Compie 30 anni l’associazione Apurimac, al fianco degli ultimi in America Latina e Africa

Vatican News

Tiziana Campisi – Città del Vaticano

Era il 1966 quando due padri agostiniani, padre Lorenzo Miccheli e padre Ettore Salimbeni, giunsero sulle Ande peruviane, nella regione dell’Apurimac, a 4mila metri di altitudine. Il loro obiettivo l’evangelizzazione e lo sviluppo umano e sociale degli abitanti andini. Due anni dopo, i primi sette missionari entrarono in contatto con il popolo indio e da allora i religiosi agostiniani sono al fianco del popolo Quechua nelle Tre Province Alte che formano la Prelatura di Chuquibambilla: Grau, Cotabambas e Antabamba, tra le più povere di tutto il Perù. Oltre 80mila persone di lingua quechua vivono, geograficamente isolate, di agricoltura e pastorizia, prive di strade e di efficienti servizi basilari. È per far fronte alle loro necessità che il 2 luglio 1992 nasce a Roma Apurimac, organizzazione di volontariato di ispirazione cristiana, che insieme a missionari e missionarie, ha dato vita a case per l’infanzia abbandonata, dispensari medici, centri di formazione per giovani, cappelle e mense per i poveri. Oggi l’associazione Apurimac compie trent’anni e continua tutt’ora a realizzare progetti sociali e la sua missione ha raggiunto anche l’Africa, grazie a finanziamenti di donatori pubblici e privati ispirandosi alla Dichiarazione universale dei diritti umani dell’Onu e agli Obiettivi di sviluppo indicati nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

I progetti in corso

Fra i progetti che attualmente l’associazione sta portando avanti c’è quello di inclusione sociale per migranti venezuelani “Pace e salute nella città di Cusco”, che intende potenziare l’informazione sui procedimenti di regolarizzazione migratoria e di affiliazione al sistema sanitario nazionale e offrire servizi sanitari gratuiti, educazione di base e formazione professionale. Sempre a Cusco, per i migranti venezuelani, è attivo fino al 2023, “Salute senza barriere” per far fronte alle esigenze legate alla pandemia di Covid-19.

Gli eventi che celebrano i 30 anni di missione

Per festeggiare il suo trentesimo anno di attività, Apurimac propone a Roma tre eventi. Si può partecipare iscrivendosi sul portale dell’associazione. Si comincia l’8 luglio, all’Istituto Salesiano San Tarcisio, alle ore 15, con la presentazione del libro di fra Fernando Giangiacomi “In cammino nelle Sue mani. La mia vita in missione”, cui segue la tavola rotonda “La cooperazione Internazionale allo sviluppo: verso dove?”, alla quale prende parte monsignor Luis Marín de San Martín, sottosegretario del Sinodo dei vescovi. Alle ore 18, invece, viene inaugurata la mostra fotografica “30 anni di missione, 30 anni di passione”. Il 9 luglio, a partire dalle ore 9, si svolge il “Laboratorio per aspiranti volontari. Identificare, elaborare e comunicare un progetto: diverse sfumature di un’unica idea di sviluppo sostenibile”. Alle 14.30 è in programma l’incontro con alcuni volontari sul tema “Il volontariato internazionale: missione, passione, professionalità” e alle ore 16 viene illustrato il volume “Venti di periferia” di Chiara Nocchetti e Maria Novella De Luca. Il 10 luglio, infine, nella chiesa di Santa Prisca, alle ore 11, il cardinale Francesco Montenegro presiede una solenne celebrazione con l’esecuzione della Misa Criolla di Ariel Ramírez affidata al coro Emmanuél diretto da Raffaella Arriola Nacci.

