al target dei 100 miliardi di dollari all’anno”. Il documento “sottolinea la necessità di un aumento del sostegno delle parti ai Paesi in via di sviluppo, oltre all’obiettivo di mobilitare 100 miliardi di dollari all’anno”. Quindi “nota con rammarico”, che neppure il target dei 100 miliardi all’anno dal 2020 “è stato ancora raggiunto”. Si riconosce poi “l’importante ruolo dei soggetti non statali, compresa la società civile, i popoli indigeni, i giovani e altri soggetti, nel contribuire ai progressi verso l’obiettivo della Convenzione dell’Onu per i cambiamenti climatici e gli obiettivi dell’Accordo di Parigi”.

Agire subito

Nell’intervista a Radio Vaticana – Vatican News, il direttore scientifico di Greenaccord, Andrea Masullo, analizza la bozza del documento finale della COP26 di Glasgow, memore anche di quanto prodotto negli appuntamenti degli anni scorsi. “L’impressione – afferma – è che la politica non capisca che la scienza, la fisica, non possono essere ingannate”. Masullo sottolinea poi l’importanza che si definiscano dei meccanismi di controllo e di verifica vincolanti, “altrimenti – dice – non conosceremo neanche il percorso intrapreso”.

Ascolta l’intervista ad Andrea Masullo

Con questa bozza non stiamo parlando del documento finale, ma ci dice molto di quanto fatto in questi dieci giorni a Glasgow. Compresa la dicitura di “intorno a metà secolo” già letta dopo il G20 di Roma. Era lecito aspettarsi di più?

Sì, c’è un velo di ombra su questo documento che è anche, in parte, dovuto all’attesa delle decisioni reali. Mi spiego meglio: vedere che gli impegni sulla riduzione vengono coniugati al netto degli assorbimenti da parte delle foreste, vuol dire che anche l’attività volta alla forestazione, se va a sostituire le riduzioni nette di emissioni, ci lascia alti margini di incertezza. Si pensi che l’Amazzonia di recente è un emettitore di anidride carbonica per gli incendi che hanno caratterizzato gli ultimi tempi. Sembra che la politica non ha compreso che la fisica non si può ingannare. Il grado e mezzo già è una chimera, perché siamo nella possibilità di arrivare a 1,7 gradi. Se non stabiliamo impegni vincolanti arriveremo a due gradi, passando da un miliardo di persone a rischio ad un numero pari al doppio. Non si può giocare con queste vite. 

Nella bozza si legge anche l’importanza di dare voce alle realtà non statali, comprese le popolazioni indigene…

Questi popoli erano già stati attenzionati a Parigi, ma ancora non si vedono i risultati. Anche i 100 miliardi di dollari da destinare ai Paesi poveri per aiutarli a fronteggiare le conseguenze dei cambiamenti climatici già in atto, previsti dal 2020, sono stati posticipati a partire dall’anno 2023. Ascoltare queste comunità dovrebbe essere sinonimo di ripensare il modello di sviluppo globale, tenendo conto delle realtà territoriali locali. Questo ancora non c’è! Non vedo questa attenzione forte verso un cambio di paradigma. Si parla di transizione ecologica, sappiamo dove siamo, ma non sappiamo questa transizione dove ci vuole portare. Bisogna definire il punto di arrivo, altrimenti ogni percorso avrà diverse interpretazioni, anche contradditorie. 

Sono importanti anche le parole: forse il termine “transizione” è fin troppo morbido dinanzi alla assoluta necessità di intervenire subito?

Sì, non c’è la visione di dover operare sul modello. Prevale una visione conservativa del modello esistente, facendo il massimo possibile. Questo non ci porta da nessuna parte, equivale a partire da una sponda per poi finire nel guado. Non c’è il coraggio di passare sull’altra sponda, di cambiare davvero. Non dobbiamo cercare di migliorare un po’ ciò che esiste, ma pensare a cose diverse, modificare ad esempio le tecnologie produttive o il modello esistente di trasporto. Cambiare paradigma, come ieri ha chiesto con forza il segretario delle Nazioni Unite. 

Come si fa ad imprimere un cambiamento concreto, che vada oltre le dichiarazioni – tra l’altro non vincolanti – e le parole, ma che permetta di dire davvero che da domani si agirà in un modo diverso? Le COP possono portare a questo?

La chiave potrebbe essere cominciare a definire i meccanismi stringenti di verifica degli impegni presi, altrimenti si resta, come dicevo prima, nel guado. Il massimo che possiamo aspettarci da Glasgow è che si definiscano meccanismi di controllo vincolanti. Devono essere rafforzati questi meccanismi, altrimenti non sappiamo nemmeno su che percorso siamo.