Andrea Kim Taegon e i martiri coreani, testimoni della fede e dell’identità di un popolo

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Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano

“Sei cattolico?”. “Sì, sono cattolico”. Un dialogo asciutto con un funzionario governativo, mentre incombeva la minaccia di una morte cruenta. Una breve professione di fede, così come riportata in una delle epistole scritte nei giorni di prigionia, nella quale c’è tutta la profondità della fede di Andrea Kim Taegon, il primo sacerdote cattolico coreano martirizzato a circa 25 anni nel 1846. E, con lui, la testimonianza di fedeltà a Dio, sugellata con il supremo sacrificio della vita, di migliaia di uomini e donne travolti dall’ondata di persecuzioni che colpirono la Corea nel XVIII e XIX secolo, che ancora oggi costituisce linfa e storia per l’identità di un intero popolo – quello cattolico coreano – vivo seppur minoritario. 

Per onorare la memoria di Andrea Kim e degli altri martiri, tutti laici, del loro tributo di sangue e del loro fulgido esempio, si celebrerà una messa in lingua coreana oggi pomeriggio, alle 15.30, presso l’Altare della Cattedra nella Basilica di San Pietro. A presiedere la funzione è l’arcivescovo Lazzaro You Heung-sik, nominato lo scorso 11 giugno nuovo prefetto della Congregazione per il Clero, alla sua prima cerimonia pubblica a Roma. 

Sant’Andrea Kim, testimone di fede

Occasione per la celebrazione è il 200° anniversario della nascita di Sant’Andrea, avvenuta il 21 agosto 1821 in una famiglia cresciuta nei principi cristiani, il cui padre aveva trasformato la casa in “chiesa domestica”. Scelta che pagò con la vita. In quattro generazioni, ben undici membri della famiglia del santo hanno versato il loro sangue per il Signore, e tra questi cinque vi sono alcuni beatificati e altri già canonizzati. Formatosi a Macao, poco più che quindicenne, il giovane Andrea operò nel pieno delle persecuzioni: interrogato, torturato, fu decapitato per non aver voluto abiurare. Il suo nome e quello di un centinaio di altri fedeli di diverse età e ceti sociali, Papa Wojtyla lo volle iscrivere nel registro dei santi nel 1984.

La messa per la pace in Corea di Parolin del 2018

A farne memoria oggi a San Pietro insieme a monsignor You, ci saranno una trentina di sacerdoti e una settantina tra religiosi e religiose; prevista la presenza anche dell’ambasciatore di Corea presso la Santa Sede. Non mancheranno all’appuntamento anche i fedeli laici che compongono la comunità coreana a Roma. La stessa che, il 17 ottobre 2018, partecipò alla Messa per la Corea presieduta sempre nella Basilica vaticana dal cardinale segretario di Stato, Pietro Parolin. Al centro di quella cerimonia, allora, c’era però una invocazione di pace e riconciliazione per la Penisola Coreana. La stessa ribadita nell’udienza del giorno successivo con il Papa dal presidente sud-coreano Moon Jae-in, seduto infatti in prima fila alla Messa di Parolin, animata da canti e letture in coreano. 

Un evento per la comunità coreana romana, come quello di oggi pomeriggio. “Il fatto che si celebri una messa per i 200 anni di Sant’Andrea Kim Taegon nella Basilica di San Pietro è una provvidenza di Dio”, ha detto monsignor You all’agenzia coreana Yonhap.

La storia dei martiri

Religiosi e laici cattolici, i martiri coreani furono vittime delle persecuzioni religiose avvenute nel Paese, dove i primi semi di fede cristiana comparirono agli inizi del 1600 tramite le delegazioni che ogni anno visitavano Pechino per scambi culturali. In Cina, i coreani vennero in contatto con la fede cristiana portando in patria il libro del missionario gesuita padre Matteo Ricci. Un laico, il pensatore Lee Byeok, ispirandosi al libro del gesuita, fondò poi una prima comunità cristiana molto attiva che inizialmente si organizzò con una gerarchia propria celebrando autonomamente i Sacramenti. Pregarono poi il vescovo di Pechino di inviare al più presto dei sacerdoti e furono accontentati con l’invio di un prete, Chu-mun-mo. La comunità coreana crebbe in poco tempo a varie migliaia di fedeli.

