Centinaia di migranti nel mar Mediterraneo in attesa di un porto sicuro

Vatican News

Giancarlo La Vella – Città del Vaticano

Una nuova odissea si paventa per oltre mille migranti tratti in salvo nel Mediterraneo. Si trovano a bordo delle navi umanitarie Sea Eye 4 e Ocean Viking. Tra i profughi, recuperati mentre i barconi su cui navigavano stavano per affondare già al largo di Malta, che non ha risposto alle richieste di aiuto, ci sono bambini, donne incinte e feriti. Per bloccare una situazione, che rischia di aggravarsi di ora in ora, si chiede alle autorità italiane l’indicazione di un porto nel quale sbarcare le persone. I due natanti sono in navigazione nelle acque tra Lampedusa e il sud della Sicilia. Da parte del governo italiano: “è giusto salvare queste persone, ma è ingiusto che a farsene carico sia un solo Paese”, ha ribadito il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, intervenendo al Viminale alla cerimonia della firma del protocollo d’intesa che consente l’arrivo in Italia di 1.200 afghani bisognosi di protezione internazionale attraverso corridoi umanitari.

Strategie comuni

Da più parti si chiede, dunque, che l’Europa, in modo coordinato e congiunto, dia delle risposte concrete ad un fenomeno che si fa sempre più pressante. Un primo importante passo dovrebbe essere quello dell’equa distribuzione dei migranti nei Paesi comunitari. E’ di questa idea anche Oliviero Forti, responsabile per le Politiche migratorie della Caritas italiana, nell’intervista a Radio Vaticana – Vatican News. Ci stiamo confrontando con una situazione che si ripete da almeno due decenni, sottolinea Forti.

Ascolta l’intervista a Oliviero Forti

Oliviero Forti, il fenomeno immigrazione sta assumendo proporzioni importanti. E’ questo il momento, oltre che chiaramente di agire sull’emergenza per salvare vite umane, ma di creare un programma più vasto e a lungo termine, che coinvolga tutta l’Unione Europea?

Certamente la situazione che si sta creando, ma che in qualche modo replica quello che è già avvenuto negli ultimi due decenni, è l’occasione ulteriore per mettere in campo una strategia di ampio respiro, certamente non solo italiana, ma europea per dare delle risposte sul fronte emergenziale, perché comunque la priorità è salvare vite umane, questo non smetteremo mai di dirlo. Chiaramente quello di cui si ha bisogno è una politica che veda tutti i Paesi dell’Unione Europea protagonisti nel dialogo con quei Paesi da dove partono queste persone e anche con i Paesi di origine. Diciamo che il quadro internazionale ormai dopo tanti anni è chiaro: si sa dove è necessario andare ad intervenire; adesso quella che chiediamo è la volontà politica.

E’ necessario anche creare dei programmi di inserimento sociale, di integrazione, perché poi non basta soltanto l’accoglienza della prima ora…

E’ evidente, quando parliamo di programmi di ampio respiro sono programmi che certamente partono dalle vicende più visibili, che sono i salvataggi in mare, i programmi di reinsediamento, i corridoi umanitari. Ma poi c’è la parte più consistente, meno visibile però fondamentale, che è quella dei percorsi di integrazione. Su questo lo sforzo deve essere massimo, perché il benessere nostro, e di chi decidiamo di accogliere, dipende proprio dalla qualità delle politiche d’integrazione che saremo in grado di mettere in campo.

Da Glasgow, dove è in corso il vertice mondiale sul clima COP26, arriva un altro allarme più a lungo termine: le emergenze climatiche che, se non verranno affrontate, causeranno movimenti di popolazione molto più imponenti di quelli attuali…

Questo è un aspetto che viene, non dico ignorato, ma poco frequentato nel dibattito pubblico, però io credo, perché già lo stiamo vedendo, che, sempre parlando di visibilità, tra gli effetti più evidenti che i cambiamenti climatici produrranno, c’è sicuramente il movimento di popolazione. Parliamo di centinaia di migliaia di persone che, ogni volta che sono colpite da eventi climatici estremi, sono costrette a muoversi. E queste persone avranno bisogno di risposte, per cui consideriamo questo aspetto tra quelli più importanti e strategici nella pianificazione futura di risposte al tema dei cambiamenti climatici.

Che cosa manca all’Unione Europea per agire in modo congiunto e coordinato di fronte all’emergenza immigrazione?

Manca evidentemente una visione unitaria sul futuro dell’Europa in particolare sulla dimensione migratoria. Ma è evidente a tutti che non è solo questa la partita sulla quale si gioca il futuro dell’Unione Europea. C’è bisogno di ritrovarsi intorno a dei valori comuni. Sembrano cose scontate, ma non lo sono e, a partire da quelli, formulare delle risposte che, nel caso dei migranti, siano – ripeto – innanzitutto funzionali e necessari per chi decidiamo di accogliere. Noi saremo i primi a beneficiarne. Questa frammentazione a cui stiamo assistendo, purtroppo, è una deriva che farà male non solo ai migranti, ma soprattutto all’identità di un’Europa, che non ritroviamo in tanti discorsi pubblici distanti dai valori fondanti dell’Unione Europea.

In che modo i numerosi appelli di Papa Francesco sull’accoglienza possono aiutare a progredire in questo campo?

Sono fondamentali. La voce di Papa Francesco è l’unica veramente fuori dal coro, una voce che, in qualche modo, stimola costantemente non solo la riflessione, ma l’azione sulle risposte da dare a questo grande fenomeno, che deve essere straordinaria, importante, fondamentale. Quindi noi faremo tutto il possibile nel fare da cassa di risonanza a quelli che sono appunto gli importanti messaggi del Santo Padre.