Ancora un giornalista ucciso in Messico

Vatican News

Fausta Speranza – Città del Vaticano

Il giornalista messicano Antonio De la Cruz del quotidiano Expreso è stato ucciso ieri a Ciudad Victoria, capitale dello Stato settentrionale di Tamaulipas. De la Cruz è morto sotto i colpi di arma da fuoco di sicari mentre si allontanava in auto dalla sua abitazione. Fonti del giornale in cui lavorava da 20 anni hanno indicato che a bordo del veicolo c’era una delle sue due figlie, che è rimasta gravemente ferita. Un portavoce del gruppo editoriale Expreso-La Raz¢n ha ricordato che “già nel 2018 era stato ucciso un altro giornalista del quotidiano, Héctor Gonzalez”. In una conferenza stampa, il procuratore capo di Tamaulipas, Irving Barrios, ha reso noto che De la Cruz è stato raggiunto da quattro proiettili di calibro 40 millimetri sparati da un’arma che è in dotazione alle forze armate messicane e che è morto sul colpo.  

Livelli di violenza da tragico record mondiale

Dall’inizio dell’anno, in Messico i giornalisti che hanno perso la vita in episodi di violenza sono almeno 12, di cui tre in maggio. Inoltre, l’organizzazione internazionale Committee to protect journalists conta decine di giornalisti scomparsi, quindici solo nel 2022. Prelevati da sconosciuti, sono spariti senza lasciare traccia. Poi ci sono infiniti casi di minacce e intimidazioni che spingono decine di reporter di zone difficili a cercare rifugio nella relativa sicurezza di Città del Messico, se non all’estero. Non è un’esagerazione definirlo il Paese più pericoloso del mondo per chi fa informazione. Si tratta di una drammatica escalation ma forse si può indicare un momento spartiacque: l’uccisione ad aprile 2012 della giornalista Regina Martinez Pérez, colpita davanti a casa sua a Xalapa, nello Stato di Veracruz. Martinez era molto nota per le sue indagini sulla corruzione e la collusione tra politici e cartelli criminali; scriveva per un quotidiano di Veracruz e per il settimanale Proceso: è stata la prima volta che veniva colpita una giornalista di una testata nazionale e che non si occupava di cronaca nera ma di indagini politiche e sociali.  

Nessuna rassegnazione al silenzio

In Messico sono nate reti e collettivi di giornalisti che hanno cominciato a reagire. Gruppi che si mobilitano in aiuto dei colleghi minacciati e “sfollati” da Stati o territori regionali, per denunciare le intimidazioni e sviluppare insieme un lavoro di indagine e d’informazione. Riuniscono giornalisti di testate locali e nazionali, su carta o sul web oppure radio comunitarie. La prima rete, la più antica, è Periodistas de a pie, giornalisti a piedi, nata nel 2007 a Città del Messico. “Ci siamo chiamate così perché scrivevamo di povertà e questioni sociali”, spiega Marcela Turati Muñoz, una delle cofondatrici. Erano per lo più donne; scrivevano in diverse testate, nazionali e locali; volevano sviluppare un giornalismo capace di indagare sulla realtà sociale messicana. Turati allora scriveva da Ciudad Juárez, nel nord dello stato di Chihuahua, per il settimanale Proceso.

Un filo rosso: l’impunità

L’85 per cento degli omicidi di giornalisti degli ultimi vent’anni è rimasto senza soluzione. I reporter denunciano spesso un sistema politico fondato su clientelismo e scambi di favori e un sistema giudiziario che non ha alcuna indipendenza dal potere esecutivo. Spesso le indagini si trascinano senza esito: di rado si trova un colpevole, quasi mai un mandante. Dell’escalation del fenomeno e della difficoltà a contrastarlo abbiamo parlato con lo storico Paolo Valvo dell’Università del Sacro Cuore:

Ascolta l’intervista con Paolo Valvo

Valvo innanzitutto contestualizza a livello locale l’uccisione del giornalista Antonio De la Cruz ricordando che lo Stato settentrionale di Tamaulipas e la città di Ciudad Victoria sono proprio esempio di territori in cui la violenza è quotidiana. E ricorda che De la Cruz si occupava di varie questioni sociali e politiche che riguardano la tutela dell’ambiente e la gestione degli allevamenti. Valvo ribadisce che siamo davvero ad un tragico record: il Messico da anni si conferma il Paese più pericoloso per i giornalisti al mondo.

Delusione per le promesse di Obrador

Ricorda poi che la diminuzione delle violenze e dei narcotraffici è stata una delle principali promesse del presidente Obrador in carica da fine 2018. Purtroppo però – fa notare lo storico – durante la sua presidenza si sono registrati 1840 atti di intimidazioni seri e ben 33 omicidi di reporter.