L’evoluzione e i riconoscimenti

L’associazione Apurimac ha ottenuto il 13 giugno 1998 la qualifica di onlus (Organizzazione non lucrativa di utilità sociale), non lavorando per un proprio profitto, ma per il benessere di persone bisognose di aiuto. Nel 2002, il suo presidente, l’agostiniano padre Pietro Bellini, ha ricevuto dal governo peruviano la decorazione dell’Ordine “Al Merito per Servizi Insigni” con il grado di commendatore. Nel 2003, riconosciuta ong dal ministero degli Affari Esteri italiano, per contribuire alla diffusione dei diritti umani fra le persone vulnerabili, svantaggiate e dimenticate, utilizzando tutti gli strumenti necessari per assicurare loro futuro e opportunità, Apurimac ha cominciato a dar vita a progetti di cooperazione internazionale e, beneficiando di fondi del ministero, è giunta anche a Cuba, nella Repubblica Democratica del Congo, in Nigeria, Algeria, Kenya. In Italia si è spinta, invece, nelle periferie e fra gli ultimi. Nel 2009 e nel 2010 il presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano ha destinato due medaglie, quale suo premio di rappresentanza, a padre Bellini per la campagna di sensibilizzazione ‘I Titeres di Apurimac’, considerata “un concreto contributo all’approfondimento dei qualificati progetti umanitari che l’associazione segue da molti anni nei territori disagiati delle Ande peruviane, lavorando al fianco delle popolazioni per l’affermazione dei diritti fondamentali e l’avvio di un virtuoso processo di sviluppo della regione”. Dal 2019, in seguito alla Riforma del Terzo Settore, è un Ente Terzo Settore.

A tracciare un bilancio delle missioni dell’associazione è padre Bellini che racconta passato e presente e illustra l’ultimo progetto in cantiere che coinvolge Perù e Bolivia.

Ascolta l’intervista a padre Pietro Bellini

Questi 30 anni dell’associazione Apurimac li ritengo come un’avventura che abbiamo fatto nel nome dell’aiuto alle missioni cattoliche e in genere per lo sviluppo sociale delle popolazioni a cui siamo andati incontro. Siamo nati sulla spinta della missione degli agostiniani italiani in Apurimac, sulle Ande del Perù, una missione che era stata accolta dagli agostiniani italiani sulla spinta dell’arcivescovo di Cusco durante il Concilio Ecumenico Vaticano II. La missione è stata aperta precisamente nel ’68. Apurimac era inizialmente un gruppo missionario in aiuto alla missione, poi 30 anni fa si è costituita in associazione civile per poter espletare maggiormente la propria missione.

In tutti questi anni verso quali attività vi siete orientati?

Noi abbiamo avuto come obiettivo l’aiuto, sostanzialmente, alle missioni agostiniane sparse nel mondo. Per fare un progetto, soprattutto complesso, dobbiamo avere dei partner locali sicuri, fidati, perché poi sui finanziamenti che riusciamo ad avere dobbiamo fare una rendicontazione precisa e perfetta. Per questo ci appoggiano sempre alle missioni. Quindi sono le missioni agostiniane che ci indicano quali potrebbero essere le necessità prioritarie nella zona in cui loro stanno lavorando e così adattiamo i nostri interventi sociali secondo le necessità proprie della gente del posto.

E in particolare, quali attività avete portato avanti?

Per esempio, in Apurimac, quando siamo andati noi, ancora non c’era elettricità, le strade erano di terra battuta, non c’era il telefono. Tutto questo in tempi molto recenti. E in tempi recenti, insieme alla luce, è arrivato il telefono, è arrivato anche internet. Questo ha creato un cambio epocale, nella mentalità, nella cultura di quelle popolazioni e soprattutto uno stacco molto forte tra i giovani, che sono subito entrati in questa dinamica moderna, e le abitudini ancestrali, antiche, della maggioranza della popolazione, che è stata lasciata sola nelle sue necessità primarie. L’Apurimac è una zona che dai 3000 agli oltre 5000 metri di altitudine. In questa zona abbandonata si vive, praticamente, solo di pastorizia. La maggior parte dei giovani migra nelle città di Cusco, Lima, e poi molti ritornano una volta all’anno a trovare i genitori, i parenti. Questo significa, però, che quella popolazione è praticamente abbandonata sotto l’aspetto sociale, sotto l’aspetto sanitario, e quindi noi, secondo le necessità che i missionari ci indicavano, ci siamo impegnati in vari progetti. Abbiamo incanalato l’acqua potabile, per esempio, oppure abbiamo fatto coltivazioni di pesce lungo i fiumi, abbiamo realizzato anche degli orti produttivi. Ultimamente ci siamo concentrati sulla sanità, perché la sanità, purtroppo, è un elemento molto fragile in questi luoghi semiabbandonati in cui il governo stesso non può essere presente nella totalità delle esigenze della popolazione.

