Nella basilica della Sagrada Familia, il cardinale prefetto del Dicastero delle Cause dei Santi ha elevato agli altari Gaietà Clausellas e Antoni Tort, un sacerdote e un laico uccisi nel 1936
La Messa di beatificazione nella Sagrada Familia di Barcellona
Vita, dono e non possesso
Alla loro “testimonianza della carità l’uno e l’altro rimasero fedeli, anche quando ciò espose al pericolo la loro stessa vita”, sottolinea il cardinale Semeraro, aggiungendo che queste “testimonianze di martirio, così intense e pure commoventi” vanno intese alla luce dell’esempio di Cristo, ovvero di un modo di considerare la propria vita non come “un possesso da tenere con avarizia, come un bene unico da difendere a tutti i costi, ma, al contrario, aprendola all’incontro, alla misericordia, alla cura dell’altro e questo non soltanto per solidarietà e filantropia, che pure sono gesti importanti e meritevoli di stima”, ma appunto “imitando Gesù”.
Imitatori di Gesù
La testimonianza che ci giunge dai beati, afferma il cardinale prefetto, è in sostanza quella di “seguire Cristo”. Come Mosè cui Dio disse “che avrebbe potuto vederlo solo di spalle” – e dunque in certo modo solo seguendolo, come commentò san Gregorio di Nissa – “in fin dei conti”, conclude il cardinale Semeraro, è “quello che hanno fatto i nostri due beati: hanno lasciato a Dio la scelta della loro strada. Certo, una scelta di vita cristiana l’avevano già fatta ambedue rispondendo ad una vocazione: uno scegliendo il ministero sacerdotale e l’altro la missione di marito e di padre” E tuttavia “hanno accettato di essere condannati come lui per il dono agli altri della propria vita. È questo che fa il martire: l’imitazione di Cristo, anche quando il seguirlo porta alla scelta di accettare la morte”.