Persecuzioni brutali

Ma in Corea intorno al 1785 si scatenò una persecuzione sempre più crudele, finché nel 1801 anche l’unico prete venne ucciso. Ciò non frenò, tuttavia, l’espandersi della comunità cristiana. Nel 1802 un editto di Stato del re Sunjo ordinava addirittura lo sterminio dei cristiani, come unica soluzione per soffocare il germe di quella che il suo governo riteneva una “follia”. Rimasti soli e senza guida spirituale, i fedeli coreani chiedevano continuamente al vescovo di Pechino e anche al Papa di avere dei sacerdoti; le condizioni locali lo permisero solo nel 1837, quando furono mandati un vescovo e due sacerdoti delle Missioni Estere di Parigi. Penetrati clandestinamente in Corea, furono martirizzati due anni dopo. Con un secondo tentativo di Andrea Kim si riuscì a far entrare un vescovo e un sacerdote, da quel momento la presenza di una gerarchia cattolica in Corea fu stabile, nonostante la recrudescenza delle persecuzioni nel 1866. Nel 1882, infine, il governo decretò la libertà religiosa.

Giovanni Paolo II canonizzò 103 martiri coreani

Nelle persecuzioni coreane morirono, secondo fonti locali, più di 10 mila martiri. Di questi 103 – tra cui diverse donne – furono beatificati in due gruppi distinti nel 1925 e nel 1968 e poi canonizzati insieme, il 6 maggio 1984, a Seul da Giovanni Paolo II. Solo dieci di loro sono stranieri, tre vescovi e sette sacerdoti, gli altri tutti coreani, catechisti e fedeli. La loro memoria liturgica è il 20 settembre. Capielenco liturgici sono, oltre ad Andrea Kim Taegon, il catechista Paolo Chong Hasang. Le loro spoglie riposano dal 1900 nella cripta della Cattedrale di Myeong-dong.

Altri 124 martiri beatificati da Francesco a Seul

Altri 124 martiri furono beatificati invece da Papa Francesco il 16 agosto 2014, nel corso del viaggio in Corea del Sud. Tra questi anche, Paolo Yun Ji-chung. Oltre un milione di fedeli presenziò quel giorno alla messa di Francesco celebrata alla Porta di Gwanghwamun, nella capitale sud coreana. La messa seguiva una intensa visita del Papa nel luogo delle esecuzioni capitali: il santuario di Seo So- Mun, alla periferia di Seul. L’enorme partecipazione di popolo è stato il segno della profonda devozione di cui ancora godono questi santi e beati, membra vive della storia e dell’identità di una nazione. Essi “ci ricordano che bisogna mettere Cristo al di sopra di tutto e non scendere a compromessi con la fede”, disse il Papa nell’omelia, accompagnata in diversi passaggi da appalusi commossi e prolungati.

Paolo Yun Ji-chung e i suoi compagni hanno sigillato la loro missione di precursori con il martirio e da qui è scaturito il seme di nuovi cristiani: “Il loro esempio – aggiunse il Pontefice – ha molto da dire a noi, che viviamo in società dove, accanto ad immense ricchezze, cresce in modo silenzioso la più abbietta povertà; dove raramente viene ascoltato il grido dei poveri; e dove Cristo continua a chiamare, ci chiede di amarlo e servirlo tendendo la mano ai nostri fratelli e sorelle bisognosi”.

Il Giubileo della Chiesa coreana

Il bicentenario della nascita di Sant’Andrea ha aperto il 29 novembre 2020  le celebrazioni del Giubileo indetto dalla Chiesa in Corea del Sud. Un anno di grazia, con il patrocinio dell’Unesco, che si concluderà il 27 novembre 2021 e che rappresenta “un’occasione propizia per la crescita spirituale della Chiesa coreana”, come affermato in una intervista del dicembre ai media vaticani dal vescovo Lazzaro You, allora alla guida della diocesi coreana di Daejeon e responsabile dell’organizzazione dell’Anno Santo. “Questo Giubileo – affermava il presule – darà a tutti noi l’opportuna per interiorizzare la spiritualità del martirio, che è la linfa vitale della Chiesa in Corea, meditando con profondità la vita dei martiri”. “Per i nostri martiri la fede era il valore più importante”, aggiungeva You. “Nella società coreana, solo l’11% della popolazione è cattolica, mentre più della metà si dichiara ‘senza religione'”. L’invito è quindi “riflettere seriamente sulla nostra identità e sulla nostra coerenza in quanto ‘fedeli-cattolici'”.