La voce dell’Unione Europea

Lo storico Valvo intravede una via per contrastare il fenomeno in un impegno a livello internazionale: parla della necessità di una vera e propria mobilitazione internazionale ricordando che ad aprile scorso è stato il Parlamento Europeo a tentare un intervento. Sottolinea che la risoluzione presentata è stata votata praticamente all’unanimità e spiega che si tratta di un appello rivolto alla presidenza pro tempore della Comunità degli Stati latinoamericani e caraibici, al Segretario generale dell’Organizzazione degli Stati americani, all’Assemblea parlamentare euro-latinoamericana nonché al Presidente, al governo e al Congresso del Messico. Valvo precisa che nella Risoluzione si sottolinea che la libertà di parola online e offline, la libertà di stampa e la libertà di riunione costituiscono meccanismi fondamentali per il funzionamento di una democrazia sana; invita le autorità messicane ad adottare tutte le misure necessarie per garantire la protezione e la creazione di un ambiente sicuro per i giornalisti e i difensori dei diritti umani, in linea con le norme internazionali consolidate, anche affrontando a livello statale e federale la questione della corruzione diffusa, della formazione e delle risorse inadeguate, della complicità di alcuni funzionari e dei sistemi giudiziari carenti che portano a tassi di impunità così elevati.

Aggiunge che nel documento europeo si prende atto con preoccupazione delle critiche sistematiche e severe utilizzate dalle massime autorità del governo messicano nei confronti dei giornalisti e del loro lavoro e condanna i frequenti attacchi alla libertà dei media e nei confronti dei giornalisti e degli operatori dei media in particolare; ribadisce che il giornalismo può essere praticato solo in un contesto privo di minacce, aggressioni fisiche, psicologiche o morali o altri atti di intimidazione e vessazione, e invita le autorità messicane a rispettare e salvaguardare i più elevati standard di protezione della libertà di parola, della libertà di riunione e della libertà di scelta.

L’appello alle autorità messicane

Valvo sottolinea inoltre che nel testo della Risoluzione c’è un chiaro invito alle autorità ad astenersi dallo stigmatizzare i difensori dei diritti umani, i giornalisti e gli operatori dei media, dall’esacerbare l’atmosfera nei loro confronti o distorcere i filoni d’indagine, invita tali autorità a sottolineare pubblicamente il ruolo centrale svolto dai difensori dei diritti umani e dai giornalisti nelle società democratiche. Si  esorta il governo del Messico ad adottare misure concrete, tempestive ed efficaci per rafforzare le istituzioni nazionali, statali e locali e attuare una serie di strategie urgenti, globali e coerenti di prevenzione, protezione, riparazione e responsabilità per garantire che i difensori dei diritti umani e i giornalisti possano portare avanti le loro attività senza timore di rappresaglie e senza restrizioni, in linea con le raccomandazioni formulate dall’Alta Commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani e dalla Commissione interamericana dei diritti dell’uomo; raccomanda che il Messico integri una prospettiva di genere nell’affrontare la sicurezza dei giornalisti e dei difensori dei diritti umani.

Servono risorse

Inoltre, Valvo si sofferma anche su un altro punto: quello in cui si esorta il meccanismo federale per la protezione dei difensori dei diritti umani e dei giornalisti a soddisfare le sue promesse, di aumentare i finanziamenti e le risorse e a istituire processi più rapidi per includere tra i beneficiari i difensori e i giornalisti al fine di salvare vite e garantire la sicurezza di chi è minacciato, compresa la concessione di misure di sicurezza destinate alle rispettive famiglie e ai loro colleghi e avvocati. Sottolinea che le politiche di protezione pubblica dovrebbero coinvolgere efficacemente gli organi governativi e le istituzioni di ciascuno Stato e il livello locale. In particolare si incoraggia il governo messicano a intervenire per rafforzare le istituzioni statali e consolidare lo Stato di diritto nell’ottica di affrontare alcuni dei problemi strutturali che sono all’origine delle violazioni dei diritti umani, e chiede che in tale processo siano coinvolte le organizzazioni civili che operano nel campo dei diritti umani; accoglie con favore la creazione della commissione nazionale di ricerca (CNB) con l’obiettivo di cercare fosse comuni in tutto il Paese e di adottare misure per determinare e pubblicare il numero reale di persone scomparse.

Serve cooperazione internazionale

Lo studioso inoltre si sofferma su un’altra sollecitazione dell’Europarlamento sottolineando che si invita il governo messicano “a cooperare pienamente con gli organi delle Nazioni Unite e a estendere un invito permanente ai fini delle visite di tutte le procedure speciali del Consiglio dei diritti umani dell’Onu in particolare del relatore speciale delle Nazioni Unite per la libertà di opinione e di espressione, e a cooperare con loro in modo proattivo”.