Amatrice, sei anni dopo: speranze e domande senza risposta

Vatican News

Andrea De Angelis – Città del Vaticano 

Una cittadina che porta nelle prime tre lettere del nome l’imperativo del verbo più importante è un luogo di per sé affascinante. Il fatto che si collochi a quasi mille metri di altezza dal livello del mare, in un contesto paesaggistico, storico e culturale di grande interesse – dalla pastorizia alle testimonianze medievali presenti in ogni suo angolo -, la rende ancora più attraente. Amatrice, poco più di 2mila abitanti, il cui numero aumenta in modo esponenziale durante la stagione estiva, si appresta a ricordare anche quest’anno uno dei suoi giorni più bui. Quel 24 agosto 2016, quando il terremoto che colpiva l’Italia centrale ha sconvolto e riscritto la sua storia recente. 

Una ferita ancora aperta

Quel 24 agosto, alle ore 3.36, con un terremoto di magnitudo 6.0 nei pressi di Amatrice prendeva il via una delle più importanti sequenze sismiche che ha colpito l’Italia negli ultimi decenni: 140 Comuni e oltre mezzo milione le persone coinvolte. I morti, quella notte, furono 299, di cui quattro su cinque proprio ad Amatrice. A distanza di sei anni molto c’è ancora da fare per curare una ferita difficile da rimarginare. Per farlo è necessario l’impegno di tutti, dalle istituzioni nazionali a quelle locali, fino al contributo della società civile. Perché “da soli non si va”, “si cammina meglio insieme”. 

La visita del Papa: insieme è meglio

Il 4 ottobre 2016 queste parole risuonavano ad Amatrice dove, a sorpresa, arrivava Papa Francesco. Una visita per incontrare la popolazione colpita dal sisma di agosto. Accompagnato dall’allora vescovo di Rieti, monsignor Domenico Pompili, si recava, in primo luogo, presso la scuola “Romolo Capranica” – allestita dai membri della Protezione Civile in un container – salutando maestri e bambini della scuola primaria, che gli donavano alcuni disegni realizzati dopo il terremoto. All’uscita dalla scuola, il Papa diceva:

Dal primo momento ho sentito che dovevo venire da voi! Semplicemente per dire che vi sono vicino, che vi sono vicino, niente di più, e che prego, prego per voi! Vicinanza e preghiera, questa è la mia offerta a voi. Che il Signore benedica tutti voi, che la Madonna vi custodisca in questo momento di tristezza e dolore e di prova […] Guardare sempre avanti. Avanti, coraggio, e aiutarsi gli uni gli altri. Si cammina meglio insieme, da soli non si va. Avanti!

Quindi, dopo aver salutato le istituzioni, le forze dell’ordine e i vigili del fuoco, si dirigeva verso la cosiddetta “zona rossa”, dove il sisma era stato più devastante, avvicinandosi il più possibile agli edifici in rovina, e pregava in silenzio. 

L’anno della svolta?

I prossimi mesi potrebbero significare molto per Amatrice. “Non ho la speranza, ma la certezza che questo sarà l’anno della ripartenza”, ci dice Giorgio Cortellesi, sindaco del Comune laziale. “Quest’anno sarà quello della ricostruzione vera e propria, finalmente dopo troppi impedimenti sta ripartendo quella, diciamo così, materiale, mentre per quella morale ancora probabilmente ci vorrà del tempo”. 

Ascolta l’intervista a Giorgio Cortellesi

Ricordare un anniversario è importante “anche per mantenere viva l’attenzione sul nostro territorio”, prosegue. Ma cos’è che manca di più ad Amatrice? “Manca quel senso di comunità che c’era prima, la vita di una cittadina di montagna, la sua piazza, le vie, il parlare e l’incontrarsi. Ora abbiamo attività commerciali raccolte in altri luoghi e – sottolinea – a mancare sono anche i tanti che, avendo qui le seconde case, si recavano nella stagione estiva”. Quindi un messaggio rivolto in particolare ai cittadini più anziani, a quelle persone che “sono le nostre radici, sono persone che scrivono libri, raccolgono testimonianze. Sono la nostra storia, vanno aiutati”. 

Domande senza risposta

Don Adolfo Izaguirre, parroco di Amatrice, non nasconde le difficoltà che vivono ogni giorno i fedeli. “Sono qui da tre anni, registro la mancanza di risposte alle promesse fatte per la ricostruzione. Noi siamo vicini spiritualmente, con una Messa ogni 24 del mese, e lo saremo anche questo mese, perché ogni anno il 24 agosto le ferite si riaprono”. L’aiuto è anche materiale, grazie alla Caritas, un servizio che “non si è mai interrotto in questi sei anni”. 

Ascolta l’intervista a don Adolfo Izaguirre

“Tante persone stanno perdendo la speranza, il motivo è legato alla loro età. Tanti anziani non vedono più il senso di aspettare la ricostruzione, ma si augurano che a viverla saranno i loro figli”, dice con la voce rotta dall’emozione don Adolfo. “Tante volte non sappiamo cosa dire e cosa rispondere alla gente, non è possibile trovare risposta”, confessa il parroco. La fede delle persone è viva e la Chiesa continua a vivere come comunità negli edifici, nei container realizzati dopo il terremoto, quando gli storici luoghi di culto, tra cui la nota chiesa di Sant’Agostino, sono divenuti inaccessibili. “Il dialogo tra vecchi e giovani grazie a Dio è vivo, le tradizioni si trasmettono e i ragazzi vedono anche nelle feste come vivono i loro nonni, osservano il lato umano e quello più spirituale e desiderano – conclude – continuare su quella strada”. 

Il ruolo della cultura per salvare il futuro

Parlare di ricostruzione significa anche riconoscere il ruolo centrale della cultura. I libri, le fotografie, gli studi, le testimonianze di un territorio non possono e non devono essere cancellate da un sisma. Lo sa bene Mario Ciaralli, scrittore e animatore culturale del “Salotto di Cola”, che racconta il dolore per l’impossibilità di riaprire, a sei di distanza, un luogo che è stato a lungo uno dei centri culturali di Amatrice. “Dentro – spiega – c’era tutta la bibliografia del territorio, molto dipinti, la storia della pastorizia e si trovava proprio nel cuore della città”. 

Ascolta l’intervista a Mario Ciaralli

“Ci vuole una casa per gli amatriciani, ora il Comune mi ha dato l’autorizzazione di gestire uno spazio e spero di riempirlo di libri, di oggetti, di filmati, insomma della nostra storia e delle nostre radici perché – prosegue – bisognava salvare l’architettura locale, gli affreschi, i testi, ma giustamente si è pensato prima alle vittime, ai feriti. Ci mancherebbe altro”. Dopo, però, si sarebbe potuto fare di più, perché secondo Ciaralli “stiamo parlando della salvaguardia della storia, che vuol dire salvare il futuro. Purtroppo c’è stata incuria”. Infine una promessa: “Faremo di tutto perché un giorno si riveda Amatrice così com’era, il più possibile, prima del terremoto”.