Cantalamessa: i poveri hanno bisogno di amore non solo di cose

Vatican News

L’Osservatore Romano

Al giorno d’oggi la situazione in cui uno «ha fame e un altro scoppia di cibo non è più un problema locale, ma mondiale». Non ci può essere niente in comune «tra la cena del Signore e il pranzo del ricco epulone, dove il padrone banchetta lautamente, ignorando il povero che sta fuori della porta (cfr. Lc 16, 19 ss.)». Lo ha detto il cardinale Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, durante la terza predica di Quaresima, tenuta nell’Aula Paolo vi, questa mattina, venerdì 25 marzo, alla presenza di Papa Francesco.
 

La preoccupazione di condividere ciò che «si ha con chi è nel bisogno, vicini e lontani, deve essere parte integrante della nostra vita eucaristica», ha spiegato il cappuccino. Non c’è nessuno che, volendo, non possa, durante la settimana, «compiere uno di quei gesti» di cui Gesù dice: «Lo avete fatto a me». Condividere non significa semplicemente «dare qualcosa»: pane, vestito, ospitalità; significa anche visitare qualcuno: un prigioniero, un malato, un anziano solo. «Non è dare solo del proprio denaro — ha fatto notare — ma anche del proprio tempo». Il povero e il sofferente «hanno bisogno di solidarietà e di amore, non meno che di pane e vestito, soprattutto in questo tempo di isolamento imposto dalla pandemia».
 

Gesù ha detto: «I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me (Mt 26, 11)». Questo è vero anche nel senso che non sempre «possiamo ricevere il corpo di Cristo nell’Eucaristia e anche quando lo riceviamo, ciò non dura che pochi minuti, mentre possiamo sempre riceverlo nei poveri». Qui non ci sono limiti, «si richiede solo che lo vogliamo». I poveri li abbiamo sempre a portata di mano. Ogni volta che «incontriamo qualcuno che soffre, specie se si tratta di certe forme estreme di sofferenza, se stiamo attenti, udremo, con gli orecchi della fede, la parola di Cristo: “Questo è il mio corpo!”».

Quando si va a ricevere la comunione, ha continuato Cantalamessa, si va a un incontro importante. Sarebbe triste andarvi non riconciliati con i fratelli, perché si assomiglierebbe a qualcuno che incontra una persona, la bacia sulla fronte, ma le calpesta i piedi con scarpe chiodate.

Riprendendo il pensiero di sant’Agostino, il cardinale cappuccino ha detto che questo vale in modo speciale nei riguardi dei poveri, degli afflitti, degli emarginati. Colui che «ha detto del pane: “Questo è il mio corpo”, lo ha detto anche del povero». Infatti, lo ha detto quando, parlando di ciò che si è fatto «per l’affamato, l’assetato, il prigioniero e il nudo, ha dichiarato solennemente: “Lo avete fatto a me!”».

Il porporato ha offerto la propria esperienza personale riguardo a questa verità. «Ero in missione in un Paese molto povero — ha ricordato — attraversando le vie della capitale vedevo dappertutto bambini coperti da pochi stracci sporchi, che correvano dietro i camion delle immondizie per cercare qualcosa da mangiare». A un certo momento, ha confidato, «era come se Gesù diceva a me: “Guarda bene: quello è il mio corpo!”. C’era da averne il fiato mozzo».

Il predicatore della Casa pontificia ha anche fatto riferimento a quanto narrava la sorella di Blaise Pascal. Nella sua ultima malattia, il filosofo francese non riusciva «a trattenere nulla di quello che mangiava e per questo non gli permettevano di ricevere il viatico che insistentemente chiedeva». Allora disse: «Se non potete darmi l’Eucaristia, fate almeno entrare un povero nella mia stanza. Se non posso comunicare con il Capo, voglio almeno comunicare con il suo corpo».

L’unico impedimento a ricevere la comunione che san Paolo nomina esplicitamente, ha sottolineato il cardinale, è il fatto che, nell’assemblea, «uno è affamato e un altro ubriaco»: Scriveva, a proposito, san Paolo: «Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore. Ciascuno infatti, quando siete a tavola, comincia a prendere il proprio pasto e così uno ha fame, l’altro è ubriaco» (1 Cor 11, 20-21). Dire «questo non è un mangiare la cena del Signore» è come dire: «la vostra non è più una vera Eucaristia!». È un’affermazione forte, anche da un punto di vista teologico, «alla quale non prestiamo forse abbastanza attenzione».

Cantalamessa ha incentrato questa terza predica della catechesi mistagogica sull’Eucaristia, sul momento della comunione, dopo che negli altri due incontri aveva trattato della liturgia della Parola e della consacrazione. Questo, ha spiegato,  è il momento della messa che «più chiaramente esprime l’unità e l’uguaglianza fondamentale di tutti i membri del popolo di Dio, al di sotto di ogni distinzione di rango e di ministero». Fino a quel momento, «è visibile la distinzione dei ministeri: nella liturgia della Parola, la distinzione tra Chiesa docente e Chiesa discente». Nella consacrazione, la «distinzione tra sacerdozio ministeriale e sacerdozio universale». Nella comunione «nessuna distinzione». La comunione che riceve il semplice battezzato è «identica a quella che riceve il sacerdote o il vescovo». La comunione eucaristica è «la proclamazione sacramentale che, nella Chiesa, la koinonia viene prima ed è più importante della gerarchia».

Il cappuccino ha invitato a riflettere sul brano di san Paolo nella prima lettera ai Corinzi. La parola “corpo”, ha detto, ricorre due volte nei due versetti, ma con un significato diverso. Nel primo caso (“il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?”), «corpo indica il corpo reale di Cristo, nato da Maria, morto e risorto». Nel secondo caso (“siamo un corpo solo”), corpo «indica il corpo mistico, la Chiesa». Non si poteva dire «in maniera più chiara e più sintetica che la comunione eucaristica è sempre comunione con Dio e comunione con i fratelli; che c’è in essa una dimensione, per così dire, verticale e una dimensione orizzontale».

Infine il predicatore ha concluso raccontando una piccola storia per sintetizzare il proprio intervento: «un uomo vede una bambina denutrita, scalza e tremante di freddo e grida a Dio quasi con rabbia: “O Dio perché non fai qualcosa per quella bambina?”. Dio gli risponde: “Certo che ho fatto qualcosa per quella bambina: ho fatto te!”».