Quali frutti hanno dato i vostri aiuti?

Ne vorrei citare solo uno. Nel marzo scorso, sono stato in Perù per monitorare la situazione, ho incontrato la Direzione regionale della salute, perché noi collaboriamo con la salute pubblica, sia quella regionale sia quella statale, e ci hanno detto – e io sono rimasto molto soddisfatto – che il 90% dei casi Covid risolti positivamente in tutta la regione dell’Apurimac sono passati attraverso la telemedicina, che è, propriamente, l’ultimo grande progetto che abbiamo cercato di attuare – l’abbiamo terminato quest’anno – proprio per impiantare in 30 zone una postazione di telemedicina in cui la gente può accedere, fare esami clinici fondamentali – quelli necessari, come prevenzione – e quindi, poi, trasmetterli via internet, dialogando con professionisti, sia di Cusco sia di Lima. Qualche volta abbiamo fatto anche dei collegamenti con alcuni medici e specialisti italiani.

Ma non è solo il Perù che ha beneficiato dei vostri aiuti in questi 30 anni…

Il Perù è stata la nazione privilegiata di intervento perché c’erano i nostri missionari italiani a lavorare lì. Abbiamo, poi, tentato di lavorare a Cuba con alcuni progetti, anche se la situazione politica rende un po’ difficile la cooperazione internazionale. Abbiamo lavorato in Algeria insieme alle suore misioneras Cruzadas de la Iglesia di Spagna, soprattutto per le ragazze. Abbiamo lavorato in Nigeria con un progetto peacebuilding vicino a Jos, dove il conflitto etnico e religioso, ma a carattere sostanzialmente economico, crea divisioni. Per circa 10 anni, abbiamo portato avanti un torneo di calcio con 18 squadre, con la regola che ogni squadra doveva essere composta un terzo da ragazzi musulmani, un terzo da ragazzi cattolici e un terzo da ragazzi cristiani di altre denominazioni non cattoliche. Questo progetto è riuscito molto, molto bene. Io ero presente al calcio d’avvio della prima edizione del torneo e, oltre a me, era presente il superiore provinciale degli agostiniani e l’imam della città. Poi abbiamo anche creato dei centri di salute, per esempio, per i bambini soldato, soprattutto di carattere psicologico. Abbiamo fatto dei corsi per insegnare dei mestieri a tantissime donne cristiane – e hanno partecipato in molte – per poterle avviare a piccole attività commerciali a carattere familiare. 

E adesso a quali orizzonti guardate?

I nostri orizzonti sono sempre le necessità delle persone, delle popolazioni di cui ci interessiamo, perché veniamo chiamati dalle missioni che ci indicano le necessità della gente. Noi non lavoriamo isolatamente, ma con partner locali o con altre ong similari alla nostra con le quali condividiamo progetti e li realizziamo insieme mettendo ciascuno le proprie capacità e specializzazioni. In questo modo riusciamo a gestire bene credo, – con soddisfazione nostra ma anche, soprattutto, a vantaggio delle popolazioni – quello che è possibile fare attraverso la cooperazione internazionale.

Qual è il vostro progetto in cantiere?

Il nostro progetto in cantiere, che è stato già approvato dal ministero degli Esteri, e quindi speriamo di poter partire presto, è binazionale e riguarda il Perù e la Bolivia e ha come obiettivo il completamento di postazioni di telemedicina. Abbiamo capito che per quelle popolazioni la cosa principale è garantire un minimo di assistenza sanitaria, altrimenti sono totalmente abbandonati.