“Antre storie d’ommini e bestie”, l’omaggio di De Carolis a Trilussa

Vatican News

Benedetta Capelli – Città del Vaticano

“Sonatore ambulante, cantastorie mai di se stesso, compositore peripatetico”. Il direttore de L’Osservatore Romano, Andrea Monda, riprende le parole del gesuita Domenico Mondrone, amico di Trilussa, che su Civiltà Cattolica definiva così il poeta romanesco. Definizioni che sovrappone ad Alessandro De Carolis, giornalista vaticanista di Vatican News, autore di “Antre storie d’ommini e bestie”, edito da “L’Erudita” di Giulio Perrone, presentato oggi nella sede della Radio Vaticana.

Un volume che appare a 150 anni dalla scomparsa di Trilussa, si può dire un omaggio da parte di De Carolis al poeta che scoprì a 15 anni grazie ad un libro donato dalla mamma. Trilussa nel 1914 pubblicò “Ommini e bestie”, un viaggio fra i tipi umani della Roma del primo Novecento e gli animali che ne riflettevano più le piccolezze che le virtù. A quella umanità e bestialità variegata, l’autore guarda con gli occhi di oggi pur sapendo che “il tempo è cambiato, c’è qualche guerra in più, c’è la tecnologia ma sostanzialmente – afferma Alessandro De Carolis – la natura umana è quella ed è la stessa che coglieva Trilussa”.

L’omaggio a Trilussa

Ad introdurre la presentazione Andrea Tornielli, direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione della Santa Sede, che ha citato Papa Luciani, ricordando che Giovanni Paolo I recitò i versi di Trilussa per spiegare cosa era la fede. Accanto a questi anche i versi di De Carolis, donati in modo spontaneo, per raccontare la noiosa fila per fare un tampone; una noia che si accende di ilarità. Un modo per descrivere questo moderno cantastorie che regala ai colleghi, da anni, i suoi versi: piccoli spazi di pausa, un respiro per allentare la tensione del lavoro. Versi letti anche in sala dall’attrice Giulia Greco e commentati dalla poetessa e scrittrice Maria Grazia Calandrone che dell’autore ha apprezzato la scelta di aver  richiamato nel titolo a Trilussa, di aver scelto il dialetto romanesco che ha un disicanto di fondo ma che è capace di ironizzare pure sulla morte e sul dolore.

Sguardo compassionevole

La Calandrone sottolinea anche che l’autore attacca il potere nei suoi versi e si sofferma su tante parole che De Carolis propone come: incianfrusigliato, sgricilato, tramente, immassimata. Parole, precisa l’autore, venute proprio dal dialetto che usa perché affascinato dal loro senso e dal suono e che solitamente appunta sulle note del cellulare. “I versi sono piccoli saggi sulle piccolezze – afferma Maria Grazia Calandrone – sempre osservate con un sarcasmo pieno di grazia mai violento, compassionevole nel senso etimologico, perché Alessandro De Carolis sa che è parte di questa umanità che prende in giro”. Proprio l’autore, in conclusione della presentazione, ha voluto ricordare che negli ultimi tempi, forse dopo la pandemia, Papa Francesco ha più volte parlato dell’importanza di coltivare l’umorismo. “Ho sentito mia questa cosa – afferma – quello che cerco di fare è comporre con bonomia e con grazia”. Un intento che Alessandro raggiunge donando con intelligenza un sorriso e provocando domande che a volte però non trovano risposta.